Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-01-2013) 12-02-2013, n. 6850

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 17.4.2012 la Corte d’appello di Genova, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di applicazione del regime del reato continuato avanzata da A.L. in relazione alle sentenze Corte d’appello di Genova nelle date del 25.6.2009 e 23.9.2010, sul presupposto che si aveva riguardo a reati fra loro eterogenei (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e artt. 582-585 cod. pen /violaz. legge armi) non risultati legati fra loro da alcuna progettualità comune, progettualità non desumibile dal solo fatto che i due reati erano temporalmente non distanti.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione la difesa del prevenuto, per dedurre mancanza di motivazione, per avere omesso la corte di valutare lo stato di tossicodipendenza dell’istante.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e come tale va dichiarato inammissibile.

I giudici a quibus hanno correttamente valorizzato quale motivo ostativo a fare ravvisare l’unicità dell’ispirazione delle due azioni delittuose il fatto che si ha riguardo a due fattispecie di reato assolutamente eterogenee, non risultate legate da alcun nesso indicativo di progettualità comune. In tali condizioni non poteva essere considerato quale collante il fattore della tossicodi pendenza, adombrato nell’istanza con l’allegazione di certificazioni del SERT, atteso che nulla è stato addotto dal ricorrente a comprova della correlazione tra il primo reato per cui riportò condanna ed il reato di lesioni dolose e porto di arma comune da sparo (reato verosimilmente consumato in un contesto a sfondo criminogeno e frutto di occasionale deliberazione), se non il dato evidenziato in sede di ricorso che, andando a notificare l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il fatto di sangue, i militari rinvennero, in sede di perquisizione un chilo di hashish , fatto per cui intervenne la prima delle condanne suindicate. E’ più che evidente che la circostanza che un reato sia stato accertato in occasione della perquisizione ordinata in sede di indagini per un secondo reato non può istituire di per sè alcun collegamento tra i reati; la sola comunanza di contestualità di indagini è indice assolutamente inadeguato ed insufficiente a dimostrare un’ispirazione comune ad un progetto previamente deliberato ed accumunante le due diverse violazioni. E’ quindi più che ragionevole che i giudici dell’esecuzione non abbiano neppure preso in considerazione il profilo della tossicodipendenza, non adeguato a colmare un vuoto dimostrativo dell’intreccio delle due condotte (una delle quali non stimolata dalla tossicodipendenza), cosicchè suona assolutamente forzata la censura, del tutto generica quanto all’incidenza che tale condizione ai fini della configurabilità della continuazione, in termini di mancanza di motivazione.

Si impone la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro mille, a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *