T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 21-01-2011, n. 121

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 23 ottobre 2004 e depositato il 6 novembre seguente, e successivi due atti di motivi aggiunti, ritualmente notificati e depositati, le nominate ricorrenti hanno impugnato i provvedimenti in epigrafe indicati e ne hanno chiesto – previa la sospensione (le relative istanze sono state respinte con ordinanze 914/06 e 236/09)- l’annullamento per i motivi dedotti nell’atto introduttivo del giudizio e nei successivi motivi aggiunti.

Si sono costituiti la provincia di Lucca e la T.E.V., svolgendo difese.

All’udienza pubblica del 4 gennaio 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1) L’azione promossa dalle ricorrenti – l’Associazione in relazione alla tutela dei valori ambientali e di salubrità, la Bertolucci in relazione al pregiudizio che deriverebbe alla propria posizione giuridica, come pretesa sia a vivere in un contesto ambientale privo di rischi per la propria salute, sia a non subire neppure in astratto il rischio del depauperamento del valore dei propri beni, ambedue i profili fondati sul presupposto della vicinitas all’impianto oggetto del provvedimento impugnato -, segue altri ricorsi promossi avverso provvedimenti pianificatori o autorizzatori riguardanti l’impianto, qualificato dalle medesime ricorrenti di incenerimento di rifiuti e dalle resistenti di termoconversione per la produzione di energia elettrica mediante utilizzo di CDR. in località Falascaia.

La difesa delle ricorrenti, preliminarmente affronta il profilo della legittimazione delle stesse proponenti e in particolare, in controdeduzione al diverso orientamento seguito dalla Sezione negli altri ricorsi già decisi, di quella dell’Associazione per la Tutela Ambientale della Versilia, sostenendo la tesi che secondo una corretta interpretazione degli artt. 13 e 18 della legge 349/86 la legittimazione delle associazioni locali dovrebbe radicarsi semplicemente sul qualificato collegamento con il territorio di appartenenza, servendo il riconoscimento statale solo alle associazioni nazionali e interregionali che dimostrino effettiva serietà e rappresentatività proprio perché carenti di quel collegamento. Per la Bertolucci, ribadisce la rilevanza di per sé della sola vicinitas all’impianto a valorizzare la tutela della propria posizione giuridica in relazione alla concreta possibilità che la stessa sia minacciata dall’esercizio dell’impianto stesso.

Nel merito nel ricorso originario e nei successivi due motivi aggiunti vengono dedotti numerosi vizi attinenti sotto vari profili alla violazione di legge e delle direttive comunitarie, nonché all’eccesso di potere.

Sinteticamente si deduce:

avverso la delibera 125/06 (ricorso originario):

l’impianto del Pollino sarebbe, in base alla direttiva n. 2000/76/CE un inceneritore per lo smaltimento e non per il recupero di rifiuti e pertanto non potevano essere utilizzate le procedure semplificate di cui agli artt. 31 – 33 del dcr. lgs 22/97 e quindi sarebbe illegittima l’ammissione della T.E.V. alle procedure stesse con l’iscrizione nel registro provinciale;

l’inceneritore di Falascaia avrebbe dovuto essere sottoposto alla V.I.A. al momento della prima comunicazione di inizio attività, essendo già in vigore alla data dell’inizio del suo esercizio la direttiva 85/337/CE per effetto della direttiva 97/11/CE; ogni disposizione che consentisse l’operatività in assenza di tale valutazione andrebbe disapplicata perché in contrasto con le direttive richiamate;

la V.I.A. non potrebbe essere sostituita dall’esito favorevole dell’esame dello studio di impatto ambientale presentato dalla società gestrice, i provvedimenti di autorizzazione e/o approvazione adottati in assenza di V.I.A. sarebbero nulli;

il progetto presentato dalla T.E.V. non indicherebbe in che modo il gestore dell’impianto intende recuperare il calore prodotto nell’impianto. Inoltre non sarebbero indicate le quantità autorizzate per i due tipi di CDR;

nel provvedimento non sarebbero indicate per gli scarichi le prescrizioni e i limiti in relazione alle capacità del corpo ricettore che ne garantiscano le capacità autodepurative;

non sarebbe stato effettuato uno studio adeguato per garantire la mitigazione dell’impatto acustico di un impianto molto rumoroso in relazione alla presenza di fabbricati adibiti a civile abitazione;

avverso la determina 69/08 (primo atto motivi aggiunti):

l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto del principio di precauzione di derivazione europea, posto a garanzia del raggiungimento di un elevato livello di protezione ambientale;

non sarebbe stata rilasciata l’autorizzazione alla costruzione dell’impianto che è presupposto dell’autorizzazione al suo esercizio, non potrebbe supplire tale atto il deliberato della conferenza di servizi avendo espresso parere contrario il comune di Pietrasanta nel cui territorio ricade l’impianto stesso;

si reitera il motivo sulla mancanza di V.I.A.;

le numerosissime prescrizioni imposte riguarderebbero difetti o mancanze progettuali, impiantistiche e di funzionamento che avrebbero dovuto impedire il rilascio dell’autorizzazione;

il superamento dei limiti previsti dall’autorizzazione e dalla legge, rilevate più volte dall’A.R.P.A.T. avrebbe dovuto determinare la revoca dell’autorizzazione;

si reitera il motivo sulla carente istruttoria relativa all’impatto acustico e alle prescrizioni e limiti di autodepurazione degli scarichi lamentandosi, inoltre, per questi una difformità essendo in realtà due e non uno gli scarichi dell’impianto;

avverso la determina 2606/010 (secondo atto motivi aggiunti):

la modifica dell’autorizzazione 125/06 per effetto dell’intervento del dcr. lgs 4/08 che ha soppresso dall’elenco dei rifiuti speciali quelli indicati nella lettera "n", comma 3 dell’art. 184 del dcr. lgs 152/06 non comporterebbe, come ritenuto dalla Provincia la semplice autorizzazione all’esercizio, ma richiederebbe comunque l’A.I.A.. La denominazione di rifiuti speciali a identificazione di una tipologia di rifiuti urbani sarebbe in contrasto con la normativa europea: ove permanesse al riguardo un dubbio interpretativo il Tribunale dovrebbe sollevare questione pregiudiziale dalla C.G.C.E.;

l’impianto di Falascaia occorrerebbe di A.I.A. ed essa avrebbe dovuto essere chiesta entro il 31.1.2008;

per essere compreso nel punto R1 alla nota 14 dell’allegato II della direttiva 2008/98/CE un impianto dovrebbe garantire una resa energetica uguale o superiore a 0,65 (per gli impianti autorizzati dopo il 31.12.2008) o a 0,60 (per gli impianti funzionanti e autorizzati anteriori all’1.1.2009). Ma non risulta che per l’impianto di Falascaia sia stata mai fatta una verifica sulla resa energetica e quindi dovrebbe essere considerato un impianto di smaltimento di rifiuti, ma esso non sarebbe stato mai inserito nel piano regionale quale inceneritore di rifiuti;

si reitera motivo sulla V.I.A. e sull’insussistenza dei presupposti per l’ammissione alle procedure semplificate.

Le resistenti Provincia di Lucca e T.E.V. hanno ambedue controdedotto con memorie ai motivi dedotti eccependo in primo luogo la carenza di legittimazione attiva delle ricorrenti, in questo richiamando le numerose pronunce di questa Sezione. Hanno anche eccepito la tardiva impugnazione in relazione alla data di pubblicazione o effettiva conoscenza degli atti impugnati o la mancata impugnazione di varie determinazioni dirigenziali della Provincia di cui quelli impugnati costituirebbero meri atti consequenziali.

Nel merito hanno sostenuto l’infondatezza di tutti i motivi dedotti e, quindi la piena legittimità dei provvedimenti impugnati.

Tutte le parti costituite hanno prodotto ulteriori memorie in replica, insistendo sulle rispettive contrapposte argomentazioni.

2) L’eccezione di difetto di legittimazione attiva opposta dalle resistenti Amministrazione provinciale e società T.E.V. è da ritenere fondata.

Il Collegio osserva che il ricorso in epigrafe si inserisce in una sequenza di azioni, anteriori al ricorso medesimo, che hanno avute tutte, direttamente o indirettamente, lo scopo di determinare, attraverso l’annullamento degli atti impugnati, il fermo dell’impianto di termovalorizzazione in località Falascaia, il cui progetto di realizzazione risale al dicembre 1995.

Dei ricorsi proposti, una parte sono stati dichiarati perenti (decreti: 1629/010, 2150/010, 3761/010 e 4162/010); i rimanenti sono stati decisi con sentenza di inammissibilità per carenza di legittimazione dei proponenti: si può fare riferimento alle sentenze 2734/03, 2735/03, 4669/05 e in ultimo 5144/010, pronunciate su azioni promosse dall’Associazione per la Tutela Ambientale della Versilia e da D.B.. La qual cosa determina di per sé un autonomo profilo di inammissibilità per il consolidamento degli effetti dei provvedimenti impugnati derivanti dal passato in giudicato delle sentenze di rigetto dei ricorsi proposti avverso gli atti medesimi. E ciò senza dire dei provvedimenti risalenti a diversi anni precedenti a quelli oggetto di gravame, mai impugnati e anche questi definitivamente consolidati.

Il Collegio, prescinde tuttavia da tale profilo ritenendo non sussistere alcuna ragione per disattendere le precedenti richiamate pronunce. In particolare, per ragioni di economia, rimanda integralmente alle motivazioni della sentenza 5144/010, nella quale è stato già evidenziato, quanto all’Associazione per la tutela ambientale della Versilia, che secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente le associazioni ambientaliste non comprese nell’elenco di cui all’art. 13 della legge n. 349 del 1986, sono legittimate a impugnare i provvedimenti lesivi di interessi ambientali qualora perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità, abbiano un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso.

Anche se è vero che l’affidamento al Ministero dell’ambiente, ex art. 13 l. 8 luglio 1986 n. 349, del potere di accertamento della legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste e dei comitati non esclude la possibilità per il giudice di valutare, caso per caso, l’applicabilità dell’art. 18 l. n. 349 del 1986, accertando la sussistenza della legittimazione in capo ad una determinata associazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi ambientali, la verifica di tale capacità di agire è assoggettata a precise e circoscritte condizioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760; Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2010 n. 1001), diversamente configurandosi un’azione popolare.

In concreto, contrariamente a quanto teorizzato dalla difesa delle ricorrenti nelle ultime memorie, un’associazione non riconosciuta territorialmente delimitata deve garantire il possesso dei requisiti, quanto a scopo, rappresentanza, articolazione territoriale, non occasionalità o contingibilità, attività di promozione di iniziative volte all’accrescimento dell’interesse verso valori ambientali propri del territorio di riferimento non dissimili, nel dovuto rapporto rispetto all’ambito territoriale di riferimento, a quelli propri delle associazioni riconosciute, essendo stati tali requisiti individuati dalla legge in via eccezionale e nella giusta mediazione – a temperamento del principio di personalità dell’azione in riferimento alla protezione di un interesse personale e attuale – come condizione necessaria al riconoscimento di un’iniziativa processuale a tutela di interessi ambientali coinvolgenti interessi diffusi della collettività.

Solo in tale ristretto ambito può non darsi rilievo in sé e per sé, ai fini della legittimazione (secondo anche la giurisprudenza richiamata a proprio favore), al provvedimento ministeriale di riconoscimento.

Diversamente, difetterebbe l’elemento di collegamento soggettivo con l’insieme degli interessi diffusi aventi a riferimento i valori ambientali da promuovere e perseguire, i quali solo divenendo stabilmente propri del soggetto esponenziale non sarebbero più adespoti e come tali lasciati all’esclusiva cura della pubblica amministrazione.

Ora, come già rilevato nella richiamata sentenza, "nel caso di specie non pare che in capo alla predetta Associazione siano configurabili integralmente i suddetti requisiti.

E’ depositato in atti lo statuto dell’associazione dal quale è possibile evincere (art. 3) che la medesima "ha per scopo la difesa e la tutela dell’ambiente e del territorio versiliese", ma tale profilo del tutto generico, in assenza di prova della effettiva rappresentatività conduce ad esito negativo l’accertamento della propria legittimazione ad impugnare l’atto in epigrafe.

E’ necessario, infatti, che sia provato il collegamento stabile con il territorio interessato, consolidatosi obiettivamente in un periodo di tempo significativo, nonché un’azione associativa dotata di adeguata consistenza e di rappresentatività degli interessi che si intendono tutelare, anche con riferimento al numero e alla qualità degli associati, aspetti che, nella fattispecie, non risultano dimostrati (T.A.R. Toscana, sez. II, 5 febbraio 1998, n. 145).

Quel che traspare dall’atto costitutivo è, invece, solo un’iniziativa di poco successiva all’avvio del procedimento di realizzazione dell’impianto di Falascaia e quindi concretizzata in un atto fondativo che appare così come strumentalmente finalizzato al promuovimento delle azioni giurisdizionali che di li a poco sarebbero state intentate (il primo ricorso risale infatti al 1998).

Per quanto riguarda, infine, l’altra ricorrente, sig.ra Bertolucci Daniela, non può che confermarsi il difetto di legittimazione, non fornendo la documentazione prodotta elementi che possano oggettivamente condurre a un diverso orientamento.

Si ribadisce che la mera presenza di una discarica o ad altro impianto per il trattamento e lo smaltimento (o recupero) di rifiuti anche a mezzo di termocombustione, non legittima il proprietario di un bene residente nel Comune nel cui territorio l’impianto insiste ad insorgere avverso gli atti con i quali si provvede all’approvazione del progetto dell’opera sotto i vari aspetti procedimentali o all’autorizzazione alla gestione e/o alla messa in esercizio dell’opera o ancora agli scarichi e immissione nell’atmosfera del prodotto della combustione, laddove non sussista un collegamento diretto, immediato e oggettivo fra quanto deliberato con i suddetti provvedimenti e un interesse giuridico personale del soggetto che si ritiene leso. Interesse personale non astratto, ma concreto e attuale in quanto direttamente inciso attraverso la lesione di un bene al quale l’ordinamento riconosce tutela. Tale non può qualificarsi, per esempio, l’aspettativa alla salubrità dell’ambiente o il timore generico di possibili effetti pregiudizievoli legati esclusivamente alla presenza dell’opera pubblica o dell’impianto, come nel caso di specie appare inequivocabilmente la situazione rappresentata dalla Bertolucci la quale si trova (secondo una perizia dalla stessa prodotta) a una distanza di quasi mezzo chilometro dall’impianto.

Anche con riguardo ai limiti di inquinamento acustico, la legittimazione può essere favorevolmente riconosciuta solo laddove sia accertato che effettivamente l’esercizio dell’impianto superi nei confronti della stessa ricorrente i limiti di immissione o emissione. Ma non risulta agli atti che sia stato mai accertato che l’abitazione della ricorrente sia raggiunta da rumori provenienti dall’impianto superiori ai limiti di legge. Né tale legittimazione può fondarsi sulla decisione dell’Amministrazione di approfondire gli accertamenti in un dato ambito territoriale, essendo tale decisione finalizzata, in una ratio precauzionale, ad un approfondimento generale (e non specifico ossia riferito ad un soggetto particolare) dell’indagine.acustica.

Né la stessa può invocare la sua legittimazione in via strumentale con riferimento al perseguimento di valori ambientali generici e diffusi, traducendosi essa in un’azione popolare che l’ordinamento giuridico vigente ammette eccezionalmente in tassativi casi che costituiscono numero chiuso, potendo il perseguimento di tali valori essere proficuamente conseguito attraverso l’azione delle associazioni ambientaliste riconosciute o se non riconosciuto – come sopra evidenziato – aventi requisiti simili alle stesse.

Neppure per la sua genericità può darsi rilievo alla perizia effettuata da un’agenzia immobiliare nella quale è genericamente stimato nel 30% il deprezzamento del valore della proprietà della stessa ricorrente, dovuto all’esistenza dell’impianto. Ciò in quanto a parte la genericità e approssimazione della stima, il diminuito valore non è rapportato ad un vulnus diretto ossia prodotto da un danno alla proprietà (esproprio, servitù od altro) o ancora al mutamento del rapporto fra proprietà e contiguo territorio (es. apertura o chiusura di una strada, mutamento destinazione ed altro) che determinino una relazione diretta con tale, bensì alla sola presenza dell’impianto, ma questa risale a diversi anni addietro ed è riconducibile a provvedimenti ormai consolidati.

A ciò va aggiunto che la sola esistenza nel territorio comunale di residenza dell’impianto di termovalorizzazione, astrattamente idoneo a incidere negativamente sul contesto ambientale di riferimento, non può di per sé fondare una legittimazione ad agire che la legge ripone invece nel pregiudizio di in un determinato interesse personale attuale meritevole di tutela.

In definitiva, come già evidenziato nella richiamata sentenza, "ciò che difetta nella fattispecie è la prova del danno che la ricorrente subirebbe dal funzionamento dell’impianto, non essendo a tal fine sufficienti generiche allegazioni afferenti alla nocività di questo sorrette da "dati di comune esperienza", ovvero riferite al diritto dell’interessata "a una vita salubre e ad un ambiente vivibile".

Manca, in buona sostanza, l’allegazione della sussistenza della una lesione immediata e diretta di un interesse personale ed attuale che deriverebbe dall’esecuzione del provvedimento impugnato.

Per le considerazioni sopra esposte, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione delle ricorrenti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fatta in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Condanna le parti ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento, in favore delle resistenti, delle spese di giudizio che si liquidano forfettariamente in Euro 3.000,00, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 4 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente, Estensore

Bernardo Massari, Consigliere

Pierpaolo Grauso, Primo Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *