Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-01-2013) 12-02-2013, n. 6848

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 26/4/2012, il Giudice per le indagini preliminari di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva l’opposizione proposta da C.V.M.T. avverso la propria ordinanza di rigetto dell’istanza di applicazione dell’indulto ai sensi della L. 31 luglio 2006, n. 241.

La C. è stata condannata in relazione ad una serie di estorsioni poste in essere nei confronti di P.M. nell’arco di quattro anni, dal settembre 2005 al settembre 2009, ritenuti riuniti per continuazione.

Il Giudice osservava che il giudice del merito non aveva indicato, nel calcolo della pena, quale fosse l’episodio più grave per il quale era stata calcolata la pena base di anni cinque di reclusione;

che, in mancanza di tale indicazione, doveva essere il giudice dell’esecuzione a specificare il dato mancante; che gli episodi più gravi erano avvenuti nel 2009, non potendosi utilizzare il solo criterio economico (che avrebbe portato ad indicare nel 2005 l’epoca in cui erano stati commessi i reati più gravi, poichè quell’anno la persona offesa aveva corrisposto alla C. la somma di Euro 40.000), poichè il danno morale e la particolare intensità del dolo erano nettamente superiori nell’ultimo periodo; che, pertanto, l’indulto, astrattamente concedibile per le condotte poste in essere prima del maggio 2006, non lo era concretamente, in quanto, nel quinquennio successivo alla data di entrata in vigore della L. n. 241 del 2006, la condannata aveva posto in essere un delitto che avrebbe comportato la revoca del beneficio, nel caso esso fosse stato concesso.

2. Ricorre per cassazione il difensore di C.V.M. T., deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 133 e 629 cod. pen. e L. n. 241 del 2006, artt. 1 e 3.

Il danno patrimoniale deve essere individuato come quello primario dell’estorsione, che è un delitto contro il patrimonio, dovendosi ritenere quello non patrimoniale di natura accessoria e strumentale in relazione alla struttura del delitto. Anche l’intensità del dolo deve essere commisurata alla condotta che abbia causato il danno patrimoniale maggiore. Nel caso della C., i reati più gravi dovevano, quindi, essere individuati in quelli commessi nell’agosto del 2005, quando la persona offesa aveva versato la somma complessiva di Euro 40.000.

L’ordinanza era errata anche nella parte in cui non concedeva il beneficio dell’indulto per le condotte anteriori al maggio del 2006 sul presupposto che le condotte successive avrebbero comportato la revoca del beneficio: la revoca riguarda esclusivamente coloro che hanno usufruito del condono, mentre la ricorrente non ne aveva beneficiato. Per di più il reato contestato alla C. era unico, per cui non poteva ritenersi che la stessa avesse commesso un reato dopo l’entrata in vigore della L. n. 241 cit..

La ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Il procuratore generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto del ricorso: il criterio per ritenere più grave un episodio di estorsione rispetto ad un altro non è quello esclusivamente patrimoniale; d’altro canto, l’art. 133 cod. pen. indica, come criteri per determinare la gravità del reato, sia la gravità del danno che quella del pericolo cagionati alla persona offesa. Quanto all’impossibilità di concedere l’indulto per le estorsioni commesse prima del maggio del 2006, essa sussisterebbe anche se il Giudice avesse ritenuto più gravi i primi episodi: una volta sciolta la continuazione, infatti, deve aversi riguardo non tanto all’aumento della pena calcolato per i reati satelliti, ma alla sanzione edittale minima prevista per i reati in questione, con la massima riduzione prevista per le eventuali attenuanti: quindi la condanna per estorsione commessa nel quinquennio successivo alla entrata in vigore della L. n. 241 cit. impedirebbe in ogni caso la concessione del beneficio.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere respinto.

La pretesa della ricorrente di dare prevalenza al criterio del maggior danno patrimoniale subito dalla persona offesa per individuare la più grave tra le estorsioni consumate è privo di un serio aggancio normativo, tale non potendosi considerare la classificazione, operata dal codice penale, dell’estorsione come reato contro il patrimonio, inquadramento che non ha alcuna portata pratica effettiva; esattamente il Giudice ha richiamato la norma di riferimento per determinare la gravità di un reato – quindi utilizzabile anche per individuare la maggiore gravità tra più reati dello stesso tipo – vale a dire l’art. 133 cod. pen.: tale norma non prevede affatto che il danno patrimoniale, nei reati contro il patrimonio, sia l’unico o il prevalente criterio da adottare per determinare la gravità della condotta.

D’altro canto, il giudice, nel valutare la gravità del danno cagionato dal reato, deve fare riferimento non soltanto a quello derivato, con relazione di diretta immediatezza, dalla lesione del bene protetto, ma anche alle conseguenze dannose indirette di tale lesione, senza però prendere in considerazione pregiudizi che si collocano in una dimensione remota rispetto all’atto lesivo. (Sez. 4, n. 1786 del 02/12/2008 – dep. 16/01/2009, Tomaccio e altri, Rv.

242565).

Se, quindi, non sussiste la violazione di legge denunciata, la motivazione adottata dal Giudice per individuare la maggiore gravità dell’estorsione compiuta nel 2009 appare logica e, del resto, il ricorrente, pur sostenendo che sarebbe stata più corretta una decisione di diverso tenore, non ne contesta la manifesta illogicità.

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato ed è già stato censurato dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno ritenuto infondata la tesi difensiva, secondo la quale la revoca dell’indulto sarebbe stata ammissibile solo in caso di sua già avvenuta applicazione, anche perchè essa creerebbe disparità di trattamento tra chi viene condannato con la stessa sentenza per tutti i fatti in continuazione e chi, invece, per altri fatti ritenuti in continuazione, viene condannato con sentenza successiva a quella che ha applicato il condono.

Pertanto, una volta operata la scissione del reato continuato al fine di procedere all’applicazione dell’indulto ai fatti commessi anteriormente al termine di efficacia previsto nel decreto di concessione, i fatti riacquistano la loro autonomia, onde è possibile che quelli commessi successivamente a quel termine integrino causa di revoca del condono applicato alle pene inflitte per quelli commessi in precedenza. (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996 – dep. 15/03/1996, Panigoni ed altri, Rv. 203976).

Ne consegue l’impossibilità di concedere il beneficio perchè esso dovrebbe essere contestualmente revocato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2013

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