T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 22-01-2011, n. 86

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con il ricorso in oggetto, parte ricorrente espone che la S. S.p.A. è società che, in data 23 dicembre 2002, si è fusa con la A.T.M. S.p.A. per dare vita al G.T.T. (G.T.T.) S.p.A.; e sia la S. S.p.A. che la A.T.M. S.p.A. erano concessionarie del servizio pubblico su strada urbana ed extraurbana e ferroviario in forza di convenzioni e, dal 2002 passate in capo a G.T.T., con le quali l’esercizio del servizio pubblico veniva svolto alle condizioni imposte dalla Regione, sia per quanto riguarda gli obblighi tariffari, sia per quanto riguarda gli obblighi di esercizio e di trasporto, comportando tale servizio degli oneri economici per gli operatori del settore che non possono essere coperti dagli introiti dei prezzi dei biglietti pagati dagli utenti.

Si espone ancora che S. ed A., nell’anno 1998, avevano svolto la loro attività di trasporto passeggeri con il rispetto degli obblighi di servizio pubblico imposti dalla Regione Piemonte, ente competente in materia di trasporto pubblico; proprio il rispetto degli obblighi imposti dalla Regione, ha comportato un disavanzo per entrambe le società; tali disavanzi sono stati prontamente comunicati alla Regione Piemonte che ha riconosciuto Euro 135.012.163 ad A. ed Euro 17.393.235 a S., lasciando il disavanzo residuo a carico delle Società.

Si espone ancora che il Regolamento della Commissione Europea n. 1191/1969, modificato successivamente dal Regolamento n. 1893/1991, al fine di tutelare la concorrenza, riconosce il diritto delle imprese esercitanti servizi pubblici di trasporto ad ottenere una compensazione effettiva e piena dei maggiori costi sostenuti in stretta correlazione con lo svolgimento del servizio pubblico che assicuri l’integrale copertura dei costi d’impresa; pertanto, in forza del Regolamento n. 1191/1969, con lettera prot. 28462 e 28464 del 14 dicembre 2007, la ricorrente ha messo in mora la Regione Piemonte.

Si espone, infine, che con lettere 12 febbraio 2008, la Regione ha negato la compensazione richiesta, sostenendo che la L. 151/1981 non riconosce l’integrale compensazione (come invece previsto dal Regolamento 1191/1969), ma soltanto un regime di erogazione di contributi regionali a copertura della differenza tra i costi ammissibili a seguito del raffronto con i costi economici standardizzati regionali ed i ricavi di esercizio.

Secondo parte ricorrente, il provvedimento in epigrafe indicato sarebbe illegittimo, per i seguenti motivi:

1.- Violazione Regolamento CEE n. 1191/69 modificato successivamente dal Regolamento CEE n. 1893/91. Violazione dell’art. 249, comma 2, Trattato CE. Violazione dei principi in materia di concorrenza.

2.- Violazione dell’art. 249, par. 2, Trattato CE sotto diverso profilo.

3.- Istanza di pronuncia in via pregiudiziale ex art. 234, lett. b) del Trattato CE.

Si chiede, inoltre, l’accertamento del diritto di ricevere la somma a titolo di compensazione come sopra specificato.

accertanda in corso di causa, a titolo di compensazione degli oneri economici sostenuti dalla S. S.p.A. e dalla A. S.p.A. nell’esercizio 1997 per l’adempimento di obblighi di servizio pubblico.

Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 15 dicembre 2010, il ricorso veniva posto in decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, occorre soffermarsi sulla giurisdizione del giudice adito.

Al riguardo rileva il Collegio che questa Sezione, con sentenza 10 giugno 2010, n. 2750, in un caso analogo, ha stabilito alcuni principi, ponendo, in primo luogo, attenzione alla natura giuridica del contratto di servizio concluso tra ricorrente e Amministrazione, sostanzialmente alla base della richiesta attorea.

I contratti di servizio, in quanto non negozi di diritto privato, ma cd. contratti ad oggetto pubblico e, in particolare, ricadenti nella categoria degli accordi sostitutivi di provvedimento, cioè sostitutivi del provvedimento concessorio precedentemente sussistente e regolante i rapporti gestoreAmministrazione, consentono l’operare della giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 11 della l. 241 del 1990 e, oggi, art. 1, comma 1, lett. a), n. 1 del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. Codice del processo amministrativo).

Analogamente, nel caso di specie, sia la S. S.p.A. che la A.T.M. S.p.A. erano concessionarie del servizio pubblico su strada urbana ed extraurbana e ferroviario in forza di convenzioni, convenzioni dal 2002 passate in capo a G.T.T., attuale ricorrente.

Anche tali convenzioni non sono altro che accordi sostitutivi di provvedimento, in quanto sostitutivi del provvedimento concessorio, regolante i rapporti gestoreAmministrazione, per cui opera pienamente la giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 11 della l. 241 del 1990 e, oggi, art. 1, comma 1, lett. a), n. 1 del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Solo per i provvedimenti di concessione (di servizio pubblico), provvedimento che, nella specie, non si riscontra, atteso che il rapporto è regolato esclusivamente dalle suddette convenzioni, opera pur sempre la giurisdizione esclusiva ex art. 33 D. Lgs. n. 80 del 1998 e, oggi, ex art. 1, comma 1, lett. b), del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ma con un contenuto (incomprensibilmente) più ristretto, poiché esclude espressamente le controversie concernenti "indennità, canoni ed altri corrispettivi".

Poiché la controversia in oggetto è, invece, una controversia su accordi sostitutivi di provvedimento, non opera la limitazione della giurisdizione suddetta (corrispettivo), ma opera pienamente, come detto, la giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 11 della l. 241 del 1990 e, oggi, art. 1, comma 1, lett. a), n. 1 del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Anche per quanto riguarda il merito, il Collegio non può che riferirsi al precedente richiamato (citata sentenza 10 giugno 2010, n. 2750), di cui sinteticamente si richiamano gli snodi argomentativi.

In primo luogo, nelle convenzioni, così come nei "contratti di servizio", a fronte dell’imposizione degli obblighi di servizio pubblico, si prevede la corresponsione al concessionario di compensazioni economiche derivanti da contributi pubblici, non commisurati al principio di integrale copertura dei costi.

In secondo luogo, in tali convenzioni l’Amministrazione utilizza il suo potere autoritativo inteso come potere funzionalizzato, mai (almeno in linea di principio, e fatte salve eventuali situazioni speciali, o, meglio, eccezionali) un potere libero, qualificabile (a pieno titolo) come autonomia privata; si tratta sempre di potere (precettivo) soggetto allo statuto tipico dell’azione amministrativa, essendo un potere funzionalizzato; non essendo un potere libero, non è possibile confonderlo con l’autonomia privata; ed essendo sempre lo stesso, esso è disciplinato, almeno nelle linee fondamentali, sempre nello stesso modo: per esso vige un solo statuto giuridico.

Pertanto, il regime a statuto giuridico non si limita ad imprimere al potere precettivo il c.d. vincolo di scopo (finalizzandolo cioè alla soddisfazione dell’interesse pubblico), ma lo sottopone ad una serie di regole, formali e sostanziali; le quali possono essere riassunte, rispettivamente, nel principio del procedimento e nel principio del rispetto degli amministrati, includendo in questi ultimi sia gli interessati, sia i terzi. Al principio sostanziale fanno capo le regole della imparzialità, della proporzionalità, della trasparenza, e così via.

Tutto ciò con inevitabili ricadute di disciplina, in parte a vantaggio del privato, che potrà fare leva sui classici strumenti di controllo come l’impugnazione per eccesso di potere (da rivolgere contro l’accordo stesso, ovvero contro la determinazione preliminare dell’Amministrazione, che è alla base dell’accordo) che il privato, in ambito civilistico, non può esercitare; per contro, l’accordo e la relativa determinazione preliminare saranno sottoposti al regime dell’impugnabilità/annullabilità, con tutti i corollari riferibili, in primo luogo, ai termini di decadenza per far valere i vizi amministrativi dell’atto consensuale, in quanto esercizio di potere.

Resta, peraltro, inteso che l’accordo, in quanto atto consensuale, sarà altresì impugnabile in tutti i casi ammessi dal codice civile, di cui saranno applicabili tutti i relativi rimedi contrattuali, purché non incompatibili con l’applicazione delle regole tratte dal regime pubblicistico: tali rimedi civilistici, dunque, si aggiungeranno a quelli pubblicistici, come, ad es. per l’azione di annullamento ex art. 1441 c.c. o per l’azione di adempimento o di risoluzione; in altri casi, ove ci sarà incompatibilità, prevarrà, come è ovvio, la disciplina e il regime di rimedi pubblicistici, con tutti i vantaggi, e gli svantaggi che essi comportano.

Innanzitutto, in relazione alla violazione di norme imperative, non sarà possibile esercitare l’azione di nullità ex art. 1418 c.c., poiché tale azione è incompatibile con il regime di tutela pubblicistica approntato dall’ordinamento per reagire contro le violazioni di legge perpetrate dall’Amministrazione, in funzione di tutela del principio di legalità.

La violazione di norma imperativa è una violazione di legge e andrà trattata seconda la disciplina pubblicistica, con l’ovvia esigenza di impugnare l’atto, per tali motivi, entro 60 giorni e con la conseguenza che il vizio non può farsi valere senza esercitare tale azione finalizzata all’annullamento dell’atto stesso.

Infatti, se gli accordi sono integrativi o sostitutivi di provvedimenti, devono poter essere sindacati alla stregua di provvedimenti (così come sono assoggettati agli stessi controlli); altrimenti la conclusione di un accordo al posto della emanazione di un provvedimento danneggerebbe la posizione dei terzi, in violazione della raccomandazione espressa contenuta nella legge. Il che peraltro comporta che non vengano salvaguardati solo i diritti dei terzi, ma anche, e soprattutto, i loro interessi legittimi. In questo modo acquista un significato preciso la proposizione legislativa in esame; coordinandosi altresì con l’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo e lo statuto e il regime di diritto pubblico cui soggiace l’atto consensuale.

Il problema della disciplina applicabile, infatti, assume rilievo allorché si prenda in considerazione nel suo insieme il regime della validità degli accordi, dato che, in astratto, esso può assimilarsi al regime proprio dei provvedimenti amministrativi ovvero al regime proprio dei contratti, l’uno avente a riferimento prevalente il profilo funzionale, l’altro il profilo strutturale della fattispecie.

In astratto, si può pensare che la validità degli accordi procedimentali vada sindacata insieme alla validità dei provvedimenti che necessariamente li seguono; che, invece, la validità degli accordi sostitutivi vada parametrata sui principi della validità dei contratti. Occorre peraltro tener conto della giurisdizione, attribuita al giudice amministrativo; il quale utilizza il canone della legittimità e non quello della validità strutturale.

Come si è già esposto, e si ribadisce, tali accordi, partecipando a pieno titolo alla natura pubblicistica, in quanto esercizio di potere, sono assoggettati ad un regime di rimedi parallelo per il privato contraente e per il terzo, ovvero l’azione di impugnazione prevista, nella versione normativa più recente, dall’art. 21octies, primo comma, l. 241 del 1990. In più, in quanto anche atti consensuali, come già detto, si consente, al solo contraente, l’esercizio dei rimedi disciplinati dal codice civile: in caso di sovrapposizione di rimedi, come per il caso della nullità per violazione di norme imperative, di cui si è detto, dovranno necessariamente prevalere i rimedi pubblicistici atteso il limite di compatibilità del richiamo al codice civile, peraltro esteso soltanto ai principi, in coerenza con la natura giuridica degli accordi.

Pertanto, e conclusivamente, si deve ritenere che la nullità dell’atto consensuale, nella specie, la convenzione o, più in generale, il "contratto di servizio" per violazione di norma imperativa possa essere fatto valere soltanto tramite l’azione di annullamento ex artt. 21octies l. 241 del 1990 e 26 r.d. 1054 del 1924.

Con l’ovvia conseguenza che non solo non potrà applicarsi il regime di cui all’art. 1339 c.c., relativamente alla sostituzione di clausole e prezzi imposti, norma che postula la nullità per violazione di norma imperativa e che, come visto, per gli atti dei pubblici poteri non può applicarsi, essendo un predicato tipico degli atti genuinamente privati; bensì che identica conclusione debba valere anche nell’ipotesi in cui l’atto amministrativo (in forma unilaterale o bilateraleconsensuale) si assuma in contrasto con una disposizione di rango comunitario che, come è noto, si risolve sul piano interno in un vizio di legittimità.

Pertanto, una volta che la convenzione abbia indicato un determinato criterio di compensazione degli oneri di servizio, come nella specie, in difformità rispetto alle norme comunitarie, anche soltanto tramite il richiamo a norme interne incompatibili con il diritto comunitario, valendo tale richiamo a rendere "pattizia" e, dunque, convenzionale, la regola tratta dalle disposizioni interne, non sarà possibile applicare criteri diversi se non impugnando l’accordo nei termini di decadenza, per violazione di legge.

Nello specifico, passando brevemente ad esaminare le disposizioni comunitarie rilevanti, si deve osservare che il Reg. 1191/69 CEE e s.m.i., relativo al settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile, consente agli Stati membri di imporre obblighi di servizio pubblico alle imprese pubbliche incaricate di assicurare il trasporto di passeggeri in un comune e di prevedere, per gli oneri che ne derivano, una compensazione determinata conformemente alle disposizioni del regolamento stesso: infatti, tale regolamento osta alla concessione di un’indennità di compensazione a favore di imprese incaricate del trasporto pubblico in un Comune, qualora non sia possibile determinare l’importo dei costi imputabili a quella parte di attività che costituisce esecuzione degli obblighi di servizio pubblico (Corte giustizia CE, sez. II, 7 maggio 2009, n. 504).

Secondo la disciplina comunitaria, per garantire servizi di trasporto sufficienti tenendo conto segnatamente dei fattori sociali, ambientali e di assetto del territorio o per offrire particolari condizioni tariffarie a favore di determinate categorie di passeggeri le competenti autorità degli Stati membri possono concludere contratti di servizio pubblico con un’impresa di trasporto. Le condizioni e le modalità di tali contratti sono definite nella sezione V del Regolamento.

In linea generale, infatti, secondo la normativa comunitaria, le competenti autorità degli Stati membri possono mantenere o imporre gli obblighi di servizio pubblico di cui all’art. 2 Reg. cit. per i servizi urbani, extraurbani e regionali di trasporto di passeggeri: le condizioni e le modalità, compresi i metodi di compensazione, sono definiti nelle sezioni II, III e IV.

Quando un’impresa di trasporto svolge contemporaneamente servizi soggetti ad obblighi di servizio pubblico ed altre attività, i servizi pubblici devono formare oggetto di sezioni distinte che rispondano come minimo ai seguenti requisiti:

a) separazione di conti corrispondenti a ciascuna attività di esercizio e ripartizione delle relative quote di patrimonio in base alle norme contabili vigenti;

b) spese bilanciate dalle entrate di esercizio e dai versamenti dei poteri pubblici, senza possibilità di trasferimento da o verso altri settori d’attività dell’impresa.

Ai termini dell’art. 2, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1191/69 per obblighi di servizio pubblico si intendono gli obblighi che l’impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura né alle stesse condizioni. Gli obblighi di servizio pubblico ai sensi del paragrafo 1 comprendono l’obbligo di esercizio, l’obbligo di trasporto e l’obbligo tariffario.

L’art. 6, n. 2, del regolamento n. 1191/69 stabilisce che le decisioni di mantenere o di sopprimere a termine, totalmente o parzialmente, un obbligo di servizio pubblico, prevedono, per gli oneri che ne derivano, la concessione di una compensazione determinata secondo i metodi comuni di cui agli articolo 10, 11, 12 e 13.

L’art. 10 del regolamento, in specifico, prevede che per quanto riguarda l’obbligo d’esercizio o di trasporto, l’ammontare della compensazione prevista all’articolo 6 è pari alla differenza tra la diminuzione degli oneri e la diminuzione degli introiti dell’impresa che può derivare, per il periodo di tempo considerato, dalla soppressione totale o parziale corrispondente dell’obbligo in questione.

Tuttavia, se gli svantaggi economici sono stati calcolati suddividendo i costi complessivi sostenuti dall’impresa per la sua attività di trasporto fra le varie parti di questa attività di trasporto, l’ammontare della compensazione è pari alla differenza fra i costi imputabili alla parte dell’attività dell’impresa interessata dall’obbligo di servizio pubblico e l’introito corrispondente.

L’art. 17, n. 2, primo comma, del regolamento n. 1191/69 dispone ancora che le compensazioni risultanti dall’applicazione del presente regolamento sono dispensate dalla procedura di informazione preventiva di cui all’articolo 88, paragrafo 3, CE.

Infatti, pur avendo come obiettivo l’eliminazione degli obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico, come emerge sia dai primi due considerando, sia dall’art. 1, n. 3, del regolamento n. 1191/69, l’art. 1, n. 5, del medesimo prevede che le competenti autorità degli Stati membri possano mantenere o imporre gli obblighi di servizio pubblico di cui all’art. 2 di tale regolamento per i servizi urbani, extraurbani e regionali di trasporto di passeggeri. Le condizioni e le modalità, compresi i metodi di compensazione, sono definiti nelle sezioni II, III e IV del medesimo regolamento, come detto.

Dato che l’obbligo di compensazione, in virtù del regolamento n. 1191/69, è necessariamente legato all’esecuzione di obblighi di servizio pubblico, le imprese che sono considerate fornitrici di un servizio di trasporto pubblico di passeggeri senza che alcun obbligo di servizio pubblico sia loro imposto non potrebbero beneficiare di una tale compensazione.

Peraltro, la concessione da parte di uno Stato membro di indennità di compensazione a imprese di trasporto titolari di una concessione di servizio pubblico e che beneficiano, all’interno di determinati perimetri urbani, di un regime di esclusiva a causa degli obblighi di servizio pubblico a cui esse sono assoggettate non configura un aiuto di Stato vietato dall’art. 87, n. 1, CE nel caso in cui queste imprese esercitino, peraltro, questa attività anche in concorrenza con operatori privati al di fuori di detto perimetro e qualora sia possibile calcolare il costo aggiuntivo derivante dall’adempimento agli obblighi di servizio pubblico.

Infatti, l’art. 87 CE si colloca nelle disposizioni generali del Trattato relative agli aiuti di Stato, mentre l’art. 73 CE introduce nel settore dei trasporti una deroga alle norme generali applicabili agli aiuti di Stato, disponendo che gli aiuti che soddisfano le esigenze di coordinamento dei trasporti o che corrispondono al rimborso di talune servitù inerenti alla nozione di pubblico servizio sono compatibili con il Trattato. Il regolamento n. 1191/69 instaura un regime cui gli Stati membri sono tenuti ad attenersi quando prevedono di imporre obblighi di servizio pubblico alle imprese di trasporto terrestre (v. Corte di Giustizia sentenze Altmark, 24 luglio 2003, n. 280).

Il regolamento n. 1191/69 osta alla concessione di indennità di compensazione qualora non sia possibile determinare l’importo dei costi imputabili all’attività delle imprese interessate esercitata nell’ambito dell’esecuzione dei loro obblighi di servizio pubblico. Poiché le indennità di compensazione di cui trattasi rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1191/69, la compatibilità delle medesime con il diritto comunitario deve essere valutata secondo le disposizioni previste da tale regolamento e non con riferimento alle disposizioni del Trattato relative agli aiuti di Stato.

Nel caso in cui il giudice giunga alla conclusione che dette indennità non sono state concesse in conformità con il regolamento n. 1191/69, spetta al medesimo, con riferimento all’applicabilità diretta di tale regolamento, trarne tutte le conseguenze, conformemente al diritto nazionale, per quanto riguarda la validità degli atti che comportano l’attuazione di dette indennità.

Alla luce delle suesposte considerazioni, il Giudice comunitario ha esplicitamente affermato che quando un giudice nazionale constata l’incompatibilità di talune misure di aiuto con il regolamento n. 1191/69, spetta al medesimo trarne tutte le conseguenze, conformemente al diritto nazionale, per quanto riguarda la validità degli atti che comportano l’attuazione di dette misure (Corte giustizia CE, sez. II, 7 maggio 2009, n. 504).

Pertanto, anche per il giudice comunitario si realizza, in caso di contrasto con la disciplina comunitaria di cui al Regolamento sui trasporti, un caso di invalidità, ma secondo il regime del singolo stato membro, che per il nostro ordinamento, come si è detto, è il regime dell’annullabilità/impugnabilità propria degli atti di esercizio (unilaterale o consensuale) del potere pubblico.

Pertanto, non avendo esercitato, in questo giudizio, l’azione di annullamento all’uopo prevista avverso l’accordo per violazione di legge (comunitaria), il ricorso non può trovare accoglimento.

Peraltro, anche a volere ritenere che, nello schema logico e giuridico del processo impugnatorio avanti al G.A., sia ammissibile la mera azione (atipica) di accertamento dell’illegittimità (prospettiva accolta dal Consiglio di Stato con le note sentenze, Sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717 e 15 aprile 2010, n. 2139), sia in quanto ciò corrisponderebbe all’effettività di tutela di cui all’art. 24 Cost., di cui l’art. 113 è rappresenta soltanto una species (sottoforma di tutela costitutivademolitoria), sia in quanto l’azione di accertamento è il passaggio logico necessario per l’annullamento, sia in quanto l’azione di accertamento non è prevista espressamente neppure nel processo civile ove la si ritiene implicitamente e pacificamente sussistente e anzi necessaria, sia in quanto si voglia ottenere un accertamento giurisdizionale al fine di sollecitare il successivo esercizio del potere amministrativo (es. sostituzione della clausola), sia, infine, in quanto anche la tradizionale configurazione del giudizio di annullamento come giudizio sull’atto (e non sul rapporto) non è più così pacifica come era in passato, la domanda di parte ricorrente non può trovare accoglimento.

In disparte le ovvie considerazioni in tema di violazione dei termini per proporre il ricorso, che devono comunque essere omogenei tra azione di annullamento e di accertamento, altrimenti eludendo la disciplina cogente della decadenza.

Infatti, come si evince a livello comunitario (sentenza cd. "Combus" 16 marzo 2004, Causa T157/01 del Tribunale di primo grado delle Comunità europee) si deve operare un’importante distinzione, all’interno del Reg. (CEE) 1191/69 e 1893/91, tra obblighi di servizio pubblico e contratti o convenzioni di servizio: gli obblighi di servizio pubblico sussistono solo in caso di mantenimento o imposizione di obblighi di servizio pubblico (prescindendo da una contrattazione con l’impresa) con la conseguenza che devono essere applicati i metodi comuni di compensazione previsti nel Regolamento (punto 77); nei contratti di servizio pubblico (come nelle convenzioni) vige un regime puramente contrattuale sotto il profilo contenutistico che, come tale, non prevede, ai sensi del regolamento, né un obbligo di servizio pubblico né una compensazione. Le prestazioni di trasporto fornite sono remunerate con il prezzo contrattuale concordato dalle parti (punti 7782). Nel sistema a regime del trasporto pubblico locale gli obblighi di servizio non sono imposti alle imprese, ma diverrebbero oggetto di un accordo contrattuale nel quale il prezzo deve essere determinato nel rispetto dei metodi comuni stabiliti nel Reg. (CEE) 1191/69 – 1893/91 di cui si è detto.

Ai sensi del reg. Cee n. 1191/69 del Consiglio, adottato il 26 giugno 1969, ma nel testo risultante dalle modifiche introdotte con il regolamento Cee n. 1893/91, adottato dal Consiglio il 20 giugno 1991, le imprese concessionarie di servizi pubblici di trasporto hanno diritto alla compensazione piena ed effettiva dei maggiori costi sostenuti in stretta correlazione con gli obblighi ad essi imposti dalle autorità concedenti (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 29 agosto 2006, n. 5043).

Infatti, il Regolamento CEE n. 1191/69 del Consiglio adottato il 26 giugno 1969, nel testo risultante dalle modificazioni introdotte con il Regolamento CEE n. 1893/91 adottato dal Consiglio in data 20 giugno 1991, nel prevedere che gli Stati membri possono escludere dal suo campo di applicazione le imprese la cui attività è limitata esclusivamente alla fornitura di servizi di trasporto urbani, extraurbani o regionali (attività svolta dalla ricorrente per quel che qui interessa) espressamente dispone che le condizioni modalità compresi i metodi di compensazione, sono definiti nelle sezioni II, III, e IV.

Nella sezione seconda del Regolamento CEE qui in esame, nel dettare le regole comuni per la soppressione o il mantenimento totale o parziale di un obbligo di servizio pubblico, il legislatore comunitario ha chiarito, in modo non equivoco, che le decisioni di mantenere o di sopprimere a termine, totalmente o parzialmente, un obbligo di servizio pubblico, prevedono, per gli oneri che ne derivano, la concessione di una compensazione determinata secondo i metodi comuni già ricordati (articoli 10, 11, 12, 13 e articolo 6, comma secondo).

La sostituzione, dunque, non potrebbe ritenersi automatica, poiché il Regolamento comunitario non prevede una clausola rigida e specifica, bensì soltanto un metodo di calcolo che, potendo presentare margini di negoziabilità da parte dei paciscenti, in quanto oggetto di un accordo, come si è detto, non è suscettibile di immediata applicazione.

In altre parole, cogente a livello comunitario è il metodo non il risultato, che può presentare margini, pur ristretti, di variabilità e che, molto opportunamente, il Regolamento comunitario lascia nella disponibilità delle parti e nell’ambito della negoziazione volta alla conclusione dell’anzidetto "contratto" (o nella convenzione, come nel caso di specie).

Pertanto, alla luce dell’insieme delle predette argomentazioni, il ricorso deve essere respinto, in quanto infondato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda),

definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Paolo Giovanni Nicolò Lotti, Consigliere, Estensore

Manuela Sinigoi, Referendario
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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