Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-01-2013) 12-02-2013, n. 6831

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12.7.2011 il gip del Tribunale militare di Napoli dichiarava non luogo a procedere nei confronti di M.C. in ordine al reato a lui ascritto di insubordinazione con ingiuria continuata in quanto, nella sua qualità di caporal maggiore capo scelto, in servizio presso la prima compagnia Trasporti del battaglione Trasporti del decimo reggimento trasporti di Bari, aveva offeso l’onore del primo maresciallo Z.M. nel corso di una telefonata fatta con il proprio cellulare per avvertirlo del ritardo con cui sarebbe arrivato in caserma.

Ad opinione del gip non sussistevano i presupposti per ritenere provato il reato contestato poichè, se era certo che una breve telefonata era intercorsa tra i due, visti gli esiti dei tabulati telefonici, non vi era certezza sul tenore del breve colloquio intercorso tra M. e Z.. Non solo, ma anche ammesso che il M. si fosse rivolto al superiore con la frase incriminata ("che cazzo vuoi"), la stessa sarebbe significativa di rozzezza e insolenza, senza poter essere considerata idonea a mortificare la dignità del suo destinatario. La frase poi che sarebbe stata pronunciata a chiusura della comunicazione ("non mi rompere il cazzo") andava valutata come un’insolente avversione, significativa di una volontà di interrompere il dialogo, piuttosto che di una volontà di rivestire di infamia il destinatario.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Militare della Repubblica presso il Tribunale di Napoli per dedurre inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchè per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: vien fatto notare come le frasi pronunciate dall’imputato e riferite dalla persona offesa sarebbero connotate da valenza ingiuriosa, avendo espresso dileggio e disprezzo nei confronti dell’interlocutore e tali quindi da apparire lesive dell’onore e del decoro della persona. Frasi che sarebbero state pronunciate in un contesto di servizio e non di scherzo.

La dichiarazione della persona offesa doveva costituire la base probante, attesa la serenità con cui il fatto venne rappresentato in sede di denuncia; in ogni caso il giudice avrebbe dovuto, secondo il ricorrente, fare ricorso all’art. 507 cod. proc. pen. e quindi integrare la prova ove ritenuta insufficiente.

Veniva aggiunto che il delitto è a dolo generico e che nel caso di specie l’oggetto della tutela della norma non è solo il patrimonio morale della persona offesa, ma anche il rapporto gerarchico tra superiore ed inferiore, inteso nella sua corretta esplicazione, che risultò leso da atteggiamenti denotanti disprezzo, dileggio e mancanza di rispetto nei confronti dell’interlocutore. Per questo viene chiesto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Come opinato anche dal Procuratore Generale Militare, si deve concludere che il gup ha sicuramente travalicato il suo ambito di cognizione, giungendo precipitosamente alla conclusione di insussistenza del reato laddove le indicazioni della persona offesa (accreditate dai riscontri dei tabulati telefonici che davano contezza del colloquio intercorso tra l’imputato ed il suo superiore) consentivano fondatamente di ipotizzare che i termini della telefonata avessero avuto il tasso di insolenza e di offensività rappresentato, considerato che le indicazioni dell’offeso hanno inevitabilmente un valore aggiunto rispetto a quelle dell’imputato (a cui è riconosciuto il diritto a mentire). La valutazione del gup risulta del tutto inadeguata nella sede in cui è stata assunta, profilandosi ipotesi degna di essere verificata in giudizio quella ipotizzata dall’accusa; solo una prognosi di inutilità del giudizio per esclusione della possibilità di una sua evoluzione in senso favorevole all’accusa in esito all’esame del materiale probatorio raccolto può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere, ma tale evenienza non ricorreva nel caso di specie. La valutazione operata non è quindi corretta, non essendo stato dimostrato se non con intempestiva e forzata opzione valutativa che l’accusa non avrebbe potuto ottenere una affermazione di responsabilità nel caso in cui il processo fosse stato celebrato. Ne devono seguire l’annullamento della sentenza ed il rinvio per nuovo giudizio al gup del Tribunale militare di Napoli.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al gup Tribunale Militare di Napoli.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2013

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