Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-01-2013) 05-12-2013, n. 48841

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 15 maggio 2009 il G.u.p. del Tribunale di Velletri, all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato, tra l’altro, V.M. e C.G. colpevoli dei reati di cui ai capi di imputazione sub A), B)f D), E), F), I) e J), e ha condannato il primo alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed euro ottocento di multa e il secondo alla pena di anni due e mesi due di reclusione ed Euro seicento di multa, assolvendoli entrambi dai reati di cui ai capi C) e G) e dichiarando non doversi procedere nei confronti di entrambi per il reato di cui al capo H), perchè estinto per intervenuta prescrizione.

2. La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 9 febbraio 2012, ha dichiarato, in riforma della sentenza di primo grado, non doversi procedere nei confronti degli imputati appellanti in ordine ai reati loro ascritti ai capi D), E), F) e J) perchè estinti per intervenuta prescrizione, e ha determinato la pena per i residui reati di cui ai capi A), B) e I) in anni due, mesi sette e giorni venticinque di reclusione ed euro cinquecentoventisette di multa per V. e in anni uno, mesi cinque e giorni venticinque di reclusione ed euro trecentosettantatre di multa per C..

3. I reati, per i quali è stata confermata la pronuncia di condanna degli imputati V. e C., sono più specificamente:

– il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e 9, L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 12, per avere gli stessi, in concorso tra loro, detenuto e portato in luogo pubblico un mitra MAB (moschetto automatico Beretta cal. 9 parabellum), arma da guerra già in dotazione alle Forze armate e di polizia, con matricola abrasa e con relative munizioni, utilizzandolo per la commissione dei reati di cui ai capi di imputazione successivi (danneggiamento aggravato di autovettura di proprietà del Ministero dell’Interno, simulazione e altro), con l’aggravante di avere commesso il fatto con violazione dei doveri inerenti le pubbliche funzioni esercitate in qualità di assistenti capo della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di Anzio – sezione volanti (capo A);

– il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 648 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e 9 per avere i predetti ricevuto, in concorso tra loro, al fine di ingiusto profitto e di compiere i successivi reati, l’arma già indicata, di provenienza illecita in quanto illegalmente modificata e con matricola abrasa, con le medesime predette aggravanti (capo B);

– il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 648 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e 9, per avere i medesimi ricevuto, in concorso tra loro, al fine di ingiusto profitto e della commissione degli ulteriori reati contestati, da S.C., detto N., loro coimputato, l’autovettura Fiat Uno targ. (OMISSIS) di provenienza illecita, in quanto compendio di furto in data (OMISSIS) ai danni di D.L., con le stesse indicate aggravanti (capo I).

4. La vicenda, che aveva fondato le plurime contestazioni e le tre imputazioni residuate dopo le pronunce di assoluzione e di proscioglimento, era stata ricostruita dal primo Giudice alla luce delle emergenze delle acquisite fonti di prova, costituite dalla comunicazione di notizia di reato e dall’allegato verbale di fermo del 7 febbraio 2004 e dalle dichiarazioni confessorie degli stessi imputati, diffusamente riportate in sentenza.

Era emerso che V.M. e C.G., in servizio quali assistenti capo presso il Commissariato di P.S. di (OMISSIS), con l’ausilio di S.C., conosciuto dal primo in quanto confidente di polizia, avevano inscenato un conflitto a fuoco, servendosi di un’autovettura Fiat Uno rubata e di un’arma da guerra (MAB) con matricola abrasa, messe a disposizione da S., che aveva loro indicato il luogo dove le aveva nascoste, e avevano crivellato di colpi l’auto di servizio.

I due imputati, dopo aver dato l’allarme alla sala operativa, avevano simulato il conflitto a fuoco, servendosi della indicata arma, con la quale V. aveva esploso i colpi che avevano danneggiato l’auto di servizio, e, sparando poi con la pistola di ordinanza, con la quale avevano danneggiato l’autovettura provento del furto.

In tal modo, anche i due agenti – oltre a S. che l’aveva portato sul luogo del fatto, nascosto e lasciato a loro disposizione – avevano avuto nella loro disponibilità il MAB, temporaneamente detenuto e portato in luogo pubblico, ponendo in essere condotte di detenzione illecita e porto illegale dell’arma, di ricettazione della stessa arma, ricevuta e detenuta sapendo che era stata privata del numero di matricola ed era quindi di provenienza illecita, di ricettazione dell’autovettura Fiat Uno, della quale, provento di furto, avevano conseguito la disponibilità, utilizzandola per simulare il conflitto a fuoco, di danneggiamento con i colpi esplosi delle due autovetture (quella di servizio e quella oggetto di furto), di simulazione delle tracce di reato avendo determinato l’avvio di indagini contro ignoti per il conflitto a fuoco inscenato, e di falso per le mendaci annotazioni di polizia giudiziaria.

5. La Corte d’appello, che riportava integralmente la sentenza di primo grado, sintetizzava i motivi di appello proposti dai due imputati appellanti, che riteneva infondati.

5.1. Quanto a V. e al disturbo della personalità dallo stesso addotto, e già sostenuto in primo grado, secondo la Corte, erano sicuramente pertinenti le considerazioni diffusamente svolte e afferenti alla salute del medesimo, ma la rilevanza penale della salute (attiva o passiva, fisica o mentale) nel contesto del procedimento penale di cognizione, ai fini dell’accertamento della capacità di autodeterminazione e di comprensione della valenza delle azioni commesse, doveva essere valutata secondo criteri tali da rendere certo che il disagio avesse contaminato detta capacità, e non solamente il procedimento di formazione del motivo a commettere il reato.

La disamina scientifica svolta dal consulente di parte, e analizzata dal primo Giudice con condivise argomentazioni, aveva messo in luce, a carico del medesimo, un disturbo dell’adattamento reattivo a stress occupazionale, compatibile con una situazione di mobbing. Tale stress, tuttavia, aveva inciso sul "processo di elaborazione della reazione" e portato l’imputato a ritenere la condotta contestata proporzionata alle condizioni in cui versava in ambiente lavorativo, senza che ciò significasse che egli non comprendesse il peso e le conseguenze delle azioni che stava compiendo e le loro conseguenze, si da elidere o attenuare la sua responsabilità penale.

Nè erano emerse patologie di rilievo dalla visita medico – legale del 3 febbraio 2004 disposta dal Pubblico Ministero.

Peraltro, una patologia psichiatrica di V., ove sussistente, avrebbe dovuto aver "contagiato" anche il coimputato C., che lo aveva coadiuvato, ed era da ritenere incompatibile con problematiche attinenti alla capacità di intendere e di volere dell’appellante la intervenuta pianificazione da parte sua della propria condotta con uno specifico fine utilitaristico, espressione invece di una distorsione reattiva.

5.2. Quanto a C., la condotta tenuta, secondo la Corte, non era riconducibile alla connivenza con il coimputato V. per il solo fatto che il medesimo non aveva avuto contatti fisici con l’autovettura ricettata e con l’arma utilizzata per il finto attentato.

Il detto appellante non solo non aveva espresso un minimo intento dissuasore verso il collega poliziotto, ma aveva prestato un contributo fondamentale nella determinazione dello stesso alla commissione dei reati contestati, che avevano richiesto un consistente periodo di preparazione per il reperimento dell’autovettura e dell’arma ed erano stati realizzati dal predetto perchè consapevole della complicità del collega e del suo appoggio testimoniale, non revocato.

5.3. Con riguardo al trattamento sanzionatorio, la dosimetria della pena era assolutamente proporzionata alla gravità dei fatti e alla personalità degli imputati e la concessione delle attenuanti generiche a V. ovvero, comunque, una ulteriore "flessione sanzionatola" non erano giustificate in assenza di elementi di meritevolezza, mentre era di evidente intensità il dolo ideativo ed esecutivo della condotta ascritta.

La rideterminazione del quantum della pena, che era disposta sulla base della già determinata dosimetria sanzionatoria, era da porre in relazione alla intervenuta declaratoria di estinzione dei reati di cui ai capi D), E), F) e J) per intervenuta prescrizione.

6. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione con distinti atti, per mezzo dei loro difensori, entrambi gli imputati.

6.1. V.M. chiede l’annullamento della sentenza sulla base di unico motivo, con il quale denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

Secondo il ricorrente, la Corte d’appello, nel respingere la tesi difensiva secondo la quale egli era affetto, nel momento della commissione del fatto, da un’alterazione dei processi intellettivi e volitivi, assimilabile alla malattia mentale, ha violato i principi normativi che impongono di verificare la capacità di intendere e di volere in capo al soggetto attivo, e non ha correttamente applicato gli artt. 88 e 89 c.p..

Il disturbo della personalità di tipo dissociativo, riscontrato dal consulente di parte e derivato da una situazione di disagio vissuta nell’ambito lavorativo, ha comportato, ad avviso del ricorrente, l’ideazione e la realizzazione del fatto criminoso, incidendo sulla sua capacità intellettiva e volitiva e ponendosi la sua devianza nella elaborazione della reazione e nella percezione della sua proporzionalità come "assenza di capacità di critica, d’intendimento del significato del proprio comportamento, di comprensione delle conseguenze delle proprie azioni e della loro gravità".

La Corte, secondo il ricorrente, ritenendo sussistere la sua capacità di intendere e di volere per il coinvolgimento di altra persona e per la premeditazione del fatto, ha erroneamente ritenuto connessi l’elemento psicologico del dolo e detta capacità, che, invece, sono assolutamente indipendenti, essendo l’imputabilità non il presupposto della colpevolezza ma lo stato soggettivo che riguarda l’assoggettabilità o meno alla pena.

Nella specie, a esso ricorrente non poteva muoversi alcun rimprovero perchè il disturbo di cui ha sofferto, e di cui sono indici rivelatori l’esistenza di fattori stressanti, la frattura rispetto allo stile di vita abituale, la sproporzione della reazione e i disturbi visivi, ha compromesso la sua capacità di valutare conseguenze e ripercussioni della propria condotta e di vagliare soluzioni più adeguate.

In ogni caso, i Giudici di merito potevano esercitare il potere, loro conferito dall’art. 441 c.p.p., di accertare, attraverso una perizia, la rilevanza del rappresentato disturbo e la sussistenza della contestata capacità.

6.2. C.G. chiede l’annullamento della sentenza sulla base di cinque motivi.

6.2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riguardo alle argomentazioni poste a fondamento della conferma dei capi e dei punti della sentenza attinenti alla sua condanna per i reati descritti nei capi A), B) e I) della imputazione.

Secondo il ricorrente, i profili di responsabilità, oggetto di specifica censura con i motivi di appello con particolare riguardo ai tempi e alle modalità di consumazione dei reati e al suo ruolo specifico, sono stati valutati in modo laconico ed errato, poichè tutta l’attività preparatoria, consistita nel pregresso conseguimento del mitra MAB e dell’autovettura, è riferibile al solo coimputato V., assoluto protagonista della simulata operazione di polizia, e non a esso ricorrente, rimasto del tutto inerte e completamente estraneo all’uso del mitra e dell’autovettura anche durante l’azione simulata, senza apportare alcun contributo materiale o morale.

La Corte, ad avviso del ricorrente, discostandosi dalla errata affermazione del primo Giudice della disponibilità da parte sua dell’arma e dell’autovettura, ha ritenuto in modo illogico e contraddittorio che egli, in ogni caso, avesse dato senso e valore alla condotta di V. sotto il profilo morale per il fatto di fornire una testimonianza sulla falsa operazione di polizia, senza considerare che il coimputato non aveva bisogno di tale testimonianza per i già commessi reati di ricettazione dell’autovettura e dell’arma e per il porto e la detenzione della seconda – rispetto ai quali neppure poteva configurarsi un suo intervento per la interruzione del disegno criminoso -, ma per realizzare le finalità illecite, non chiarite, della indicata falsa operazione di polizia, e dando decisivo rilievo ai motivi e alle finalità dell’azione piuttosto che agli elementi costitutivi dei contestati reati.

6.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione dell’art. 110 c.p., in relazione ai reati contestati ai capi A), B) e I) della imputazione, avendo la Corte omesso del tutto di specificare, con giudizio prognostico – probabilistico di idoneità ex ante, la condotta da lui posta in essere atta al rafforzamento o alla determinazione dell’attività criminosa di V..

6.2.3. Con il terzo motivo è dedotta erronea applicazione di legge, e in particolare della L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 12 e dell’art. 2 c.p., per non avere la Corte affrontato la questione relativa alla detenzione e al porto di arma da guerra tenendo conto del D.Lgs. n. 204 del 2010, che ha operato una abolitio criminis, non essendo più vietata, anche se ai soli fini della esportazione, la fabbricazione delle armi cal. 9 parabellum, che non sono da guerra ma comuni, e il cui possesso non può configurare il reato di detenzione illegale di arma e munizionamento da guerra o tipo guerra.

6.2.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce erronea applicazione dell’art. 133 c.p., nella determinazione della pena irrogata in concreto, senza tenersi conto del suo comportamento curriculare, della totale assenza di precedenti penali e soprattutto della sua immediata, spontanea e leale collaborazione all’accertamento dei fatti, e senza considerarsi l’avvenuta valorizzazione di tale profilo soggettivo nella concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.

6.2.5. Con il quinto motivo sono dedotte, infine, l’omessa motivazione e la inosservanza dell’art. 175 c.p., in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato penale, sussistendo i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla indicata disposizione normativa, e tenuto conto delle argomentazioni già poste a sostegno del riconosciuto beneficio della sospensione condizionale della pena.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da V.M., attinente alla dedotta non corretta applicazione degli artt. 88 e 89 c.p., in dipendenza della non verificata sua capacità di intendere e di volere al momento della commissione dei fatti, è infondato.

1.1. Il Collegio rileva che, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità o comunque tutte quelle anomalie psichiche non inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali possono rientrare nel concetto di "infermità", purchè siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato da disturbo mentale.

Ne consegue che nessun rilievo, ai fini della imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni o disarmonie della personalità che non presentino i caratteri detti, nonchè agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di "infermità" (Sez. U, n 9163 del 25/01/2005, dep. 08/03/2005, Raso, Rv. 230317, e, tra le successive, Sez. 1^, n. 14808 del 04/04/2012, dep. 18/04/2012, Chiodini, Rv. 252289).

1.2. Alla stregua di tali condivisi principi, è corretta la valutazione della Corte d’appello, che, riesaminate le emergenze processuali già valutate dal primo Giudice, le vicende esistenziali dell’imputato e la disamina scientifica svolta dal consulente di parte, ha spiegato, rispondendo alle censure della difesa, le ragioni della condivisa valutazione conclusiva della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento, nel momento del fatto, di vizi attinenti alla capacità di intendere e di volere dello stesso in assenza di elementi atti a dimostrare la compromissione della sua capacità di comprensione del peso e delle conseguenze delle sue azioni e di autodeterminazione, piuttosto che "la contaminazione del procedimento di formazione del "motivo" a commettere il reato".

In particolare, la Corte, con motivazione criticamente articolata ed esaustiva, movendo dalla sostanziale condivisione dell’analisi del consulente di parte quanto alla dipendenza del disturbo dell’adattamento dell’imputato da una situazione psichica, riconducibile alla sua condizione lavorativa e compatibile con lo stress da mobbing, ha evidenziato che tale stress, mentre può avere inciso sul processo di elaborazione della reazione portando il medesimo imputato a ritenere la condotta delittuosa tenuta proporzionata alle condizioni vissute in ambito lavorativo, non esprime, invece, carenza di lucidità e di consapevolezza dello stesso rispetto alle azioni che stava compiendo, e ha rimarcato che tale rilievo è comprovato dalla non emergenza di patologie rilevanti all’esito della visita medico-legale disposta dal Pubblico Ministero, dalla condotta concorsuale tenuta dal coimputato C., dalla pianificazione della medesima condotta delittuosa e dal fine utilitaristico perseguito e ammesso dallo stesso imputato nell’interrogatorio reso in sede di convalida del suo fermo di P.G..

1.3. In questo contesto non possono trovare accoglimento le prospettazioni difensive, che, senza correlarsi con il ragionamento probatorio complessivo che non ha prescisso dalla valutazione delle emergenze della stessa consulenza di parte, e opponendo richiami per stralci alle argomentazioni svolte senza addurre elementi non valutati, sono volte a impegnare questa Corte in una diversa lettura degli elementi di conoscenza tratti dall’acquisito materiale probatorio e in un’alternativa e sua generica diversa analisi valutativa, in contrasto con la preclusione, in questa sede, di un dissenso di merito a fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente articolata e congrua.

Nè hanno alcuna fondatezza le deduzioni difensive che ravvisano ragioni di censura della sentenza impugnata per essere stati ritenuti connessi l’elemento psicologico del dolo con la capacità di intendere e di volere, poichè la Corte d’appello in coerenza con i limiti devolutivi dell’appello, limitato nel primo motivo alla capacità di intendere e di volere dell’appellante V. e nel secondo alle chieste attenuanti (generiche e del vizio parziale di mente) e al trattamento sanzionatorio, non ha analizzato i non contestati elementi del reato, e ha richiamato il coinvolgimento del coimputato C. e la pianificazione del reato, genericamente contestati in un passaggio argomentativo del ricorso, a conforto della non ravvisabile patologia psichiatrica, che, ove sussistente, avrebbe contagiato l’indicato concorrente per la condotta dallo stesso tenuta, e della non perpetrazione di un reato di impeto per una distorta reattività.

1.4. Del tutto generica è, infine, la doglianza riguardante l’omesso ricorso nel giudizio di merito alla verifica peritale della capacità o meno dell’imputato, ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5.

L’esercizio dei poteri di iniziativa probatoria che, nel giudizio abbreviato "senza integrazione probatoria", competono al giudice di primo grado, ai sensi della indicata norma, e al giudice di appello, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3, è regolato, infatti, dal rigido criterio dell’assoluta necessità, nella specie motivatamente esclusa dal primo Giudice sulla base dell’apprezzamento, condiviso dal Giudice di appello, della non emergenza dalla consulenza della difesa di indici rivelatori di patologia mentale bisognevole di una verifica tecnica.

1.5. Consegue il rigetto del ricorso proposto da V.M..

2. E privo di fondatezza anche il ricorso proposto da G. C..

2.1. Le censure svolte con il primo motivo, attinenti al vizio di motivazione incorso nella valutazione dei profili della responsabilità con riguardo ai reati attribuiti, di cui ai capo A), B) e I) della imputazione, si articolano sul duplice versante dei tempi e delle modalità di consumazione dei reati e del ruolo del ricorrente nella loro commissione, osservandosi da un lato che la ricettazione dell’arma e dell’autovettura, procurate dal coimputato S., ha riguardato l’attività preparatoria posta in essere dal solo coimputato V. nei giorni che hanno preceduto i fatti, e dall’altro che il ricorrente non ha dato alcun apporto materiale o morale alla commissione dei reati, nè all’utilizzo dei beni ricettati durante la simulata operazione di polizia, e rilevandosi criticamente la erroneità e la contraddittorietà della affermata responsabilità del medesimo in dipendenza della sua ritenuta responsabilità morale in ordine alla complessiva falsa operazione di polizia, il cui senso e valore derivavano dalla sua testimonianza.

2.1.1. Deve rilevarsi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente alla sentenza della Corte di secondo grado quanto alla individuazione dei ruoli e delle responsabilità individuali, tale decisione non può essere valutata isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti e dovendo ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo, secondo un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte (tra le altre, Sez. U, n 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c., Musumeci e altri, Rv. 191229; Sez. 1, n. 17309 del 19/03/2008, dep. 24/04/2008, Calisti e altri, Rv. 240001, non massimata sul punto).

La sentenza impugnata, infatti, svolgendo le sue argomentazioni in rapporto alle doglianze di merito svolte con il primo motivo di appello, non ha prescisso dall’articolata valutazione delle risultanze probatorie condotta dal primo Giudice, che aveva specificamente argomentato i singoli momenti dell’articolata formazione della prova, illustrando i dati fattuali acquisti tratti dalle circostanziate e diffuse dichiarazioni del ricorrente C., rese prima spontaneamente il 7 febbraio 2004 e poi dinanzi al Pubblico Ministero il successivo 9 febbraio, e da quelle rese dai coimputati V. e S. nel corso delle udienze di convalida dei rispettivi fermi, e aveva ritenuto integrati nei fatti come ricostruiti, all’esito della valutazione coordinata dei dati probatori acquisiti, gli elementi costitutivi dei reati contestati, ponendo in rilievo che l’arma da guerra con matricola abrasa e con le relative munizioni e l’autovettura rubata erano state da S. messe a disposizione di V. e di C., che, dato l’allarme da zona diversa da quella di loro competenza alla sala operativa, avevano poi simulato il conflitto a fuoco, sparando il solo V. con detta arma contro l’autovettura di servizio ed entrambi con la pistola di ordinanza contro l’autovettura rubata.

Alla stregua di detti elementi, supportati dalle articolate dichiarazioni confessorie degli imputati, è del tutto logica e coerente la motivazione della sentenza impugnata, che ha evidenziato l’ausilio prestato dal ricorrente C. alla condotta criminosa del coimputato V., la non qualificabilità di tale ausilio in termini di mera connivenza per la mancanza di contatti fisici del ricorrente con l’autovettura e l’arma ricettate e utilizzate nel finto attentato, il carattere determinante dell’ausilio prestato a V. dal ricorrente, non frenato da alcun larvato intento dissuasore durante il consistente periodo di preparazione dell’azione, connotato dal reperimento dell’autovettura e dell’arma e dalla sua pianificazione, e la connotazione di tale ausilio in termini di appoggio testimoniale per l’attentato pianificato.

2.1.2. Si tratta di una valutazione logica, congrua ed esaustiva quanto alle emergenze dell’analisi svolta degli elementi probatori utilizzati.

Rispetto a tale valutazione le obiezioni difensive, che non considerano, e neppure contestano, le dichiarazioni confessorie dello stesso ricorrente, vertenti anche sulla fase preparatoria (dalla conoscenza del piano criminoso di V. ai congiunti incontri con S., procacciatore dell’autovettura e dell’arma, alla conoscenza del loro conseguito recupero), e il collegamento posto logicamente dalla Corte di merito tra il supporto prestato dal ricorrente e la consapevolezza di tale complicità da parte di V. nella definizione, in periodo temporale consistente, della sua determinazione alla commissione dei reati, si pongono come censure sul significato e sulla interpretazione degli stessi elementi e come prospettazioni di dissenso di merito – estranee al sindacato di legittimità – quanto alla valutazione del risultato probatorio, più che sulla logicità e coerenza delle risposte ricevute.

2.1.3. Il primo motivo deve essere, pertanto, rigettato per la sua complessiva infondatezza.

2.2. Infondata è anche la censura svolta con il secondo motivo, che riguarda la contestata sussistenza dei presupposti della responsabilità concorsuale ai sensi dell’art. 110 c.p., con riguardo ai già indicati delitti di cui ai capi A), B) e I), tenuto conto dei principi di diritto affermati da questa Corte (tra le altre, Sez. 1^, n. 5631 del 17/01/2008, dep. 05/02/2008, Maccioni e altri, Rv.

2386489) quanto alle forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, in cui può manifestarsi il contributo causale del concorrente morale, e della motivazione resa in sede di merito, e della quale si è già dato conto, in ordine al contributo partecipativo prestato dal ricorrente, in rapporto di causalità efficiente con l’attività del coimputato, anche durante la fase preparatoria e non come dedotto solo dopo la consumazione dei reati in esame.

2.3. Il terzo motivo relativo alla contestata qualificabilità come arma da guerra del moschetto automatico Beretta (MAB) cal. 9 parabellum, la cui detenzione e porto sono ascritti al capo A), è teoricamente ammissibile.

2.3.1. Deve, invero, rilevarsi che il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609 c.p.p., comma 1, che ribadisce in forma esplicita un principio già enuclearle dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti, funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata e alla indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.

La correlazione di detta disposizione con quella dell’art. 606 c.p.p., comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello, impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, che in tal modo, ove prospettata, diventa aspecifica (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, dep. 15/09/1999, Piepoli, Rv. 213981; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, dep. 16/12/1999, Spina, Rv.

214793), salvo che non si tratti di ricorso per saltum ai sensi dell’art. 569 c.p.p., o di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, ai sensi dell’art. 609 c.p.p., comma 2, o di deduzioni di pura legittimità o di questioni di puro diritto insorte dopo il giudizio di secondo grado in forza di ius superveniens o di modificazione della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio o additivo della Corte costituzionale (Sez. 5^, n. 4911 del 21/07/1998, dep. 19/08/1998, Rilto B., Rv. 211822; Sez. 4^, n. 4853 del 03/12/2003, dep. 06/02/2004, Criscuolo e altri, Rv. 229373).

La questione prospettata, riferita alla modifica della normativa delle armi per effetto del D.Lgs. n. 204 del 2010, art. 5, sopravvenuta alla proposizione dell’appello, non può, pertanto, ritenersi preclusa.

2.3.2. Il motivo è, tuttavia, infondato.

Allo stato attuale della specifica normativa, infatti, il moschetto cal. 9 parabellum deve essere considerato arma da guerra, sia per la sua spiccata potenzialità offensiva, sia perchè di fatto destinato all’uso degli armamenti delle forze militari.

La natura di arma da guerra di detta arma è confermata anche dal D.Lgs. n. 204 del 2010, il cui art. 5 ha modificato la L. n. 110 del 1975, art. 2, comma 2, nel senso che "salvo che siano destinate alle Forze armate, ai Corpi militari dello Stato, ovvero all’esportazione, non è consentita la fabbricazione, l’introduzione nel territorio dello Stato e la vendita di armi da fuoco corte semiautomatiche o a ripetizione che siano camerate per il munizionamento nel calibro 9×19 parabellum", all’evidenza escludendo tale tipo di armi dal novero delle armi comuni da sparo.

Tale rilievo è anche coerente con i principi di diritti già affermati da questa Corte, intervenendo con riferimento alle cartucce per pistola cal. 9×19 parabellum o calibro 9 lungo, da considerarsi anche a seguito della indicata modifica normativa munizioni da guerra, in quanto destinate esclusivamente alle Forze armate e ai corpi armati dello Stato (Sez. 1^, n. 12737 del 20/03/2012, dep. 04/04/2012, Tomasello e altro, Rv. 252560) Alla luce di tali considerazioni, è del tutto ininfluente la sopravvenuta abolizione, con decorrenza dal 1 gennaio 2012, del catalogo nazionale delle armi comuni da sparo, già previsto dalla L. n. 110 del 1975, art. 7, in forza della L. n. 183 del 2011, art. 14, comma 7, considerata la funzione della iscrizione delle armi nel detto catalogo, che è meramente ricognitiva e formale e non costitutiva della qualità di arma comune da sparo di quella in esso inserita, senza essere idonea a escludere la medesima qualità per le armi in esso non inserite (Sez. 1^, n. 23861 del 26/05/2010, dep. 22/06/2010, Gannilivigni, Rv. 247944, sulla funzione del catalogo).

2.4. Destituito di fondamento è anche il quarto motivo che riguarda la dosimetria della pena applicata dal primo Giudice e non ridotta dal Giudice di appello, nonostante il riconoscimento in entrambi i gradi di giudizio delle attenuanti generiche e della concessione in quello di appello anche della sospensione condizionale della pena.

La sentenza impugnata ha, infatti, riconosciuto rilievo preponderante per ritenere l’adeguatezza e la congruità della dosimetria della pena applicata, alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p., alla gravità dei reati, alla micidialità dell’arma e alle sue caratteristiche, alla personalità dell’imputato, considerata anche la posizione professionale dallo stesso rivestita quale appartenente alle Forze dell’Ordine, e al motivo a delinquere che lo ha determinato a commettere i reati, ritenendo implicitamente recessive le deduzioni non valorizzate.

Tale valutazione, attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente e anche coerentemente al principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente, in materia di determinazione della pena (Sez. 2^, n. 36425 del 26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596), l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 c.p., si sottrae alle censure mosse, che infondatamente oppongono la violazione dei principi che attengono ai presupposti fissati dall’artt. 133 cod. pen. per non essere stato valorizzato il profilo collaborativo, invece utilizzato al fine della concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.

2.4.1. Questa Corte ha, infatti, più volte condivisibilmente affermato che il riconoscimento delle attenuanti generiche non è incompatibile con la determinazione della pena oltre il minimo edittale, in quanto tra la concessione o meno delle attenuanti generiche e la misura della pena non esiste un rapporto di necessaria interdipendenza poichè le attenuanti generiche, se concesse, operano sulla pena già determinata in concreto ai sensi dell’art. 133 c.p., (Sez. 1^, n. 7522 del 28/02/1977, dep. 14/06/1977, Cioffi, n. 136186) e hanno una loro ragione autonoma, ravvisabile in situazioni atipiche o nelle stesse molteplici circostanze previste dall’art. 133 c.p., che meritino, nel caso concreto, una particolare considerazione per la specificità della vicenda, o della personalità o del vissuto dell’imputato o altro (Sez. 1^, n. 4508 del 15/02/1988, dep. 12/04/1988 Crimenti, Rv. 178095), senza implicare necessariamente un giudizio di non gravità del fatto reato (Sez. 5^, n. 9472 del 01/07/1998, dep. 13/08/1998, Magrelli, n. 211449; Sez. 5^, n. 12049 del 16/12/2009, dep. 29/03/2010, Migliazza, Rv. 246887), mentre nella determinazione della pena il giudice, in virtù del suo potere discrezionale, irroga una pena adeguata alla gravità della violazione commessa (Sez. 1^, n. 6262 del 01/04/1982, dep. 24/06/1982, Cutolo, n. 154373).

2.4.2. Nè sussiste alcuna incompatibilità, pure dedotta, tra la determinazione della pena, non contenuta nel minimo edittale, e la concessione della sospensione condizionale della pena, disposta nella specie per la "incensuratezza che consente un favorevole pronostico ex art. 203 c.p.", come si legge nella sentenza di appello, avuto riguardo al fondamento e alla finalità del detto beneficio, la cui indispensabile premessa è il giudizio non sul passato e, in particolare, sulla quantificazione della pena da irrogare per un determinato fatto storico costituente reato, ma sul futuro in rapporto alla presunzione di astensione del reo dal delinquere (tra le altre, in tema di compatibilità tra diniego o concessione della sospensione condizionale della pena e concessione o rifiuto di concessione delle attenuanti generiche, Sez. 2^, n. 2254 del 14/10/1980, dep. 14/03/1981, Oberti, Rv. 148069; Sez. 6^, n. 6193 del 03/05/1985, dep. 20/06/1985, Giorgino, Rv. 169838; Sez. 3^, n. 8461 del 13/05/1987, dep. 23/07/1987, Orsatti, Rv. 176434; Sez. 1^, n. 6603 del 24/01/2008, dep. 12/02/2008, P.G. in proc. Stumpo, Rv.

239131).

2.5. Il quinto motivo, che concerne l’omessa motivazione circa l’applicazione dell’art. 175 c.p., relativo alla non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, è inammissibile, poichè la doglianza volta a censurare l’assenza di alcuna motivazione al riguardo nella sentenza impugnata è preclusa ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, citata;

Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, citata), non avendo formato oggetto dei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado.

2.6. Alla luce delle svolte considerazioni, anche il ricorso di C.G. deve essere rigettato.

3. Al rigetto dei ricorsi segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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