Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-01-2013) 18-10-2013, n. 42885

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza dell’8 marzo 2012 la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del 12 novembre 2008 del G.u.p. del Tribunale di Savona, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato Z.H. colpevole del reato di tentato omicidio in danno di Z.X., colpito con un coltello all’emitorace destro in prossimità del collo e della trachea, e dei reati di lesioni aggravate dall’uso del coltello in danno di Z.J., privato del secondo dito della mano sinistra, e in danno di Z.Y., e l’aveva condannato, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti e riconosciuto il vincolo della continuazione, alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione e alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, ordinando la confisca del coltello in sequestro.

1.1. Da entrambe le decisioni di merito emergeva che:

– il (OMISSIS) erano giunti presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS), accompagnati da un collega di lavoro, tre cinesi con ferite da taglio, e poco dopo un quarto cinese, poi identificato nell’imputato, con l’italiano R.R.;

– ai Carabinieri intervenuti sul posto quest’ultimo aveva riferito di essere il datore di lavoro dei quattro cinesi, ai quali aveva concesso in uso una sua abitazione in Savona nello stabile in cui egli stesso abitava al piano sottostante; la mattina di quel giorno alle ore sei, dopo essere stato avvertito telefonicamente da Z. Y. di una lite in corso tra X. e l’imputato, mentre si accingeva a recarsi nell’abitazione dei quattro aveva visto scendere nell’androne prima X. e poi Z.Y. e J., che, feriti, avevano indicato l’imputato come responsabile; mentre altro dipendente aveva accompagnato i detti tre cinesi al Pronto Soccorso, egli stesso aveva ivi accompagnato l’imputato, a sua volta ferito alla mano destra tra l’indice e il pollice;

– delle modalità del fatto aveva parlato nella immediatezza J., che aveva indicato nell’imputato, che aveva sentito gridare e insultare tutti nel comune appartamento, la persona che in cucina aveva colpito con un coltello X. e Y., e poi egli stesso che aveva cercato di difendersi con una sedia;

– nel corso del sopralluogo nell’appartamento abitato dai quattro cinesi, erano state rilevate tracce di sangue e di colluttazione e l’imputato aveva prelevato dietro gli scaffali di un ripostiglio vicino alla cucina un coltello con lama di diciotto cm;

– i referti avevano descritto le ferite rilevate su ciascuno, e quelle di X., che aveva tra l’altro riportato una ferita da taglio penetrante all’emitorace, erano state ritenute dal consulente del Pubblico Ministero idonee a determinarne la morte o grave pericolo di vita.

1.2. La Corte, che condivideva il giudizio del G.u.p. di superfluità dell’esame peritale richiesto dalla difesa, alla luce delle emergenze dei referti, e riteneva che le lesioni presentate dall’imputato, meno importanti rispetto a quelle dalle tre persone offese, fossero ricollegabili al tentativo degli aggrediti, ai quali il medesimo si era contrapposto armato di coltello, di difendersi ovvero a movimenti di iniziativa dello stesso imputato in preda all’ira, escludeva che vi fosse stata una rissa fra fazioni contrapposte; riteneva che il ruolo di vittime dei tre cinesi feriti fosse emerso dalle dichiarazioni rese nella immediatezza da R. e da J., dalle caratteristiche delle lesioni riportate e dalla consegna del coltello; valutava come idonea a uccidere l’azione posta in essere in danno di X., tenuto conto delle dimensioni del coltello, della sua micidialità e della zona corporea attinta, e riteneva che l’imputato avesse agito con la volontà o, quantomeno, senza escludere il rischio di uccidere; riteneva che non corrispondesse al vero il racconto dell’imputato secondo cui egli aveva brancolato nel buio, brandendo il coltello contro gli altri armati che volevano ucciderlo o mutilarlo, per la contraddizione del racconto e alla luce delle emergenze probatorie acquisite.

2. Avverso la predetta decisione l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o erronea applicazione della legge penale e processuale penale, nonchè illogicità manifesta della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova quanto alla sua confermata responsabilità in ordine ai reati ascrittigli e alla loro qualificazione giuridico – fattuale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e e)).

Secondo il ricorrente, la Corte di merito è incorsa negli indicati vizi per avere confermato la sua responsabilità, con argomentazioni non condivisibili, riproducenti quelle di primo grado e giuridicamente arbitrarie quanto alla ricostruzione della vicenda.

Ciò si è verificato, in particolare, ad avviso del ricorrente, con riguardo alla ritenuta superfluità dell’esame peritale richiesto, poichè la Corte si è arbitrariamente considerata capace di procedere a una valutazione tecnico-scientifica, senza ausilio di un medico legale, e ha dimostrato tale incapacità nel valutare la diversa gravità delle ferite riportate da esso ricorrente e nel ritenere la stessa dimostrativa della impossibilità per il medesimo di essere aggredito, mentre solo una perizia poteva stabilire la rilevanza eziologica delle stesse nella dinamica dei fatti e dell’evento.

Un travisamento della prova si è avuto, secondo il ricorrente, anche quanto alla ricostruzione della vicenda operata sulla base delle dichiarazioni rese dai testi R. e J., non essendo state sentite le altre due parti offese, poichè:

– il coltello rinvenuto non è rilevante al fine della decisione colpevolista, trovandosi lo stesso in camera accessibile da parte di chiunque abitava nell’appartamento, facendo parte della posateria comune, e non essendo provato che esso ricorrente sia stato il primo a usarlo e in funzione offensiva;

– la prospettiva valutativa e decisionale è alterata dalla ricostruzione della cronologia degli interventi delle persone offese, essendo X. arrivato non prima ma dopo gli altri due;

– la tesi dei Giudici di merito secondo cui le persone offese hanno tenuto una condotta solo difensiva a fronte di quella offensiva di esso ricorrente trova il suo fondamento nelle concordi dichiarazioni delle prime, mentre è possibile una diversa lettura che ponga come aggressori le stesse e come concordate le loro affermazioni;

– è arbitraria la decisione di non considerare le precedenti liti tra le parti poichè tutti potevano essere vittime o aggressori;

– le condizioni ambientali e di totale carenza di illuminazione del locale in cui i fatti sono avvenuti rendono credibile la versione difensiva e fanno dubitare dell’attendibilità del teste J..

Nè, secondo il ricorrente, la Corte poteva liquidare superficialmente la tesi difensiva della rissa aggravata e valutare, "se dovesse essere esclusa la causa di giustificazione della legittima difesa", l’ipotesi della colluttazione e accertare le notevoli lesioni da esso subite.

Anche la tesi difensiva della carenza probatoria della idoneità omicidiaria della condotta è stata trascurata, non essendosi fatta una corretta prognosi postuma alla luce dei referti medici, della perizia medico-legale in atti, e della ipotetica idoneità della ferita alla base del collo a cagionare la morte o un grave pericolo di vita.

La sussistenza del dolo specifico è stata, infine, ritenuta mediante un’asserzione generica, superficiale e immotivata, non fondata sull’analisi di fatti esterni oggettivi.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e/o erronea applicazione della legge penale e processuale penale e illogicità manifesta della motivazione quanto alla determinazione sanzionatoria (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e e).

Secondo il ricorrente, la Corte è incorsa in detti vizi nel confermare il trattamento sanzionatorio di primo grado inadeguato per eccesso, poichè il dolo d’impeto e la già intervenuta concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza dovevano portare a contenere la pena nello stretto limite edittale minimo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Quanto al primo motivo è innanzitutto priva di fondatezza la censura svolta in ordine alla contestata ritenuta superfluità dell’esame peritale richiesto.

La Corte di merito è pervenuta a un tale giudizio, ponendosi in continuità argomentativa con la condivisa analisi e conclusione della decisione di primo grado, che aveva specificamente richiamato e descritto le emergenze dei singoli referti rilasciati dal Pronto Soccorso a ciascuna delle tre parti offese X., J. e Y. e al ricorrente, e quelle della consulenza tecnica disposta per accertare la natura, le conseguenze e la idoneità omicidiaria, inequivoca o meno, delle lesioni subite da Z.X., e aveva ritenuto non necessario acquisire una perizia tecnica ricostruttiva della dinamica dei fatti, alla stregua delle emergenze fattuali e probatorie, illustrate e analizzate.

La sentenza impugnata, che ha specificamente ripercorso l’analisi svolta dal primo Giudice in correlazione alle deduzioni critiche svolte con il gravame, ha logicamente rimarcato che la minore importanza delle ferite riportate dall’imputato unitamente alla concorde sua indicazione quale responsabile da parte degli altri tre al teste R., che li aveva visti fuggire feriti, è rappresentativa della prevalenza aggressiva dell’imputato sulle tre persone offese, dell’utilizzo da parte sua del coltello per infliggere le descritte ferite riportate dalle stesse, della riconducibilità delle escoriazioni e contusioni riportate dall’imputato al "disperato tentativo" degli altri tre di difendersi o a movimenti di iniziativa dello stesso imputato.

Non vi è stata in tal modo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, un’arbitraria ritenzione da parte dei Giudici del merito della capacità di procedere a una valutazione tecnico-scientifica, ma un’attività di ricostruzione degli elementi fattuali, sistematicamente organizzati e logicamente correlati, e di logica valutazione critica, che rientra nell’attività giudiziaria, degli elementi probatori disponibili, della loro sufficiente consistenza ai fini della decisione e della superfluità di ulteriori accertamenti tecnici, rispetto all’attività istruttoria già svolta.

2.1. E’ infondata anche la censura che attiene all’incorso travisamento della prova in ordine alla ricostruzione della vicenda.

La Corte, che ha ritenuto che a tale ricostruzione potesse pervenirsi sulla base degli elementi obiettivi tratti dai referti medici e dalle dichiarazioni di R. e J., ha ricostruito i dati fattuali come evidenziato sub 2), anche puntualizzando che è stato l’imputato a consegnare ai Carabinieri, nel corso del sopralluogo, il coltello prelevato dal luogo in cui lo aveva nascosto, e rappresentando la non credibilità della versione del medesimo di avere brancolato nel buio per la interruzione della corrente elettrica, alla luce delle spiegazioni offerte da J., sopraggiunto nel locale cucina, delle aggressioni operate anche in suo danno e delle stesse dichiarazioni dell’imputato di avere disarmato i tre che lo minacciavano.

In questo contesto non possono trovare accoglimento le deduzioni del ricorrente, che, senza correlarsi con il ragionamento probatorio svolto in sede di merito con riguardo al coltello, ripropone la tesi della irrilevanza dello stesso ai fini della decisione colpevolista, e oppone la sua appartenenza alla comune posateria di casa e il difetto di prova circa il suo utilizzo in funzione aggressiva, richiamando a conferma autoreferenziale le dichiarazioni rese in sede di convalida; prospetta un travisamento delle risultanze istruttorie in ordine alla cronologia di formazione del gruppo dei suoi coinquilini, senza allegare l’atto processuale su cui la deduzione è fondata, nè indicare le ragioni per cui il dato travisato sarebbe tale da compromettere la tenuta logica della motivazione e da essere incompatibile con l’operata ricostruzione dei fatti e della responsabilità; censura la valutazione delle risultanze probatorie e dei dati fattuali condotta in sede di merito, tendendo a impegnare questa Corte in una inammissibile nuova lettura delle emergenze processuali con riguardo alle dichiarazioni dei "tre sodali", suoi "nemici", alla ritenuta irrilevanza delle precedenti liti tra le parti, alle condizioni ambientali e di illuminazione del locale in cui sono avvenuti i fatti.

2.2. Anche le censure riferite alla omessa qualificazione del fatto in termini di rissa aggravata attengono a una riproposta rilettura della dinamica dei fatti, già esaustivamente ricostruita dalla Corte, che ha rappresentato le ragioni significative della esclusa configurazione di una rissa tra fazioni opposte nella vicenda, che ha visto l’imputato assumere "il ruolo ben definito di unico aggressore".

2.3. Le deduzioni che riguardano la legittima difesa, precluse ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, non avendo formato oggetto dei motivi di appello, sono anche del tutto generiche perchè non collegate con la motivazione della sentenza e poste in termini meramente ipotetici ("se dovesse essere esclusa la causa di giustificazione della legittima difesa, dovrebbe essere quantomeno accolta la qualificazione giuridica" della rissa aggravata).

2.4. Destituiti di fondamento sono, infine, i rilievi formulati dal ricorrente con lo stesso primo motivo circa la qualificazione giuridica del fatto di cui al capo a) in danno di Z.X. quale tentato omicidio.

I rilievi difensivi attengono alla carenza di prova della idoneità omicidiaria della condotta tenuta, non diretta teleologicamente e inequivocamente a cagionare la morte, riferendo il giudizio di prognosi postuma dapprima alle risultanze dei referti medici, che hanno solo attestato una prognosi di guarigione di giorni quaranta, e alle conclusioni della perizia medico-legale, che ha ristretto il periodo di malattia nel limite compreso tra venti e quaranta giorni e ha escluso il pericolo di vita parlando di ipotetica idoneità della ferita alla base del collo a cagionare la morte o un grave pericolo di vita, e introducendo poi il riferimento alla prognosi formulata ex post, con riferimento alla situazione al momento del fatto, con la contestazione della ritenuta irrilevanza della deviazione della lama e della direzione del fendente.

2.4.1. Si rileva che, per aversi il reato tentato, l’art. 56 c.p., richiede la commissione di atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un reato. E’, quindi, elemento strutturale oggettivo del tentativo, insieme alla direzione non equivoca degli atti, l’idoneità degli stessi, dovendosi intendere per tali quelli dotati di una effettiva e concreta potenzialità lesiva per il bene giuridico tutelato, alla luce di una valutazione prognostica da effettuarsi con giudizio ex ante.

Tale valutazione, da compiersi non dal punto di vista del soggetto agente, ma nella prospettiva del bene protetto dalla norma incriminatrice, deve tener conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, sì da determinarne la reale ed effettiva adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione dell’indicato bene (tra le altre, Sez. 6^, n. 27323 del 20/05/2008, dep. 04/07/2008, P., Rv. 240736; Sez. 1^, n. 19511 del 15/01/2010, dep. 24/05/2010, Basco e altri, Rv. 247197; Sez. 1^, n. 27918 del 04/03/2010, dep. 19/07/2010, Resa e altri, Rv. 248305).

Questa Corte ha anche ripetutamente affermato che, al fine della qualificazione del fatto quale reato di lesione personale o quale reato di tentato omicidio, si deve aver riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell’agente e alla diversa potenzialità dell’azione lesiva. Se nel primo reato la carica offensiva dell’azione si esaurisce nell’evento prodotto, nel secondo vi è un quid pluris che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell’agente (tra le altre, Sez. 1^, n. 1950 del 20/05/1987, dep. 15/02/1988, Incamicia, Rv. 177610; Sez. 1^, n. 35174 del 23/06/2009, dep. 11/09/2009, M., Rv. 245204; Sez. 1^, n. 37516 del 22/09/2010, dep. 20/10/2010, Bisotti, Rv. 248550).

2.4.2. La Corte di merito ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo riferito l’accertamento da compiersi, secondo i criteri che presiedono alla configurabilità del delitto tentato, a un giudizio ex ante di oggettiva idoneità dell’azione dell’imputato a cagionare la morte della vittima, evidenziando in tale contesto prognostico il mezzo utilizzato, rappresentato da un coltello con lama di diciotto cm, la regione corporea attinta (il collo a breve distanza dai vasi principali), e la minima estensione della zona colpita, ritenuti anche dimostrativi della sussistenza dell’elemento psicologico del contestato reato, in linea con le valutazioni fatte dal primo Giudice, e ha logicamente ritenuto la non qualificabilità del fatto in modo diverso da come contestato.

A fronte di tali rilievi, l’infondatezza delle doglianze deriva dalla diversa prospettiva in cui si pone il ricorrente nell’analisi della sua condotta, poichè il giudizio preteso in ordine all’intensità dei colpi inferti e alle loro conseguenze attiene a una valutazione ex post, in contrasto con la lettera e la ratio della previsione normativa, e dalla considerazione che la valutazione circa l’esistenza o meno dell’animus necandi costituisce il risultato di un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, mentre le deduzioni prospettate come conseguenti a incongruenze logiche e lacune motive della decisione impugnata sono alternative interpretazioni, affidate alla ricostruzione in fatto di elementi non rilevanti al fine della configurazione della condotta di tentato omicidio, e si risolvono in critiche di puro merito, estranee al tema di indagine di legittimità.

3. E’ destituito il fondamento il secondo motivo che attiene alla entità della pena, sotto il profilo della incorsa violazione di legge e del denunciato vizio motivazionale.

La sentenza impugnata ha, infatti, esplicitato, dopo le determinazioni in punto responsabilità, le ragioni che giustificavano la conferma del trattamento sanzionatorio, non contenuto nei minimi di legge, riconoscendo rilievo preponderante per ritenerne la congruità alla gravità del fatto che ha specificamente richiamato, e ritenendo recessivo il riferimento alle condizioni personali, tra cui l’incensuratezza, valutate peraltro nella concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.

Tale valutazione, attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente e anche coerentemente al principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente, in materia di determinazione della pena (Sez. 2^, n. 36425 del 26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596), l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 c.p., si sottrae alle censure mosse, che, generiche nella opposta violazione di legge e nella opposta carenza motivazionale, corrispondono a valutazioni alternative di merito, non traducibili in censure di legittimità, laddove reclamano la rilettura in fatto degli elementi attinenti ai contestati reati, e sono prive di fondatezza nella parte in cui si dolgono della omessa considerazione delle già concesse attenuanti generiche nel giudizio sull’adeguatezza della pena.

4. Il ricorso per tutte le esposte ragioni deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2013
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