Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 01-08-2012, n. 13839

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Svolgimento del processo
D.C.L. ha, con ricorso alla Corte d’appello di Perugia depositato nel giugno 2010, proposto, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione regolato dalla stessa legge, introdotto nel gennaio 2006 dinnanzi alla Corte d’appello di Roma. Giudizio che, dopo la definizione in sede di merito nel maggio 2007, era proseguito in cassazione sino alla emissione della sentenza nel dicembre 2009.
La Corte territoriale, con il decreto indicato in epigrafe, ha parzialmente accolto la domanda, riconoscendo alla ricorrente un indennizzo di Euro 400,00 oltre interessi, per sei mesi circa di durata irragionevole del giudizio di equa riparazione, determinando complessivamente in tre anni i termini ragionevoli di definizione del giudizio in esame.
Per la cassazione di questo decreto la predetta ha proposto ricorso sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria; l’intimata Amministrazione ha svolto difese.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6.1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo nonchè vizio di motivazione, censurando il decreto impugnato in relazione alla determinazione della durata ragionevole. Con il secondo, denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e della tariffa forense (D.M. n. 127 del 2004) in relazione alla liquidazione delle spese.
2. Sotto il primo profilo, il ricorso è fondato. Ai fini della individuazione di quale sia la ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione, che si sia svolto dinnanzi alla Corte d’appello e in sede di impugnazione dinnanzi a questa Corte, occorre procedere alla ricognizione della giurisprudenza della Corte Europea sul punto.
Nella sentenza 29 marzo 2006 della Grande Camera, nella causa C. contro Italia, si è affermato che "il periodo di quattro mesi previsto dalla legge Pinto soddisfa il requisito di rapidità necessario perchè un rimedio sia effettivo. L’unico ostacolo a ciò può sorgere dai ricorsi per cassazione per i quali non è previsto un termine massimo per l’emissione della decisione.
Nel caso di specie, la fase giudiziaria è durata dal 3 ottobre 2001 al 6 maggio 2002, cioè sette mesi, che, pur eccedendo il termine previsto dalla legge, sono ancora ragionevoli" (par. 99). Nella successiva decisione della Seconda Sezione 31 marzo 2009, causa S. contro Italia (par. 29), si è invece ritenuta eccessiva una durata di un giudizio "Pinto", svoltosi in un solo grado dinnanzi alla Corte d’appello e protrattosi per undici mesi. Nel caso deciso dalla Seconda Sezione il 22 ottobre 2010, causa B. e C. contro Italia, dopo aver dato atto del contenuto della sentenza C., si è ulteriormente precisato che la durata di un giudizio "Pinto" davanti alla Corte d’appello, inclusa la fase di esecuzione, salvo circostanze eccezionali, non deve superare un anno e sei mesi. Da ultimo, nella decisione 27 settembre 2011 della Seconda Sezione, causa XXX F. s.n.c. D. M. C. contro Italia, la Corte ha ritenuto che, in linea di principio, per due gradi di giudizio, la durata di un procedimento "Pinto" non debba essere, salvo circostanze eccezionali, superiore a due anni. Nella giurisprudenza di questa Corte, si è invece ritenuto che la ragionevole durata del giudizio di equa riparazione previsto e disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 vada determinata in mesi quattro dalla data del deposito del ricorso, coerentemente alla indicazione chiaramente desumibile dall’art. 3, comma 6, della medesima legge (Cass. n. 8287 del 2010). Il Collegio ritiene che a tale orientamento non possa essere data continuità e che – rimandandosi alle singole fattispecie la valutazione della durata ragionevole di una procedura ex L. n. 89 del 2001 che si svolga solo dinnanzi alla Corte d’appello – ove, come nel caso di specie, la procedura si sia svolta anche dinnanzi alla Corte di cassazione, la durata complessiva del giudizio non possa comunque eccedere il termine ragionevole di due anni, tenuto conto, da un lato, delle indicazioni desumibili dagli ultimi approdi (sopra riassunti) della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo in coerenza con il termine (pur avente natura meramente sollecitatoria) di quattro mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, dall’altro della durata ragionevole del giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di estensione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno.
Esaminando quindi il caso di specie, risulta che il giudizio è iniziato con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Roma nel gennaio 2006 e che è stato definito con sentenza di questa Corte nel dicembre 2009. Detratto il termine ragionevole, stimato in due anni, e tenuto conto che l’impugnazione è stata proposta dopo più di un anno dal deposito della sentenza della Corte di merito (oltre il termine breve legislativamente previsto per il ricorso per cassazione: v. Cass. n. 8287 del 2010), la durata non ragionevole risulta essere stata di circa un anno, anzichè di sei mesi.
L’accoglimento del ricorso segue di necessità, restando assorbito l’ulteriore motivo.
3. Il decreto impugnato è quindi cassato, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.. Ai fini della liquidazione dell’indennizzo, va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (ex multis: n. 21840/09; n. 1893/10; n. 19054/10), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto superamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo. Pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento in favore di ciascuna ricorrente di Euro 750,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di un anno di irragionevole durata. Su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni.
4. Le spese del giudizio di merito e di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 750,00 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo; condanna inoltre il Ministero al pagamento delle spese del giudizio dinanzi alla Corte d’appello, in complessivi Euro 775,00 – di cui Euro 445 per onorari e Euro 280 per diritti – e di quelle dinanzi a questa Corte, in complessivi Euro 595,00 – di cui Euro 100 per spese -, oltre spese generali ed accessori di legge per entrambi i gradi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2012

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