Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-01-2013) 19-09-2013, n. 38704

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 6 luglio 2010 il Tribunale di Bolzano – sezione distaccata di Silandro ha assolto G.R. dal reato di cui al D.Lgs. n. 26 del 1998, art. 22, comma 12, contestatogli per avere, nella sua qualità di titolare della omonima ditta individuale, occupato illegalmente alle proprie dipendenze un cittadino albanese, privo del permesso di soggiorno, per non essere il fatto come accertato previsto dalla legge come reato.

2. La Corte d’appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano con sentenza del 12 gennaio 2012, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore Generale e in totale riforma della sentenza appellata, ha dichiarato l’imputato responsabile del reato ascrittogli e, previa concessione delle attenuanti generiche, l’ha condannato alla pena di mesi due di arresto ed Euro quattromila di ammenda.

Secondo la Corte, non vi erano dubbi in ordine alla materialità del fatto, poichè la circostanza che il cittadino albanese aveva lavorato alle dipendenze dell’imputato, riferita dal teste P. D., era stata ammessa dallo stesso imputato, a cui carico era l’onere di accertare il possesso da parte del lavoratore dei requisiti per essere assunto. Alla omissione di tale doveroso controllo conseguiva che il comportamento tenuto dal medesimo era affetto da dolo e non da colpa, contrariamente a quanto ritenuto in primo grado.

Sotto il profilo giuridico, la trasformazione della fattispecie di reato da contravvenzione a delitto e la sua punizione con la pena della reclusione e della multa, in luogo di quella dell’arresto e dell’ammenda, ai sensi della L. n. 125 del 2008 (che aveva convertito, con modificazioni, il D.L. n. 92 del 2008), rappresentava una innegabile continuità normativa, comportante la permanenza della punibilità e, ai sensi dell’art. 2 c.p., l’applicazione della sanzione prevista al momento del fatto.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato con il ministero del suo difensore, chiedendone l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione.

3.1. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello, nel riformare la sentenza di primo grado, ha erroneamente applicato l’art. 2 c.p., perchè non ha riconosciuto e non ha applicato le conseguenze della, invece, verificatasi abolitici criminis, la stessa emergendo da un’analisi dei rapporti strutturali tra i modelli astratti di reato, e in particolare dalla eliminazione della qualificazione di illiceità per i comportamenti già puniti a titolo di colpa e dalla introduzione di diversa fattispecie punita solo a titolo di dolo.

Nè la Corte, ad avviso del ricorrente, ha spiegato come ha stabilito che si è in presenza di una continuità normativa, che ha, invece, affermato come petizione di principio e in modo contraddittorio, avendo ritenuto di ravvisare un comportamento doloso nella omissione del controllo sui requisiti per l’assunzione del lavoratore, senza fornire la prova della intenzionalità e volontà di esso ricorrente di disattendere le disposizioni sui controlli dovuti al momento dell’assunzione, mentre, secondo la dottrina tedesca, cui si è richiamato il primo Giudice, i reati dolosi e colposi sono strutturalmente distinti e autonomi e, costituendo il dolo e la colpa elementi soggettivi della fattispecie, il venir meno della colpa modifica anche sotto il profilo oggettivo la struttura del reato.

3.2. In via subordinata, secondo il ricorrente, il suo comportamento è da ritenere scusabile, per non essersi egli rappresentato nè aver voluto gli elementi costitutivi del reato ex art. 47 c.p. e per essere, caso mai, probabile che egli sia incorso in errore nella valutazione della regolarità del lavoratore.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. A norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, vigente all’epoca del fatto, accertato il (OMISSIS), "il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato, è punito … ". Su tale punto specifico nessuna modifica è stata apportata nella descrizione della condotta dall’attuale art. 22, comma 12, come novellato dal D.L. n. 92 del 2008, art. 5, comma 1 ter, aggiunto dalla relativa Legge di Conversione n. 125 del 2008.

Alla luce di tale previsione normativa l’occupazione quale lavoratore dipendente, a tempo determinato o indeterminato, di un cittadino extracomunitario è legittima soltanto se quest’ultimo è titolare di un permesso di soggiorno a fini lavorativi, che, validamente rilasciato, deve coprire l’intera durata del rapporto, con la sola (apparente) eccezione relativa alla situazione di permesso lavorativo scaduto per il quale sia stata tempestivamente avanzata richiesta di rinnovo.

2.1. Con l’indicata modifica normativa, il reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12, ascritto al ricorrente, è stato tuttavia trasformato da contravvenzione in delitto, essendo stata sostituita la sanzione dell’arresto da tre mesi a un anno e dell’ammenda di Euro cinquemila per ogni lavoratore impiegato con la più grave sanzione della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa di euro cinquemila sempre per ogni lavoratore impiegato, a ciò conseguendo che, ai sensi dell’art. 42 c.p., comma 2, poichè nulla di diverso ha previsto la norma incriminatrice, il fatto, già punito indifferentemente a titolo doloso o colposo, è ora punito solo se commesso con dolo, e che, dovendo anche il fatto anteriore (ferma la sanzione più mite) partecipare, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, della nuova disciplina, l’elemento soggettivo per la sua punibilità deve essere accertato nelle forme del dolo.

2.2. Questa Corte ha più volte affermato che, atteso il contenuto della detta norma, la sussistenza del reato è esclusa solamente dalla regolare presenza in Italia dello straniero, che è onere del datore di lavoro verificare indipendentemente dalle asserzioni e aspettative di colui al quale viene data occupazione (Sez. 1, n. 37409 del 25/10/06, dep. 13/11/2006, Grimaldi, Rv. 235083; Sez. 1, n. 25990 del 17/06/2010, dep. 08/07/2010, Tattoli, Rv. 247984), e che il concetto di occupazione che figura nella detta norma si riferisce alla instaurazione di un rapporto di lavoro che già di per sè integra gli estremi di una condotta antigiuridica, qualora il soggetto assunto sia un cittadino extracomunitario privo del citato permesso, indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell’attività in questione (Sez. 1, n. 15463 del 26/03/2008, dep. 14/04/2008, P.M. in proc. Zhao, Rv. 239618).

Se, quindi, il datore di lavoro è tenuto ad accertare la regolare presenza del lavoratore sul territorio italiano per la regolare, e legittima, sua assunzione e/ occupazione come lavoratore, è coerente ai parametri di adeguatezza e logicità della motivazione la ricostruzione dell’elemento soggettivo, operata dalla Corte di merito in termini di dolo, della condotta, tenuta dall’imputato, di occupazione alle proprie dipendenze di un cittadino straniero, la cui permanenza irregolare nel territorio dello Stato doveva formare oggetto di un suo positivo accertamento, omettendo tale doverosa verifica, ed è corretta l’affermazione in diritto, contenuta nella sentenza impugnata, della permanenza della punibilità della fattispecie, pur nella sua intervenuta modifica normativa, dopo la commissione del fatto (accertato il (OMISSIS)), da contravvenzione a delitto e nella necessaria applicazione della sanzione già prevista per la prima, e non di quella sopravvenuta per il secondo.

2.3. Tali rilievi, esenti da vizi logici e giuridici resistono alle censure difensive, che, esprimendo un diffuso dissenso rispetto alla operata interpretazione delle risultanze processuali e alle svolte valutazioni in diritto, sono infondatamente incentrate, pur dopo l’affermazione che il reato contravvenzionale è punibile, quanto al profilo soggettivo, sia a titolo di dolo che di colpa, sulla eterogeneità degli elementi strutturali dei reati, puniti rispettivamente a titolo contravvenzionale dal D.Lgs. n. 286 del 1998 e come delitto dal D.L. n. 92 del 2008, omettendo di correlarsi con l’iter argomentativo della decisione, che è pervenuta alla considerazione conclusiva della ritenuta continuità normativa movendo dalla considerazione della natura dolosa del comportamento del ricorrente, integrato pertanto sul piano soggettivo dal medesimo elemento psicologico richiesto dalla vecchia e dalla nuova normativa.

Nè hanno alcuna fondatezza le deduzioni difensive, che attengono alla ontologica riconducibilità del comportamento omissivo a negligenza o a imprudenza, e non a "coscienza e volontà di disattendere le norme e di esporsi alle relative sanzioni", poichè genericamente espresse non solo in contrasto con gli articolati principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di reati omissivi, ma soprattutto con la ricostruzione fattuale della condotta del ricorrente di volontaria assunzione e/o occupazione alle proprie dipendenze di un cittadino straniero, assistita dal doloso mancato accertamento del possesso da parte dello stesso, assumendo e poi assunto, dei requisiti per la sua assunzione e/o occupazione.

2.3. La tesi dell’errore sugli elementi costitutivi del reato ex art. 47 c.p., peraltro preclusa in questa sede perchè mai dedotta ed esaminata nella competente sede del merito, è inammissibile perchè del tutto generica e priva di alcun riferimento a elementi, acquisiti agli atti e allegati e/o illustrati, che possano conferire alcuna specificità alle svolte deduzioni.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2013

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