Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-01-2013) 19-09-2013, n. 38703

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 2 maggio 2012 la Corte d’appello di Trieste ha confermato la sentenza del 9 novembre 2009 del Tribunale di Udine, che aveva dichiarato P.M. colpevole del reato di cui all’art. 681 c.p. e l’aveva condannato alla pena di mesi uno di arresto, convertita nella pena pecuniaria di Euro 1.140,00 di ammenda, e di Euro 500,00 di ammenda.
La Corte riteneva infondata l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per erronea indicazione della data del commesso reato, dovendo ritenersi frutto di errore materiale l’indicazione nel capo di imputazione della data del 21 aprile 2008, in luogo di quella del 22 marzo 2008, evidente sia all’imputato sia al difensore, senza alcuna violazione del diritto di difesa.
Neppure era fondato il motivo attinente alla non riferibilità del fatto all’imputato, avuto riguardo alla carica dallo stesso rivestita di consigliere e amministratore delegato della C. S.r.l., alla sua veste di legale rappresentante spesa per richiedere e ottenere la licenza per trattenimenti danzanti nel locale di (OMISSIS), alla sua identificazione quale legale rappresentante in occasione del controllo del 22 marzo 2008, alle dichiarazioni da lui rilasciate in detta occasione in merito alla capienza effettiva del locale, alla capacità di deflusso e al limite attuale consentito, e alla non desumibilità diretta dagli atti della identificazione di altri quali legali rappresentanti, che avrebbero solo potuto porsi come concorrenti nel reato.
Nel merito, il numero delle persone non era stato accertato con una percezione sensoriale di dubbia credibilità, ma, alla stregua delle testimonianze assunte, attraverso un conteggio "per teste", fermatosi quando si era superato il numero di duecento persone, pari al massimo dell’accoglienza consentito dalla licenza, e vi erano nella sala almeno il doppio del numero delle teste contate, e la responsabilità era stata, pertanto, accertata oltre ogni ragionevole dubbio sulla base di dati probatori e non solamente indiziari.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con il ministero del suo difensore, P.M., che ne chiede l’annullamento sulla base di quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 552 c.p.p., comma 2.
Secondo il ricorrente, essendo stata censurata l’applicazione di una norma processuale, non rileva la circostanza che vi sia stata o meno in sede di merito una corretta motivazione, poichè questa Corte è "giudice dei presupposti della decisione", sui quali esercita il suo controllo, senza limitarsi a verificare la plausibilità della motivazione.
Nella specie, sia il decreto di citazione sia i capi di imputazione contenuti nell’avviso di conclusione delle indagini e nella intestazione delle sentenze dei due gradi del giudizio hanno riportato come data del commesso reato il 21 aprile 2008, mentre il verbale relativo alla violazione contestata reca la data del 22 marzo 2008 e la comunicazione della notizia di reato, trasmessa alla Procura di Udine dalla Questura di Udine – Divisione amministrativa e sociale ufficio licenze – Ufficio controllo, reca la data del 23 marzo 2008.
Nè rileva la sottoscrizione da parte di esso ricorrente del verbale redatto dagli agenti di P.G., nè è possibile la correzione della data, peraltro contenuta in atto del Pubblico Ministero, con il ricorso alla procedura di cui all’art. 130 c.p.p., essendo richiesta una valutazione nel merito degli atti processuali.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 681 c.p., e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per la non riferibilità a esso ricorrente della qualifica di legale rappresentante della società C..
Secondo il ricorrente, la presenza di altre persone quali legali rappresentanti con più ampi poteri è desumibile dalla visura camerale, prodotta all’udienza del 9 novembre 2009, ed emerge dalla stessa pronuncia, che ha parlato della limitazione del conteggio delle persone presenti a duecento come condiviso con "uno dei titolari". Tale ammessa presenza di contitolari ed eventuali concorrenti nel reato non si concilia con l’affermazione della sua responsabilità esclusiva.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 681 c.p., e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla prova del reato.
Secondo il ricorrente, la contestazione in imputazione attiene alla precisa quantificazione di persone (oltre quattrocento) presenti/individuate nel locale e parametrate al contenuto della licenza, che stabiliva una capienza massima di duecento persone, e quindi è connessa, strutturalmente ed esclusivamente, a una quantificazione numerica, tuttavia compiuta, come già dedotto in appello, senza che sia risultata da alcun atto processuale la sospensione, durante l’accertamento, della normale attività del locale, mentre non è comprensibile la possibilità della conta solo visivamente delle persone stazionanti nel locale in considerazione del mutevole contesto ambientale, della musica ad alto volume e degli sbalzi luce/buio.
Non poteva, pertanto, considerarsi oggettiva la constatazione approssimativa e frutto di percezione soggettiva, dovendosi, invece, fare riferimento per appurare il numero reale delle persone presenti nel locale a dati oggettivi quale il numero dei biglietti d’accesso/scontrini rilasciati nella serata e/o in coincidenza del contesto temporale di accertamento.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Secondo il ricorrente, la sentenza è all’evidenza contraddittoria, perchè, violando il principio del necessario accertamento della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, parifica il conteggio soggettivo visivo a un dato oggettivo che considera prova del reato, mentre il numero dei biglietti e degli scontrini era l’unico dato oggettivo certo.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso attiene alla dedotta inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità, in dipendenza dell’omesso rilievo della incorsa violazione dell’art. 552 c.p.p. per erronea indicazione della data del commesso reato.
La censura che reitera le deduzioni già sottoposte, attraverso il primo motivo di appello, alla Corte di merito, è manifestamente infondata.
1.1. La sentenza impugnata, esattamente interpretando il disposto dell’art. 552 c.p.p., ha logicamente ed esaustivamente ritenuto privo di fondamento il profilo di nullità sollevato, rilevando che l’indicazione nel capo di imputazione del 21 aprile 2008 invece che del 22 marzo 2008 quale data del commesso reato è dipesa da errore materiale, che, evidente sia all’imputato, che è stato presente all’accertamento e ha sottoscritto il relativo verbale, sia al suo difensore di fiducia, che non l’ha mai dedotto e ha proceduto al controesame dei testi del Pubblico Ministero in ordine all’accertamento del 22 marzo 2008, non ha precluso il pieno esercizio del diritto di difesa quanto al contestato reato, commesso in detta data.
1.2. Tali rilievi sono coerenti con i principi di diritto affermati da questa Corte, e condivisi, alla cui stregua, non costituisce motivo di nullità del decreto di citazione a giudizio l’erronea indicazione della data del commesso reato, trattandosi di mera irregolarità che non impedisce all’imputato di formulare in modo compiuto ed efficace le proprie difese nel rispetto del contraddittorio (Sez. 1, n. 1788 del 30/03/2004, dep. 16/04/2004, Cavina, Rv. 228283), e sono, in ogni caso, anche in linea con i principi pure affermati in questa sede di legittimità con riguardo al principio di offensività delle nullità, da parametrare al criterio del conseguimento dello scopo e da legittimare una lettura non rigidamente formalistica delle conseguenze derivanti dalla inosservanza di norme processuali, ma riferita alla verifica della incidenza in concreto della questione e della sussistenza di un interesse – concreto e attuale – alla sua prospettazione (Sez. U, n. 19251 del 17/10/2006, dep. 09/03/2007, Michaeler, Rv. 235698; Sez. 3, n. 8698 del 17/01/2008, dep. 27/02/2008, Mancini, Rv. 238995; Sez. U, n. 36359 del 26/06/2008, dep. 23/09/2008, Carli, Rv. 240395, sub 8 della motivazione, non massimata sul punto, e, da ultimo, Sez. 1, n. 21054 del 04/03/2010, dep. 04/06/2010, Bruno e altro, Rv. 247573), senza che il ricorrente, anche in questa sede, abbia indicato, in relazione alla sua specifica posizione, quale concreto pregiudizio sia derivato a un suo interesse protetto, sfociando la svolta censura, sotto tale profilo, nel vizio della aspecificità.
Nè introducono elementi per un diverso apprezzamento i riferimenti generici operati in ricorso a stralci di atti processuali, non allegati, e comunque non indicativi (come il riferimento nella comunicazione della notizia di reato all’accertamento delle ore 1.30 del 23 marzo 2008) di alcuna violazione del diritto di difesa, neppure contestata, e del tutto infondatamente oppositivi rispetto alle considerazioni di merito svolte in sentenza (come la contestata valenza della sottoscrizione del verbale del 22 marzo 1998, perchè redatto dagli agenti di P.G.).
2. Destituite di ogni fondamento sono anche le censure, svolte con il secondo motivo, riferite alla contestata individuazione del ricorrente quale responsabile e in via esclusiva del contestato reato.
2.1. La sentenza impugnata, rispondendo alle censure mosse con il secondo motivo di appello, fondate sulle emergenze della visura della C. s.r.l., depositata all’udienza del 9 novembre 2009, e attinenti, in particolare, al limitato potere rappresentativo del ricorrente quale amministratore delegato, ha non solo puntualizzato i poteri allo stesso spettanti ed espressi nelle richieste, e nell’ottenimento, delle licenze del 6 febbraio e 25 agosto 2008 relative al locale, ma ha evidenziato, con richiami non incongrui ai dati fattuali disponibili e utilizzati, la sua identificazione, in occasione della vicenda in esame, quale legale rappresentante e titolare dell’autorizzazione, e il contenuto delle dichiarazioni dallo stesso rese come da verbale, che ha sottoscritto, pervenendo al rilievo conclusivo della non diretta desumibilità dagli atti della identificazione di altre persone con più ampi poteri rappresentativi, della sola "al più" possibile individuazione di concorrenti nel reato e della certa attribuibilità dello, stesso all’imputato.
2.2. Tali ragioni esenti da vizi logici e giuridici, resistono alle censure difensive, che, limitate al rilievo della pacifica contitolarità della gestione del pubblico esercizio, desumibile dagli atti prodotti e dal rilievo in fatto della stessa sentenza circa l’operata constatazione del conteggio delle persone presenti nel locale "condivisa con uno dei titolari", intendono trarre del tutto infondatamente la non certezza della responsabilità penale del ricorrente dalla presenza di eventuali concorrenti nel reato, senza correlarsi con le diffuse ragioni poste a fondamento della decisione con riguardo alla certa commissione del reato da parte del medesimo "in forza dei poteri di rappresentanza effettivamente esercitati".
3. Il terzo motivo riguarda la prova del reato di cui all’art. 681 c.p., contestata sulla base del rilievo che la sussistenza di tale reato, strutturalmente ed esclusivamente connessa a una quantificazione precisa delle persone presenti/individuate nel locale (oltre quattrocento), in rapporto al metro rappresentato dalla capienza massima stabilita dalla licenza (duecento), supponeva la prova precisa e reale delle persone presenti, e non la determinazione del numero, ipotetica e approssimativa.
Tali ragioni che ripropongono le osservazioni e deduzioni già formulate in sede di gravame, in contrapposizione argomentativa alle non condivise risposte già ricevute, si scontrano, con non consentite incursioni nel merito, con una esaustiva e affatto illogica e contraddittoria lettura delle emergenze processuali svolta in sede di merito.
3.1. La sentenza d’appello, infatti, con motivazione esente da evidenti incongruenze e da interne contraddizioni (saldata con la struttura motivazionale della decisione di primo grado per formare un unico complesso corpo argomentativo: Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c, Musumeci e altri, Rv. 191229), ha analizzato le risultanze probatorie, illustrando gli elementi fattuali, tratti dal sopralluogo della Polizia amministrativa della Questura, e dalle dichiarazioni dei testi, e ha coerentemente giustificato la loro ricostruzione, anche alla luce delle deduzioni difensive, puntualizzando che il conteggio delle persone presenti è stato fatto "per teste" e si è fermato quando è stato superato il limite consentito dell’accoglienza di duecento persone e si è oggettivamente constatato che il numero delle persone presenti corrispondeva ad almeno il doppio di quelle contate.
Nè la sentenza ha prescisso dal rilevare che le operate modalità di accertamento non sono state pregiudicate dai limitati movimenti delle persone presenti compatibili con il sovraffollamento del locale, nè dal mancato conteggio dei biglietti venduti, che ove svolto non poteva essere adeguatamente rappresentativo delle persone in atto presenti anche in relazione alla possibile non effettiva consegna a tutte del biglietto stesso.
4. Del tutto infondata è anche la doglianza sviluppata con il quarto motivo che riguarda la dedotta violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio e dei canoni, dalla stessa imposti, di valutazione probatoria degli elementi sui quali è fondata l’affermazione di responsabilità.
La valutazione svolta dalla Corte del materiale probatorio, priva di vuoti argomentativi in relazione alla valutazione di tutti i dati fattuali e logici, adeguata e plausibile come già rilevato, è, infatti, coerente con l’esatta interpretazione e applicazione del principio per cui il giudice pronuncia condanna al là di ogni ragionevole dubbio, lo stesso imponendo al giudice, per costante e condivisa giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009, dep. 17/12/2009, Durante, Rv. 245879; Sez. 1, n. 17291 del 03/03/2010, dep. 11/05/2010, Giampa, Rv. 247449; Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, dep. 11/11/2011, PG in proc. Javad, Rv.
251507), un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del "dubbio" e comportando che la verifica dell’ipotesi accusatoria da parte del giudicante deve essere effettuata in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni (l’autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa (l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica).
5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione -al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma che si determina nella misura ritenuta congrua di Euro mille.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2013

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