Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-01-2013) 24-07-2013, n. 32050

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 7 ottobre 2011, la Corte di appello di Bologna ha rideterminato in un anno e mesi sei di reclusione e 18.000 Euro di multa, con i benefici di legge, la pena inflitta a G. G., in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per detenzione e cessione continuata di cocaina a P. F., fatto accertato in (OMISSIS) dalla primavera (OMISSIS), concedendo l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 in parziale riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal G.U.P. presso il Tribunale di Bologna in data 15 aprile 2009, che lo aveva condannato alla pena di anni due, mesi dieci di reclusione ed Euro 12.000 di multa.

2. I giudici di appello hanno premesso di avere accolto il motivo di gravame proposto dall’imputato che aveva chiesto di vedersi applicata la pena che era stata indicata nella richiesta di patteggiamento al pubblico ministero, che era stata subordinata alla concessione della citata attenuante dell’art. 73, comma 7, t.u. stupef., attenuante che neppure il giudice del rito abbreviato aveva ritenuto di riconoscere, ed hanno determinato la pena secondo i calcoli indicati nella istanza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p..

3. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per erronea applicazione dell’art. 597 c.p.p., comma 3 in quanto la Corte di appello avrebbe calcolato la pena ponendo a pena base una pena base più alta rispetto a quella individuata dal giudice di prime cure, il quale aveva indicato la pena base in anni sei di reclusione ed Euro 26.000 di multa, mentre il giudice di secondo grado ha posto la pena base in anni sei e mesi sei di reclusione ed Euro 60.000 di multa; di conseguenza la pena pecuniaria inflitta in concreto è risultata più alta di quella irrogata precedentemente.

Motivi della decisione

1. Va premesso che in tema di patteggiamento è stato affermato che "oggetto della richiesta formulata ex art. 444 cod. proc. pen. è la pena definitiva da applicare in concreto e non quella indicata come base per il calcolo" (cfr. Sez, 4, n. 9053 del 1/6/1992, dep. 22/08/1992, P.G. in proc. Gallorin, Rv. 191832), tanto che se il giudice accoglie la richiesta, congrua e legale, di una pena concordata tra le parti, non possono venire in rilievo, in sede di legittimità, eventuali errori compiuti nell’iter di determinazione della pena base (in tal senso, Sez. 5, n. 5047 del 21/10/1999, dep. 15/11/1999, PM in proc. Paulon, Rv. 214602).

2. Con riferimento al caso in cui la richiesta di patteggiamento non venga accolta dal giudice, anche per mancato consenso del pubblico ministero, è stato precisato che egli esercita in maniera corretta il proprio potere discrezionale, "solo se infligge una pena superiore a quella proposta dall’imputato, anche se, svolgendo il computo, "parta" da una pena base inferiore a quella indicata dalla parte" (così Sez. 5, n. 10461 del 24/6/1999, dep. 1/9/1999, Lazzarini C, Rv. 215033).

2. Prendendo le mosse da questi principi, questo Collegio ritiene di affermare il principio che nel caso in cui il giudice di appello determini la pena in accoglimento dello specifico motivo di impugnazione con il quale sia stata richiesta l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. nei termini come proposti dall’imputato, a seguito del riconoscimento dell’attenuante ad effetto speciale ivi indicata (patteggiamento a suo tempo non perfezionatosi per il dissenso del pubblico ministero e per il mancato riconoscimento dell’attenuante invocata da parte del giudice di prime cure), non sussiste violazione del divieto di reformatio in peius quando il giudice nell’applicare la pena richiesta dall’imputato, seguendo le modalità a suo tempo indicate, indichi una pena base superiore di quella individuata ai fini del computo dal giudice di primo grado;

infatti la pena da esaminare per la verifica del rispetto del citato principio è quella finale che deve essere in concreto applicata.

3. D’altra parte nel caso di specie deve essere rilevato che la determinazione della pena-base detentiva è solo apparentemente di misura superiore a quella indicata nel computo della pena inflitta in primo grado, in quanto l’indicazione della pena base in anni sei e mesi sei è frutto di un mero errore, atteso che, a seguito della riduzione della metà della pena per la concessione dell’attenuante ad effetto speciale, la pena risulta ridotta a tre anni, per cui l’indicazione della pena base effettiva corrisponde ad anni sei, pena detentiva posta a base anche del calcolo della pena svolto in primo grado.

4. Nè può rilevare il fatto che, per effetto del recepimento della stessa richiesta dell’imputato, la pena pecuniaria risulti superiore a quella stabilita dal G.I.P. all’esito del giudizio abbreviato: è stato infatti affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che "non viola il divieto di "reformatio in peius" la sentenza del giudice d’appello che riduca la pena detentiva inflitta in primo grado ed aumenti quella pecuniaria, sempre che, operato il ragguaglio di quest’ultima ai sensi dell’art. 135 cod. pen., l’entità finale della pena non risulti superiore a quella complessivamente irrogata dal giudice di primo grado" (così Sez. 6, n. 2936 del 16/12/2009, dep. 22/1/2010, Bertolini, Rv. 246137).

5. Nel caso in esame l’entità della pena inflitta (anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 18.000 di multa) non supera certamente, con il ragguaglio ex art. 135, la precedente sanzione comminata (anni due e mesi dieci di reclusione ed Euro 12.0000 di multa) dovendosi considerare il differenziale di sole seimila Euro.

Pertanto il ricorso deve essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2013

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