Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Ritenuto che la Certe di appello di Napoli, con sentenza del 27 ottobre 2010, ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal GIP presso il Tribunale di Torre Annunziata, che ha condannato H.A. e H.P., concessa la diminuente del comma 5, alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 2400 di multa ciascuno, con i benefici di legge, per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per la detenzione in concorso a fini di cessione di sostanza stupefacente, tipo hashish (gr. 240) accertato in (OMISSIS);
che gli imputati hanno proposto separati ricorsi per cassazione, contenenti analoghe censure, chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi: 1) Erronea applicazione della legge penale in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 atteso che la destinazione a terzi della sostanza stupefacente è stata desunta da elementi indiziari, ossia dal rinvenimento del panetto di hashish in un vano portaoggetti dell’autovettura nella quale i due viaggiavano;
inoltre l’esame tossicologico della sostanza avrebbe dimostrato un principio attivo minimo; specificamente H.P. lamentava di non essere stato trovato nel possesso della droga; 2) Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto la Corte di appello non ha valutato la contraddizione argomentativa nel fatto che il giudice di primo grado ha riconosciuto il fatto lieve di cui all’art. 73, comma 5ma non ha concesso le circostanze attenuanti generiche;
Considerato che il ricorso è manifestamente infondato atteso che le censure, prospettate dai ricorrenti, peraltro sostanzialmente ripetitive di quelle prospettate nel giudizio di appello, appaiono finalizzate a rappresentare, peraltro senza adeguati supporti probatori o logici, una versione del fatto diversa, sottoponendo al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio propri del giudizio di merito, mentre al giudica di legittimità è preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione preferiti a quelli adottati dal giudice di merito (cfr. per tutte sez. 6, n. 22256 del 24/04/2006, Bosco, rv. 234148);
che va premesso che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061) e che tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico- giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116);
che nel caso di specie l’integrazione è ben possibile, in quanto la sentenza di appello ha espressamente richiamato la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto, all’analisi delle risultanze probatorie, esprimendo la propria condivisione per le considerazioni valutative e l’applicazione del principi di diritto esposti ed ha sviluppato una propria argomentazione, congrua e priva di smagliature logiche, evidenziando come gli imputati (zio e nipote) si trovavano insieme nell’auto dove era stato rinvenuto il panetto di hashish, ed attesa la mancanza di qualsivoglia giustificazione circa le ragioni di tale detenzione e l’eventuale destinazione della droga all’uso personale;
che il fatto che sia stata riconosciuta la lieve entità del fatto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, non pregiudica alcun giudizio in merito al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (cfr., Sez. 4, n. 18377 del 12/4/2006, dep.; 25/5/2006, Agus e altri, Rv. 234142 e Sez. 6, n. 8995 del 9/2/2010, dep. 5/3/2010, Shpani, Rv. 246408), atteso che i due istituti attengono ad ambiti diversi: in relazione alla diminuente specifica in materia di sostanze stupefacenti, il giudice di merito è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità (cfr. Sez. 4, n. 6732 del 22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942), mentre in relazione alle circostanze attenuanti generiche possono avere rilievo elementi anche non tipizzati;
che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile e ciascun ricorrente deve essere condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di mille Euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.