Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-01-2011, n. 479

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con il ricorso di primo grado, il Prof. D.S. ha impugnato il decreto del Rettore dell’Università degli Studi di Salerno prot. n. 65521 del 17 novembre 2008 con annessa nota del 24 novembre 2008, n. 67521, di revoca del precedente decreto rettorale n. 1025 del 18 aprile 2006, con il quale era stata accolta la sua domanda di permanenza in servizio per un biennio ai sensi dell’art. 16 d. lgs 30 dicembre 1992, n. 503. Egli ha altresì impugnato la nota rettorale n. 63128 del 7 novembre 2008, con la quale era data notizia delle sopravvenute modifiche legislative relative alla facoltà di prosecuzione del rapporto d’impiego; nonché la delibera, non conosciuta, del Senato Accademico dell’Università di Salerno, intervenuta nella materia del trattenimento in servizio ed ogni altro atto preordinato, connesso e conseguenziale, comunque lesivo.

Il Prof. D.S., professore ordinario titolare della cattedra di Antropologia culturale del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Salerno, aveva fatto presente di avere in passato domandato di rimanere in servizio per altri due anni (biennio dall’ 1 novembre 2009 all’ 1 novembre 2011) rispetto alla data stabilita per il suo collocamento a riposo.

La richiesta di permanenza in servizio era stata accolta con decreto rettorale n. 1025 del 19 aprile 2006.

In seguito, con la nota rettorale n. 63128 del 7 novembre 2008, egli era stato informato che, in materia di prosecuzione, a domanda degli interessati, dei rapporti di impiego con le pubbliche amministrazioni, l’art. 72, comma 7 e 9, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, aveva introdotto modifiche all’art. 16, comma 1, d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 503.

Con decreto rettorale prot. n. 65521 del 17 novembre 2008, l’Amministrazione universitaria aveva disposto la revoca della proroga biennale del rapporto di servizio.

Egli presentò il ricorso giurisdizionale con cinque distinti motivi di censura.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, richiamato l’art. 16 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 nel testo modificato dall’art. 72, comma 7, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, ha accolto il ricorso perché dalla lettera della disposizione risultava evidente che il prolungamento biennale del servizio non era più una facoltà dell’impiegato sottoposta ad un mero atto della sua volontà (la domanda di trattenimento). Era infatti stata attribuita all’Amministrazione la facoltà di valutare, discrezionalmente, se accettare la domanda di prolungamento del servizio. Un tale esercizio di potere discrezionale doveva ritenersi limitato alla valutazione di presupposti specifici, alcuni legati ai profili organizzativi generali dell’amministrazione, "in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali"; gli altri alla situazione specifica soggettiva e oggettiva del richiedente, "in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi". Ne conseguiva che il potere discrezionale dovesse essere esercitato in relazione alla situazione professionale del richiedente, che non poteva di per sé essere subordinata, in mancanza di un’effettiva ponderazione degli interessi propria delle scelte discrezionali, agli obiettivi strategici dell’Ateneo.

Il provvedimento dell’Università era poi basato su una valutazione generica e astratta del numero complessivo di professori della Facoltà ove operava il professore Scafoglio.

Detta valutazione di per sé non poteva giustificare il diniego di prolungamento del servizio: ne derivava la illegittimità del provvedimento impugnato, per non aver considerato tutti i presupposti previsti dalla legge e per carenza di valutazione "individualizzante".

La sentenza è stata appellata dall’Amministrazione, per la quale doveva essere annullata in quanto non aveva tratto le conclusioni dalla (esatta) premessa della sussistenza in capo all’amministrazione di un potere ampiamente discrezionale, giungendo all’erronea conclusione che soltanto a cagione di una valutazione della esperienza professionale del richiedente in termini non lusinghieri potesse discendere il diniego alla richiesta di trattenimento in servizio. Con ciò si ribaltava la categoria giuridica, qualificando in capo al richiedente un inesistente diritto potestativo condizionato. Al contrario, il mutato quadro legislativo impone che (soltanto) la scelta di consentire la permanenza in servizio necessiti di puntuale valutazione discrezionale, perché derogatoria dell’ordinaria previsione normativa: l’opzione reiettiva necessita solo dell’indicazione delle esigenze organizzative e funzionali dell’Ateneo. Ciò non soltanto nell’ipotesi di "prima delibazione", ma anche – in base alla norma transitoria del comma 9 dell’art. 72 – allorché si debbano riconsiderare precedenti provvedimenti di accettazione della richiesta di permanere in servizio. In tali ipotesi l’onere di puntuale motivazione si impone soltanto laddove la scelta dell’amministrazione sia nel senso di non revocare il provvedimento, e quindi di consentire la permanenza in servizio.

Nell’ipotesi contraria, in quanto allineata alla previsione generale di cui all’innovazione legislativa, non vi è necessità di puntuale motivazione, ulteriore rispetto a quella fondata sulle esigenze dell’Ateneo.

L’appellato Prof. Scafoglio ha depositato articolati scritti difensivi, chiedendo il rigetto dell’appello ed affermando l’esattezza della statuizione del primo giudice, il quale ha constatato come sia stata obliata ogni valutazione soggettiva del richiedente e come si sia pervenuti, da parte dell’Ateneo, ad una revoca "automatica" che attingeva la posizione soltanto dei sette professori richiedenti.

L’interpretazione della regula iuris postulata dalla difesa erariale appellante porrebbe problemi di costituzionalità in quanto volta ad ipotizzare atti amministrativi reiettivi (od addirittura espressione di autotutela) privi di motivazione ed in quanto tali lesivi del diritto di difesa.

Il motivo di gravame volto a sostenere che la motivazione sia necessaria solo in ipotesi di accoglimento della domanda di permanenza in servizio, e non già nell’ipotesi di rigetto, o di revoca di precedente provvedimento ampliativo, non era stata articolata in primo grado dall’Amministrazione: ne discendeva l’inammissibilità del motivo, perché impingente nel divieto di cui all’art. 345 Cod. proc. civ., e perché inammissibile integrazione motivazionale del provvedimento amministrativo.

L’appellato poi ripropone tutte le doglianze contenute nel ricorso di base e non esaminate in quanto assorbite dal Tribunale amministrativo, evidenziando il particolare curriculum di studioso e sottolineando che la delibera non aveva minimamente messo in conto i diritti degli studenti, immotivatamente privati di una guida autorevole e prestigiosa. La posizione dell’Ateneo appellante era supportata solo da generiche esigenze di economia di spesa; e nessuna parola era stata spesa sulla particolare qualificazione dell’appellato, il cui curriculum (44 pagine dense di titoli) avrebbe legittimato uno specifico esame ed, eventualmente, una motivazione reiettiva individualizzante.

Motivi della decisione

L’appello è fondato e deve essere accolto nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente riforma della appellata sentenza e reiezione del ricorso di primo grado.

Tutti i motivi di censura rappresentati dall’appellante difesa erariale sono ammissibili. Non ritiene infatti la Sezione che l’appello principale contenga una – inammissibile ai sensi dell’art. 345 Cod. proc. civ. – mutatio libelli rispetto alle difese articolate in primo grado, ovvero che si sia stata realizzata una fattispecie di integrazione motivazionale.

Invero, è inammissibile l’appello che attraverso una sorta di mutatio libelli proponga una censura sostanzialmente diversa rispetto a quelle dedotte nel giudizio di primo grado (Cons. Stato, VI, 28 settembre 2006, n. 5690). Al contempo, però, non è ravvisabile la mutatio allorché la modifica della domanda iniziale incida sul petitum nel solo senso di adeguarlo in una direzione più idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale oggetto dell’originaria domanda (Cons. Stato, VI, 1 dicembre 2006, n. 7094).

Tale ultima evenienza è, a ben guardare, ravvisabile nel caso di specie, se si considera che la ragione di mancato accoglimento della pretesa dell’interessato, sotteso alle doglianze avanzate nel ricorso di primo grado e a quelle del ricorso in appello, è sempre il medesimo, vale a dire la consistenza e la portata della motivazione necessaria alla delibera negativa.

L’appellante Amministrazione, nel ricorso in appello non pare avanzare una nuova tesi difensiva, né integrare il provvedimento negativo: ma solo rappresentare quale fosse, a suo avviso, la corretta interpretazione della norma di legge applicabile, ed esplicare le ragioni per cui la motivazione dell’impugnata delibera è sufficiente.Ciò anche a non considerare la circostanza che, secondo pacifica giurisprudenza (da ultimo, Cons. Stato, IV, 24 marzo 2009, n. 1772) il principio divieto del ius novorum in appello dell’art. 345 Cod. proc. civ. riguarda l’atto amministrativo impugnato e non la sentenza di primo grado, con la conseguenza che non concerne le difese e le eccezioni non proposte in prime cure dalla resistente contro la pretesa del ricorrente.

La censura deve quindi essere disattesa e l’appello è, pertanto, senz’altro ammissibile nella sua integralità.

Ciò premesso appare necessario soffermarsi sulla normativa in materia di prosecuzione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti.

In passato la materia era regolata dall’art. 16 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (emanato in attuazione della delega dell’art. 3 l. 23 ottobre 1992, n. 421), recante norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, che -affermando semplicemente che "è in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio (…) per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi" – riconosceva ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici (compresi i professori universitari) un vero e proprio diritto potestativo a permanere in servizio per il periodo riposo descritto (Cons. Stato, IV, 21 febbraio 2005, n. 573).

Avvalendosi della facoltà offerta da questo art. 16, il Prof. Scafoglio aveva presentato istanza di trattenimento in servizio e l’Università aveva conformemente provveduto con decreto rettorale n. 1025 del 19 aprile 2006 (relativo al biennio dall’1 novembre 2009 all’1 novembre 2011).

Prima però che egli avesse compiuto il settantesimo anno di età (avesse raggiunto, cioè, l’età di collocamento a riposo secondo l’ordinamento di appartenenza), l’art. 16 d.lgs. n. 503 del 1992 è stato integralmente sostituito dall’art. 72, comma 7, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modifiche dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, il quale, introducendo parametri di determinazione positiva, prevede ora che: "È in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso è data facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento".

Questa normativa sopravvenuta non contempla più un diritto soggettivo alla permanenza in servizio del pubblico dipendente, ma prevede che l’istanza, che ha facoltà di presentare, vada valutata discrezionalmente dall’Amministrazione, la quale ha facoltà di accoglierla, e possa avere accoglimento solo in concreta presenza degli specifici presupposti individuati dalla disposizione, i primi dei quali sono legati ai profili organizzativi generali dell’amministrazione medesima ("in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali") e i seguenti alla situazione specifica soggettiva e oggettiva del richiedente ("in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi").

Avuto riguardo al periodo (biennio dall’1 novembre 2009 all’ 1 novembre 2011) per cui avrebbe dovuto spiegare effetti il decreto rettorale con il quale era stato permesso allo Scafoglio di permanere in servizio, viene in rilevo la norma transitoria di cui al citato art. 72, comma 9, che così prevede: "Le amministrazioni di cui al comma 7 riconsiderano, con provvedimento motivato, tenuto conto di quanto ivi previsto, i provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati con decorrenza dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009".

La tesi della appellante Amministrazione è nel senso che i provvedimenti di cui all’art. 72, comma 8, d.l. n. 112 del 2008 vanno motivati analiticamente e con riguardo ad entrambi i parametri enunciati nella norma, soltanto allorché l’amministrazione intenda, a suo discrezionale giudizio, giovarsi della facoltà di accordare la domandata permanenza in servizio. Ma non anche se non intende avvalersi di una tale facoltà.

Va considerato, invero, che la permanenza in servizio oltre i limiti ordinari di età è istituto che, medio tempore, ha subito una radicale trasformazione rispetto alla configurazione che aveva avuto dall’art. 3 l n. 421 del 1992. Infatti, con l’innovazione introdotta dall’art. 72, comma 7, d.l- n. 112 del 2008 (da qui applicare perché governante, ai sensi del comma 9, la fattispecie in relazione al tempo "dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009"), è divenuto istituto da considerare ormai eccezionale a causa delle esigenze generali di contenimento della spesa pubblica espressamente perseguito con la manovra di cui allo stesso decretolegge, e segnatamente con le disposizioni del Capo II, tra cui è quella in esame. Pertanto la sua determinazione in concreto va sorretta, se nel senso della protrazione del servizio, da adeguate giustificazioni in relazione ai parametri di valutazione indicati dalla disposizione, la cui ragione va puntualmente esternata. Tra questi, dominante nel singolo caso, e dirimente, è la considerazione delle effettive "esigenze organizzative e funzionali" dell’amministrazione, rispetto a cui "la particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti" rappresenta un criterio giustificativo necessario, ma ulteriore, e non già la ragione determinante.

Si tratta infatti di dar corso ad un’ipotesi eccezionale di provvista di docente, che deve essere adeguatamente giustificata da oggettivi e concreti fatti organizzativi, tali da imporre che si faccia ricorso ad un tale particolare strumento. L’esternazione di una tale giustificazione della scelta – insieme a quella sugli altri elementi richiesti, a seguire, dalla disposizione – è necessaria per dar conto del come e perché l’Amministrazione si determini, derogando alle esigenze di risparmio perseguite dalla legge, a seguire questa speciale via. Non così è quando l’Amministrazione si determini negativamente, ricorrendo allora la situazione ordinaria di normale estinzione del rapporto lavorativo per raggiungimento dei limiti di età, che non richiede una speciale esternazione circa la particolare esperienza professionale dell’interessato. La ratio della nuova norma è infatti essenzialmente di contenimento finanziario e questo prevale, perché così vuole questa legge, sulla qualità professionale del docente: sicché è nella prima valutazione che va incentrata la scelta e ne va, se positiva rispetto alla disponibilità offerta dall’interessato, manifestata la ragione.

Non v’è chi non veda, del resto, che una diversa opinione comporterebbe la rappresentazione di una valutazione che sarebbe essenzialmente incentrata – se non addirittura come in passato sulla mera volontà del docente – su detta esperienza professionale, dalla cui "particolarità", piuttosto che dalle oggettive esigenze organizzative dell’amministrazione, verrebbe a dipendere una protrazione di rapporto che la nuova norma vuole ormai in principio limitare perché va ad incidere negativamente sulle esigenze di contenimento della spesa pubblica.

Questa è la ragionedella stessa ipotesi dell’art. 72, comma 9, sul doveroso riesame (tale è il significato di "riconsiderare") dei provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati, imposto direttamente dalla disposizione: l’àmbito della cui motivazione, per questa evidente identità di funzione, è il medesimo di quello del comma 7. I parametri sono dunque gli stessi.

È stata dunque, con l’innovazione del 2008, introdotta nuova disciplina, che ha invertito il rapporto tra regola ed eccezione della legislazione del 1992. L’uso del termine "facoltà" per descrive ora null’altro che la possibilità, da parte dell’interessato, di domandare all’Amministrazione il trattenimento in servizio, ma non più un diritto all’ufficio. La struttura della fattispecie definita dalla nuova disposizione si configura come eccezionale e soggetto a rigorose condizioni l’accoglimento.

Nella specie, la delibera del Senato accademico del 28 ottobre 2008 (ultimo capoverso) è coerente con quanto qui appena detto.

Il Collegio perciò, in base alle considerazioni ora esposte, non ritiene che ricorra la denunciata violazione di legge (neppure con riferimento all’art 3 l. 7 agosto 1990, n. 241) né un eccesso di potere per carenza o insufficienza di motivazione

Nessun vizio di violazione di legge o di difetto di motivazione è ravvisabile nella determinazione impugnata, su cui non gravava l’obbligo di soffermarsi sulla insussistenza della ipotesi eccezionale.

Il criterio seguito dall’appellante Ateneo, di contenimento delle spese, appare al Collegio sufficiente corredo motivazionale: il che non implica, ovviamente, sottovalutazione del ricchissimo e ragguardevole curriculum dell’appellato, ma solo non si sono ravvisate le esigenze eccezionali che avrebbero legittimato la deroga al criterio generale.

Non rilevano in contrario le condotte successive dell’Ateneo, segnatamente le "scelte" di successiva assunzione di personale docente, apparendo estranee alla fattispecie di cui qui si verte.

In ultimo, la partecipazione dell’appellato al procedimento appare essere stata garantita dall’inoltro della nota con cui era stato avvisato delle sopravvenute modifiche legislative, considerato anche che non ci si trova al cospetto di una ipotesi di autotutela, perché la "riconsiderazione" era specificamente ed espressamente imposta dalla disposizione di legge.

Il percorso argomentativo sviluppato dal primo giudice non resiste pertanto alle censure articolate nell’appello. Il gravame dell’Amministrazione contro la sentenza deve conseguentemente essere accolto, con conseguente riforma della decisione e reiezione del ricorso di primo grado.

Sussistono nondimeno le condizioni di legge per compensare le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della complessità delle questioni devolute all’esame del Collegio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto lo accoglie e per l’effetto in riforma della sentenza appellata respinge il ricorso di primo grado con salvezza degli atti impugnati.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Roberto Garofoli, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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