Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-01-2013) 11-07-2013, n. 29723

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Brescia con sentenza emessa il 4 ottobre 2011, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Brescia il 16 luglio 2010, che aveva condannato, nell’ambito di un processo penale nei confronti di molti imputati, escluse le aggravanti contestate ad alcuni di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 6 ed all’art. 80:

E.B.M., alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 23.000 di multa per il capo di imputazione n. 91, per avere acquistato 200 gr. di cocaina dal coimputato E.H..

M.P., alla pena di mesi dieci di reclusione e 3.000 Euro di multa, per il capo 2, il relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ricevuta da T.C. e T. A..

N.Y., alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 20.000 di multa per il capo n. 111, per avere acquistato cocaina dal coimputato E.H..

R.A.B.H., alla pena di anni cinque e mesi dieci di reclusione e 23.000 Euro di multa, per i capi 33, 34 e 125, per avere importato cocaina, e per averla acquistata e ricevuta dal coimputato E.H..

T.C., alla pena di anni sette ed Euro 29.000 di multa per i capi 1, 2, 3, 4, 5, e 6, per avere acquistato, detenuto e ceduto (anche a M.P. e ad altri identificati giudicati separatamente) quantitativi imprecisati di cocaina T.A., alla pena di un anno e mesi sei di reclusione e 4.000 Euro di multa per i capi 2 e 3, in concorso con T. C., in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

B.T., alla pena di anni 8 di reclusione, per i capi 55, 59 e 147 (quest’ultimo recante contestazione della fattispecie associativa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) per avere concorso nell’importazione di cocaina per il valore di 134 mila Euro, acquistata in Germania dal coimputato E.H. ed altro, operazione non conclusa per l’arresto avvenuto in Germania dei coimputati K.H. e E.A.R. e per averne ceduta a E.H. per il valore di 150 mila Euro.

2. I giudici di appello hanno confermato la ricostruzione operata dal giudice di prime cure, il quale aveva ricostruito il traffico di cocaina tra le province di (OMISSIS), enucleando un’associazione, organizzata dal coimputato E.F.S., residente in (OMISSIS), che aveva intessuto rapporti per approvvigionarsi di consistenti quantitativi da trafficanti di droga olandesi, svolgendo l’attività di acquisto, trasporto ed Importazione della droga tramite corrieri, incaricati anche della consegna del denaro, traffico gestito da gruppi di sodali nelle suddette zone, il capo dei quali era nella zona di Brescia, rilevante ai fini del presente giudizio, E.K.H..

L’indagine aveva invero tratto le mosse da intercettazioni telefoniche sull’utenza in uso dapprima a M.P. e poi a T.C., coinvolto in un consistente traffico di cocaina, per così dire al dettaglio, che avevano fatto emergere il collegamento con il fornitore di droga ed, in seguito, risalendo la catena delle cessioni, attraverso altre tecniche investigative, avevano condotto all’individuazione del vertice organizzativo, fino al sequestro di sostanze stupefacenti ed all’arresto in Germania, il 4 febbraio 2004, di due corrieri ( E.A.R. e K. H.) ed al successivo fermo di altri corrieri (imputati giudicati separatamente) il 3 aprile 2004.

3. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso chiedendone l’annullamento: E.B.M., per i seguenti motivi: 1) Mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe ritenuto responsabile il ricorrente ritenendolo utilizzatore dell’utenza telefonica intercettata, mentre risulta che E.B.A. coimputato ha un fratello che sì chiama M. e quindi non può essere considerato sufficiente che il teste-verbalizzante a dibattimento abbia detto che la voce intercettata era del ricorrente, senza una perizia fonica atta a dimostrarlo;

M.P., per i seguenti motivi: 1) Violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, in quanto essendo il ricorrente assuntore di droga, almeno in parte la stessa era destinata all’uso personale; inoltre il contenuto delle intercettazioni non è sufficiente ai fini della prova della cessione; N.Y., per i seguenti motivi: 1) Violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, in quanto la prova del dato ponderale del quantitativo di droga indicato al capo 111 è stato fondato sull’esame del significato letterale dell’espressione "due pietre grandi"; i giudici hanno ritenuto che ciascuna pietra grande corrispondesse a 100 grammi con una deduzione illegittima ed hanno ingiustamente escluso l’ipotesi attenuante del fatto di lieve entità ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

R.A.B.H., T.C., T.A., con un ricorso congiunto presentato dal loro difensore per i seguenti motivi: 1) Carenza ed illogicità della motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilità per T.A. (capo 2) e T.A. e T.C. (capo3), atteso il contenuto delle intercettazioni dove i giudici hanno enfatizzato la confidenza tra il M. ed il T.A. per desumere la consapevolezza dello stesso dei traffici svolti dal fratello; in particolare anche il colloquio tra l’ A. ed il M. non consentirebbe di ritenere certo il riferimento alla cessione di stupefacente; 2) Nullità della sentenza per violazione di legge, mancata individuazione del reato rispetto al quale è stata determinata la pena base quanto alla posizione di T.C. (non indicato nè dal giudice di primo grado, nè nella sentenza impugnata) e mancata riduzione della pena per effetto dell’assoluzione da alcuni episodi, posto che la sentenza a pag 104 lo ha assolto dalle imputazioni 5G e 5H senza provvedere ad operare una riduzione della pena finale; 3) Mancanza, contraddittorietà della motivazione per la mancata concessione a T.C. della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 ed alla richiesta di esclusione della contestata recidiva ed in ordine alla richiesta di riduzione della pena per il riconoscimento della continuazione con i fatti di cui ad una sentenza del G.I.P. di Brescia del 6 luglio 2004, divenuta irrevocabile il 27 gennaio 2005; 4) Illogicità della motivazione per la mancata restituzione a T.A. della somma di denaro sottoposta a confisca, sull’erroneo presupposto che mancherebbe la prova che il denaro proviene da attività lavorativa; 5) Illogicità della motivazione in ordine alla affermata responsabilità di R.A. B.A. quanto al capo 33), posto che la sentenza indica solo due telefonate quale base della condanna; 6) Contraddittorietà e mancanza della motivazione per la mancata riduzione della pena inflitta a R.A.B.A., anche in relazione all’applicata continuazione e alla mancata revoca della misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato, atteso il ruolo marginale della donna, confrontato con i capi di imputazione dei coimputati e mancata restituzione delle somme e dei valori oggetto di confisca, poichè non sono state motivate le ragioni che inducano a ritenere insufficiente la documentazione prodotta in appello;

B.T., per i seguenti motivi: 1) Errata applicazione della legge penale, illogicità manifesta, elusione dei temi del giudizio di impugnazione e pedissequa ricopiatura della sentenza di primo grado; la sentenza si sarebbe limitata a svolgere un preambolo di natura giurisprudenziale in tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti; a ritenere validi i principi affermati per determinare il ruolo di partecipe all’associazione, confermando la valutazione del ruolo che sarebbe stato ricoperto dalla ricorrente, senza alcuna motivazione in merito agli elementi di prova fondanti tale giudizio, atteso il contenuto delle poche telefonate intercettate (che sono state riassunte nel ricorso) dimostranti, invece, solo sporadici contatti con alcuni dei coimputati e la mancanza di risultati delle intercettazioni telefoniche, attivate sull’utenza dell’imputata e delle intercettazioni ambientali, nell’autovettura in uso alla stessa. Nè la Corte avrebbe fornito alcuna spiegazione circa il fatto che la ricorrente fosse estranea da qualunque condivisione degli utili dello spaccio. In particolare la difesa della ricorrente ha stigmatizzato il fatto che l’ultimo paragrafo della pag 113 della sentenza impugnata e la prima mezza facciata della pag. 114 siano la riproposizione letterale della pag. 213 della sentenza di primo grado, ed ugualmente per quanto attiene alle pagg 114-115 (ricopiatura della pag. 214 della sentenza del giudice di prime cure). I giudici di primo grado avevano considerato elemento di accusa contro la ricorrente l’omissione da parte della stessa della relazione sentimentale che la legava al coimputato K.H. nel corso dell’interrogatorio di garanzia, relazione ammessa solo in seguito; anche su questo punto i giudici di secondo grado si sarebbero limitati a ricopiare il testo della pag 215 della sentenza di primo grado, dove era stato affermato che l’essersi interessata alla nomina di un difensore del proprio amante arrestato in Germania costituiva un elemento dimostrativo della partecipazione all’associazione, senza considerare la possibilità che l’imputata rivestisse un ruolo di mero connivente, in quanto donna di uno dei trafficanti.

Motivi della decisione

1. E’ bene premettere che in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito o di seguire possibili interpretazioni e ricostruzioni alternative dei fatti, suggerite dai ricorrenti, ma quello di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a toro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Inoltre, com’è stato più volte affermato da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061), quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente, e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo, sicchè risulta possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello. Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica, ad esempio, allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).

2. Nel caso di cui si tratta un’integrazione è ben possibile, in quanto la sentenza di appello ha espressamente richiamato la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto delle complesse investigazioni e degli elementi probatori raccolti nei confronti di tanti imputati ed ha anche evidenziato che gli atti di appello hanno spesso in realtà riproposto questioni già affrontate e risolte della diffusa motivazione del Tribunale (così pag.91 della sentenza impugnata). Come è noto in sede di legittimità è preclusa una rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione o l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione dei fatti (Sez. 6, n. 22256 del 2006, Bosco, Rv.234148): quando il giudice di merito abbia esposto le motivazioni della propria decisione in coerenza con i dati risultanti dal processo non è ammessa una diversa ricostruzione in fatto della vicenda oggetto del giudizio da parte dei giudici di legittimità.

3. Alla luce di tali principi, devono innanzitutto essere dichiarati inammissibili per genericità, i ricorsi di E.B.M., M.P., N.Y., anche perchè in realtà sono volti a suggerire una rilettura in fatto delle risultanze processuali, diversa, e a loro favorevole, da quella effettuata dai giudici di merito, i quali hanno esplicitato le proprie valutazioni quanto alle posizioni dei predetti imputati, circa le risultanze probatorie a loro carico, anche tenuto conto della necessità di operare una lettura complessiva e globale del materiale probatorio acquisito nel processo, fondato da un numero considerevole di conversazioni intercettate e dalle altre acquisizioni probatorie. In particolare, sul significato delle espressioni adoperate nelle conversazioni, i giudici hanno ritenuto che alle stesse dovesse essere attribuito il significato di espresso richiamo a droga e a quantitativi della stessa, proprio alla luce della lettura complessiva delle modalità di comunicazione tra i vari autori del traffico di droga, sicchè il diffuso utilizzo dei termini "pietra grande" e "pietra piccola", risultava di evidente riferimento ai quantitativi di droga, valutazione del resto condivisa – ed ormai divenuta definitiva unitamente a quella sentenza – dal giudice del rito abbreviato relativo alle posizioni di molti degli altri compartecipi.

4. Risulta del pari inammissibile per la medesima ragione il ricorso congiunto presentato da R.A.B.H., T.C. e T.A., che risulta anche manifestamente infondato nei suoi profili di apparente specificità. In particolare il motivo n. 1) riferibile a T.A. ed il motivo n. 5) relativo a R.A., ma anche il motivo n. 3) relativo alla mancata concessione della circostanza aggravante del fatto lieve e la considerazione della recidiva al T.C., mirano a suggerire una rivisitazione del merito del giudizio, quanto alle loro specifiche posizioni; a tal proposito le decisioni di merito, nella lettura congiunta di cui si è detto, hanno fornito ragione congrua e sufficiente quanto alle posizioni degli imputati; in particolare, in riferimento al motivo n.3 di T.C. va richiamato il contenuto della motivazione di cui alla pag 106 della sentenza qui impugnata. Parimenti quanto al motivo di T.A. di cui al n.4, attinente la disposta confisca, la sentenza della Corte di appello ha fornito compiuta risposta alla doglianza già avanzata in tale sede alla pag 107 della decisione; ugualmente deve dirsi in relazione al motivo n. 6 della R., laddove i giudici di secondo grado hanno spiegato le ragioni per le quali, esaminata la documentazione prodotta dalla difesa, hanno mantenuto la confisca già disposta sulle somme di denaro, ma hanno contestualmente disposto il dissequestro e la restituzione alla stessa di molti oggetti indicati nel verbale di sequestro, riconoscendone la non pertinenza al profitto dei reati alla stessa contestati (pag. 109 della sentenza, ove la Corte di appello ha anche chiarito che la disposta misura di sicurezza dell’espulsione ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86, dovrà soggiacere alle verifiche dell’attualità della pericolosità al momento della sua esecuzione).

5. Quanto alla doglianza circa la determinazione sanzionatoria avanzata da T.C. con il motivo n. 2) ed alla mancata continuazione con la sentenza già definitiva del G.I.P. (n.3), le censure risultano manifestamente infondate sotto il profilo della violazione di legge e sono volte ad ottenere un riesame del merito quanto alla dosimetria sanzionatoria: al T.C., sin dal primo grado di giudizio, è stata riconosciuta l’equivalenza delle generiche sulla recidiva e la condanna inflitta con la sentenza menzionata del G.I.p. è stata ritenuta interamente assorbita nella pena inflitta all’esito del presente processo, essendo evidente che la pena base è stata ancorata al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 come contestato e la pena comminata dal giudice di prime cure aveva tenuto conto dell’assoluzione dei due capi di imputazione segnalati dal ricorrente, pronuncia assolutoria omessa invece, per mera dimenticanza, nel dispositivo, per cui correttamente la Corte di appello ha provveduto alla precisazione, correggendo un mero errore materiale di mancata inclusione nel dispositivo, senza che fosse possibile provvedere ad alcuna riduzione del quantum sanzionatolo inflitto, perchè già considerata dal primo giudice, Anche la lagnanza del T.A. relativa alla confisca della somma di denaro, trova specifica e congrua motivazione a pag. 104 della sentenza impugnata ed è pertanto manifestamente infondata.

6. Quanto al ricorso della B.T., l’esame della trattazione della posizione processuale della stessa, contenuta nella sentenza di secondo grado, conduce questo Collegio ad affermarne la fondatezza.

Infatti, pur dovendosi confermare i principi della integrazione motivazionale tra la sentenza di primo e secondo grado già espressi nell’incipit di questa parte motiva, non deve essere dimenticato che ben diversa dalla motivazione integrata delle sentenze dei due gradi di merito deve essere considerata una situazione di vera e propria mancanza di motivazione sui profili di responsabilità, mancanza che si verifica, secondo la giurisprudenza di questa Corte, quando la sentenza d’appello si limiti a riprodurre la decisione del primo giudice, aggiungendo la propria adesione in termini apodittici e stereotipati, senza dare conto degli specifici motivi d’impugnazione e senza argomentare sull’inconsistenza o non pertinenza degli stessi (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 12148 del 12/2/2009, dep. 19/3/2009, Giustino, Rv. 242811, Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, dep. 20/12/2012, Casulli e altri, Rv. 254102). In tal caso – è stato affermato – non si tratta di motivazione "per relationem", ma di vera e propria elusione dell’obbligo di motivare, previsto a pena di nullità dall’art. 125 c.p.p., comma 3 ed imposto dal precetto costituzionale ex art. 111, comma 6. Di conseguenza, è stata ad esempio ritenuta nulla per mancanza di motivazione quella sentenza d’appello che si limiti a copiare la decisione di primo grado, trascurando di rispondere alle doglianze proposte dall’appellante nei confronti della sentenza di primo grado, atteso che in tale modo viene vanificata la finalità dell’atto impugnatorio ed il secondo grado di giudizio finisce per trasformarsi in un vuoto rituale, nel quale le garanzie di difesa risultano del tutto fittizie. In particolare, recentemente, è stato precisato che è nullo per difetto di motivazione il provvedimento del giudice che riproduca alla lettera ampi stralci della parte motiva di altra pronuncia, "a meno che detta tecnica di redazione manifesti una autonoma rielaborazione da parte del decidente e dia adeguata risposta alle doglianze proposte dal ricorrente" (cfr. Sez.4, n.7031 del 5/2/2013, dep. 12/2/2013, Conti, Rv. 254937, fattispecie sulla tecnica del "copia-incolla").

7. Orbene, la sentenza impugnata è composta di passaggi motivazionali relativi alla posizione della B., semplicemente ricopiati, punteggiatura inclusa, dalla parte motiva della sentenza di primo grado, passaggi specificamente indicati nel ricorso per cassazione, senza che risulti una qualunque risposta ai motivi di appello che la medesima ha sottoposto, i quali avrebbero invece dovuto essere affrontati e motivatamente accolti o disattesi.

8. In quell’atto di impugnazione, la difesa dell’imputata aveva dettagliatamente illustrato il contenuto delle conversazioni intercettate, assumendo che dalle stesse emergevano con chiarezza le ragioni tutte personali dell’intervento della donna, che il 5 febbraio 2004 aveva telefonato a E.F.S. comunicandogli che sarebbe andata a prendere uno di due connazionali arrestati in Germania, mentre K.H., persona con il quale la donna (ragazza all’epoca dei fatti) intratteneva una relazione sentimentale, era rimasto in stato di arresto; la B., in successive conversazioni che si susseguivano rapidamente nel medesimo contesto temporale, aveva cercato di sollecitare l’interlocutore affinchè aiutasse l’uomo a meglio difendersi in ordine al possesso della somma di denaro sequestrata dalla polizia tedesca; la difesa assumeva anche che la donna inizialmente, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva taciuto della relazione sentimentale con il K., in quanto l’ordinanza di custodia cautelare per questi fatti era stata eseguita molto tempo dopo le vicende di cui è processo, ossia il 27 maggio 2008, successivamente al matrimonio della B. con altra persona, unione dalla quale era nata una bimba di appena tre mesi, in quanto la stessa aveva temuto possibili pregiudizi nella propria vita familiare da tali rivelazioni; peraltro la difesa aveva sottolineato che l’esame del contenuto delle intercettazioni e le altre spiegazioni rese successivamente dalla donna in ordine alla estraneità ad ogni condotta di traffico di droga o di partecipazione al gruppo criminale, aveva già condotto il Tribunale della libertà a revocare la misura coercitiva, per difetto di gravità indiziaria, non ritenendo possibile l’individuazione di comportamenti rilevanti sotto il profilo del concorso morale; la difesa aveva anche evidenziato che le intercettazioni telefoniche ed ambientali, effettuate nei confronti della donna all’epoca dei fatti per oltre due mesi, avevano dato un esito negativo; ulteriore motivo di censura sottoposto all’attenzione dei giudici dell’appello nell’atto di impugnazione era stato quello relativo alla constatazione che la sentenza stigmatizzava il comportamento tenuto dalla donna nel corso del febbraio 2004 assumendo, erroneamente, che la stessa per recarsi in Germania ad aiutare il K., avesse lasciato sola la figlia di pochi mesi, con ciò confondendo il periodo di maternità della B., che aveva poi avuto una figlia a seguito del matrimonio contratto nel 2006 (figlia che aveva pochi mesi nel 2008, allorchè fu eseguita la misura di custodia cautelare in carcere); la difesa aveva concluso assumendo che il ruolo dell’imputata era inquadrabile nella figura del connivente e non in quella del partecipe.

8. La sentenza impugnata ha omesso qualunque riflessione, seppure breve, sui motivi proposti, nè i giudici hanno mostrato di avere consapevolmente condiviso le argomentazioni già esplicitate dai giudici di prime cure.

Per tali ragioni, la sentenza emessa nei confronti di B.T. deve essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per un nuovo giudizio, mentre i ricorsi presentati dagli altri imputati, per i motivi sopra esposti, devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.T. e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per un nuovo esame; dichiara inammissibili i ricorsi presentati dagli altri imputati e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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