Cons. Stato Sez. VI, Sent., 24-01-2011, n. 477

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sez. II, n. 2676/09 del 29.10.2009 (che non risulta notificata), è stato respinto il ricorso proposto dall’Impresa O. s.r.l., avverso due decreti di annullamento della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, entrambi emessi in data 23.6.2009 e concernenti altrettante autorizzazioni paesaggistiche, rilasciate dal Comune di Ospitale di Cadore per la realizzazione – rispettivamente – di un tratto di scogliera d’argine, a protezione di aree da destinare a depositi di inerti, e di una rimessa interrata.

Le ragioni espresse dalla citata Soprintendenza, risultavano esposte nei seguenti termini:

a) In relazione alla scogliera: "l’intervento proposto si colloca in prossimità dell’alveo del fiume Piave e della strada statale n. 51. Le opere previste consistono nella realizzazione di una scogliera in alveo e di due piazzale rilevati per deposito di mezzi e materiali inerti, Tale proposta progettuale non dimostra la compatibilità paesaggistica e, se realizzata, verrebbe ad alterare ulteriormente lo stato dei luoghi, ponendosi in contrasto con il contesto paesaggistico residuo, in un sito già "aggredito" e che non può essere pretesto per ulteriore degrado, ma oggetto di riqualificazione paesaggistica, secondo quanto enunciato nella Convenzione Europea del Paesaggio del 2000";

b) In relazione ai locali interrati: "l’intervento proposto si colloca in un’area sita tra l’insediamento storico del borgo di Rivalgo e l’alveo del fiume Piave. L’intervento previsto verrebbe a modificare il naturale andamento del terreno e della residua area a verde di pertinenza del piccolo borgo edificato, con carenza di motivazione che giustifichi tali alterazioni e ne dimostri la compatibilità paesaggistica. Si rileva inoltre che tale proposta progettuale, se realizzata, verrebbe ad alterare ulteriormente lo stato dei luoghi, ponendosi in contrasto con il contesto paesaggistico residuo, in un sito già "aggredito" e che non può essere pretesto per ulteriore degrado, ma oggetto di riqualificazione paesaggistica, secondo quanto enunciato nella Convenzione Europea del Paesaggio del 2000"";

In rapporto ai provvedimenti sopra indicati erano state prospettate le seguenti censure, riproposte nell’atto di appello in esame (n. 4305/2010, notificato il 28.4.2010):

1) violazione di legge in relazione al combinato disposto dell’art. 159, terzo comma, del D.Lgs. n. 42/04 e dell’art. 3 della legge n. 241/90; eccesso di potere per falsità del presupposto, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti e contraddittorietà con precedenti manifestazioni; violazione del legittimo affidamento, illogicità, tenuto conto del carattere vago e ripetitivo con cui negli atti impugnati si prefigura un "indimostrato pericolo di paventata alterazione dei luoghi", a fronte di autorizzazioni comunali ben più analiticamente motivate; con riferimento all’intervento di cui al precedente punto b), inoltre, la segnalata modifica del naturale andamento del terreno sarebbe frutto di vero e proprio travisamento dei fatti, trattandosi di intervento sotterraneo di modesta entità, privo di qualsiasi impatto esterno;

2) violazione di legge, in relazione al combinato disposto dell’art. 159, secondo comma, del D.Lgs. n. 42/04 e degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990; violazione dei canoni generali di partecipazione procedimentale, non essendo intervenuta alcuna forma di comunicazione di avvio del procedimento.

Nella sentenza appellata tutte le argomentazioni difensive sopra sintetizzate erano ritenute non condivisibili: quanto alla omessa comunicazione di avvio del procedimento, poiché il Comune avrebbe viceversa "provveduto con atto equipollente, comunicando al ricorrente l’invio della pratica alla Soprintendenza"; quanto alle modalità di esercizio della potestà di controllo di cui trattasi, poiché la Soprintendenza – che poteva al riguardo rilevare qualsiasi forma di illegittimità – avrebbe nella fattispecie evidenziato "vizi di contraddittorietà, illogicità, insufficienza di motivazione e violazione di legge", con "ampi e approfonditi rilievi", atti a dimostrare le "carenze motivazionali" delle autorizzazioni annullate.

In sede di appello, la citata società O. s.r.l. ribadiva in particolare – in base a documentazione di provenienza comunale – l’omessa comunicazione alla medesima dell’invio dell’autorizzazione alla Soprintendenza.

Le amministrazioni statali appellate, costituitesi in giudizio, resistevano formalmente all’accoglimento del gravame.

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene di dover esaminare anticipatamente, per ragioni di priorità logica, la censura di omessa comunicazione di avvio del procedimento.

A tale riguardo possono considerarsi ormai superati i diversi orientamenti giurisprudenziali e legislativi, emersi in ordine alla applicabilità, o meno, del predetto istituto al subprocedimento di controllo, rimesso all’Autorità statale in ordine alle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dall’ente territoriale delegato. Nella originaria assenza di specificazioni normative, infatti, la giurisprudenza si era in prevalenza orientata nel senso di ritenere sussistente l’obbligo di comunicazione di avvio in rapporto alla procedura in questione, quale nuova modalità dialettica di esercizio della funzione amministrativa, in una dimensione di massima trasparenza nei rapporti tra cittadini e Autorità pubbliche (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 3.2.2004, n. 342, 25.3.2004, n. 1626, 14.1.2003, n. 119, 2.9.2003, n. 4866). Tale orientamento, tuttavia, era stato superato dall’espressa abrogazione normativa dell’obbligo di cui si discute, in base al rinvio operato dall’art. 4 del D.M. 13.6.1994, n. 495 (regolamento contenente disposizioni attuative della legge n. 241/90, comma 1 bis, aggiunto dal D.M. 19.6.2002, n. 165) all’art. 151 del D.Lgs. 29.10.1999, n. 490 (cfr. anche Cons. St., sez. VI, 1.7.2003, n. 2835, TAR Lazio, Roma, sez. II, 20.1.2004, n. 497). La norma introdotta dall’art. 2 del citato D.M. n. 165/2002 (divenuta art. 1 bis del regolamento attuativo degli articoli 2 e 4 della legge n. 241/90, emanato con D.M. n. 495/1994) disponeva infatti – con efficacia dalla data di entrata in vigore della norma stessa – che la comunicazione di avvio del procedimento non fosse dovuta, da parte del relativo funzionario responsabile, "per i procedimenti avviati ad istanza di parte e, in particolare, per quelli disciplinati dagli articoli 21, 22, 23, 24, 25, 26, 35, 41, 43, 50, 51, 53, 55, 56,59,66. 68, 69, 72, 86, 102, 107, 108, 109, 113, 114, 151, 154 e 147 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490", ovvero del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (che appunto nell’art. 151 disciplinava l’invio delle autorizzazioni paesaggistiche alla competente Soprintendenza, con facoltà di annullamento delle medesime autorizzazioni, da parte del Ministero, entro 60 giorni).

Dall’entrata in vigore del nuovo Codice dei beni culturali (D.Lgs. n. 42 del 22.1.2004, come successivamente modificato ed integrato) veniva invece previsto nell’art. 159 – quale disciplina transitoria, valida fino al 31 dicembre 2009 – che l’Amministrazione competente desse immediata comunicazione alla Soprintendenza delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate, con contestuale invio di tale comunicazione agli interessati, quale "avviso di inizio del procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990, n. 241".

In base alla predetta disposizione non può che ritenersi superata – per l’effetto abrogativo proprio della norma sopravvenuta di rango superiore – la soppressione del momento partecipativo introdotto con la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi del ricordato art. 4, comma 1 bis, del D.M. 13.6.1994, n. 495, come modificato dal D.M. 19.6.2002, n. 165 (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 7.1.2008, n. 30; 13.2.2009, n. 771, 21.3.2006, n. 1506).

Alla data di emanazione degli atti di annullamento di cui si discute (23.6.2009), pertanto, il privato richiedente l’autorizzazione doveva ricevere comunicazione dell’avvio del subprocedimento di controllo, attivato con l’invio dell’autorizzazione paesaggistica comunale alla Soprintendenza; la censura a tale riguardo prospettata implicava, dunque, l’onere per l’Amministrazione comunale competente di comprovare, ove sussistente, l’avvenuta comunicazione di cui al più volte citato art. 159 D.Lgs. n. 42/2004. Nella fattispecie l’adempimento in questione risultava, in effetti, enunciato nei provvedimenti impugnati, emessi dalla Soprintendenza, ma – deve ritenersi – come mera clausola di stile, non a caso priva della data della presunta trasmissione: una trasmissione in realtà mai avvenuta, ed in rapporto alla quale il Comune non aveva fornito alcuna prova in primo grado di giudizio, con successivo esplicito riconoscimento di tale omissione, attraverso la nota n. prot. 68/10 del 29.12.2009.

La censura deve quindi essere accolta, con ritenuta fondatezza dell’appello sotto tale profilo.

Quanto al primo ordine di censure (da valutare anche nell’ottica di cui all’art. 21 octies della legge n. 241/90, nel testo aggiunto dall’art. 14 della legge n. 15/2005, non risultando i provvedimenti annullabili per il vizio di cui sopra, "qualora l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato) il Collegio ritiene che fossero viceversa individuabili, nella fattispecie, i presupposti di un’utile fase partecipativa. E’ vero infatti che il controllo, affidato alla citata Soprintendenza, non poteva implicare una sovrapposizione delle valutazioni di merito di quest’ultima, rispetto a quelle dell’autorità delegata, ma risultava comunque riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen. 14.12.2001, n. 9); proprio la suddetta dimensione del controllo, tuttavia, giustificava la prevista possibilità di partecipazione al procedimento del soggetto direttamente interessato, in grado di fornire un apporto conoscitivo sui parametri – valutabili in via di riscontro di legittimità – dell’attività discrezionale dell’Amministrazione. Quanto sopra, ovviamente, secondo le ragioni esposte nell’atto di annullamento: ragioni in astratto rientranti nei poteri di accertamento della Soprintendenza, ma che potevano in concreto essere contestate, a seguito di un’istruttoria che consentisse la partecipazione del soggetto interessato, sulla base di una più ampia cognizione dei presupposti di fatto rilevanti nella situazione in esame (reale impatto sullo stato dei luoghi della scogliera e congruità, o meno, delle motivazioni al riguardo espresse nell’autorizzazione comunale – al di là dell’apodittica censura, riguardo a quest’ultima formulata, "indimostrata compatibilità paesaggistica" – nonché sussistenza, o meno, di alterazioni del naturale andamento del terreno per i locali interrati, anch’essi oggetto di autorizzazione, il cui annullamento riproduce quasi parola per parola quello di cui sopra).

La preclusione di detto apporto partecipativo è sufficiente, dunque, perché si debba giungere all’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza gravata, all’annullamento degli atti impugnati in primo grado di giudizio, con conseguente nuovo avvio della procedura di controllo non legittimamente espletata; non può non trovare applicazione infatti, nel caso di specie, l’effetto ripristinatorio e conformativo dell’annullamento, emesso in sede giurisdizionale: un effetto che, ove la caducazione di un atto sia disposta per vizio interno al procedimento, comporta ripresa del procedimento stesso dal momento della verificata illegittimità (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. VI, 22.9.2008, n. 4563; Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 12.8.2010, n. 1112)

In base alle considerazioni svolte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della complessità della situazione dedotta in giudizio e dell’importanza dell’interesse pubblico alla tutela ambientale del territorio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie l’appello, come in epigrafe proposto e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla gli atti impugnati in primo grado di giudizio, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Coraggio, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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