Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 01-08-2012, n. 13788

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, confermando la decisione del Tribunale di Latina impugnata da F.G., ha rigettato la domanda da costei proposta nei confronti dell’INPS, per l’accertamento del diritto all’indennità di maternità prevista per le braccianti agricole, osservando che le prove documentali e testimoniali raccolte non evidenziavano con certezza l’esistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato.

Per la cassazione di questa sentenza la F. ha proposto ricorso fondato su 3 motivi.

L’INPS ha resistito con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo e con deduzione di violazione delle L. n. 1949 del 1940, L. n. 212 del 1946, L. n. 33 del 1980, nonchè degli artt. 2094 e 2967 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che di vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, si censura la sentenza impugnata per mancato esame dei motivi di appello e, in particolare, per la non corretta valutazione delle deposizioni testimoniali che, secondo la ricorrente, riferivano, con precisione e univocità, in ordine ai periodi di lavoro svolti, all’avvenuta corresponsione di retribuzione e alla sua soggezione alla disciplina del datore di lavoro (la suocera non convivente I.E.);

2. Nel secondo motivo, sempre con deduzione di violazione delle medesime disposizioni normative, nonchè di "error in procedendo" e di vizi di motivazione, si rinnovano le doglianze di cui al primo motivo quanto alla valutazione delle dichiarazioni dei testi escussi, censurandosi, altresì, la sentenza impugnata per l’errata interpretazione delle norme regolatoci della materia, queste non richiedendo, per la configurabilità della prestazione subordinata in agricoltura la presenza di direttive specifiche e continue;

3. Nel terzo motivo, rinnovandosi le già indicate censure, si contesta, in particolare, alla Corte di merito di non aver osservato i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità a proposito del rapporto di lavoro intercorso tra familiari non conviventi (dovendo escludersi, per tale rapporto, la presunzione di gratuità) e per aver dato rilievo alle prove fornite dall’INPS, non fondate su riscontri obiettivi e smentite da quelle offerte dalla ricorrente.

4. Il ricorso, i cui motivi si esaminano congiuntamente per l’evidente connessione, è privo di fondamento.

5. Quanto ai principi dettati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di attività lavorativa prestata in ambito familiare, la sentenza impugnata risulta averne fatto piena e corretta applicazione, essendosi ripetutamente affermato che, pure nel caso di rapporto di lavoro intercorso tra parenti e affini non conviventi, resta, comunque, a carico della parte che rivendica in giudizio diritti a prestazioni previdenziali derivanti da un tale rapporto fornire una prova precisa e rigorosa di tutti i suoi elementi costitutivi e, in particolare, dei requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione; con la precisazione, altresì, che, a tal fine – e, soprattutto, quando l’esistenza dei requisiti in questione sia, come nella specie, contestata dall’INPS con la produzione in giudizio di verbali ispettivi recanti dichiarazioni dello stesso lavoratore interessato – non è sufficiente la dimostrazione dell’avvenuta esecuzione della prestazione lavorativa, ma devono essere forniti elementi idonei a far risultare l’esistenza di un nesso di corrispettività tra la prestazione in parola e quella retributiva (come entrambe caratterizzate dalla obbligatorietà), nonchè l’esistenza di quel tanto di direttive e controlli che valgano a differenziarla dal lavoro autonomo, pur se in quadro di maggiore elasticità degli orari e di altre modalità (tra tante, da ultimo, Cass. n. 23170/2011, n. 12551/2011, n. 9043/2011, n. 7992/2010).

6. Quanto, poi, alle critiche rivolte alla valutazione della prova, ritiene la Corte che siano del tutto esenti dagli errori giuridici e dai vizi di motivazione denunciati le conclusioni del giudice d’appello secondo cui le dichiarazioni dei testi indicati dalla F. non consentivano di ritenere dimostrata con certezza la esistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato, non essendo idonee a contrastare – perchè non univoche e recanti elementi di contraddizione – quanto accertato e dichiarato, nei verbali allegati al processo, dagli ispettori dell’INPS, i quali avevano posto in luce notevoli discordanze tra le dichiarazioni della lavoratrice e quelle del presunto datore di lavoro in ordine ai periodi lavorati, ai luoghi oggetto della prestazione, ed al tipo di attività ivi svolte.

Trattasi, invero, di conclusioni cui la Corte territoriale è pervenuta vagliando tutti gli elementi probatori acquisiti (la sentenza impugnata fa testuale riferimento alle prove testimoniali raccolte dinanzi al giudice di primo grado e ai documenti in atti) e, ritenendo, all’esito del loro complessivo esame, di privilegiare il contenuto delle verbalizzazioni degli ispettori dell’INPS, in quanto non opportunamente contraddette dalle dichiarazioni dei testi escussi; apprezzamento, quest’ultimo, che costituisce (art. 116 c.p.c.) legittimo esercizio del potere istituzionalmente demandato al giudice del merito, al quale, per consolidato orientamento di questa Corte, spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essa sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova attraverso un giudizio di fatto che è insindacabile in sede di legittimità quando dalla motivazione risulti – come, in effetti, risulta nel caso di specie – che il convincimento si sia realizzato attraverso la considerazione dei vari elementi processualmente acquisiti e la loro complessiva valutazione (cfr., fra tante, Cass. Sez. un. n. 898/1999, Cass. 6023/2000, n. 16087/2003, n. 12912/2004).

7. In realtà, a ben guardare, le censure relative alla motivazione, senza indicare, come trascurati o non adeguatamente valutati dal giudice d’appello, elementi di fatto di rilevanza decisiva ai fini di causa, in quanto idonei a fornire la prova certa della ricorrenza, in concreto, de negato rapporto di lavoro subordinato, appaiono, piuttosto, strumentali ad ottenere, prospettandone una difforme valutazione, un nuovo esame delle risultanze istruttorie, peraltro inammissibile in questa sede alla luce di principi del tutto pacifici, in quanto incompatibile con il sindacato di (sola) legittimità proprio del giudizio di cassazione (vedi Cass. n. 7394/2010, n. 6064/2008, n. 15693/2004).

8. Il ricorso va, quindi, rigettato.

9. Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 269 del 2003 (convertito dalla L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2012

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