Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-08-2012, n. 13923

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bari con sentenza del 20 settembre 2005 ha respinto la richiesta di indennità avanzata da F.R. per l’avvenuta espropriazione con decreto sindacale 20 dicembre 2000 da parte del comune di Triggiano, di un terreno di sua proprietà (in catasto al fg. 16/A part. 2733), in quanto l’immobile era stato appreso in conseguenza del decreto di occupazione temporanea 21 giugno 1988, inutilmente scaduta il 29 luglio 1993; sicchè successivamente se ne era verificata l’occupazione espropriativa per l’irreversibile trasformazione nella opera stradale programmata dalla dichiarazione di p.u.. Ha rigettato altresì la domanda di determinazione dell’indennità di occupazione perchè quella di L..1850 mq offerta, dal comune era congrua, essendo il terreno ubicato in zona di rispetto cimiteriale, e quindi inedificabile.

Per la cassazione della sentenza il F. ha proposto ricorso per 4 motivi;cui resiste il comune di Triggiano con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il F., deducendo violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 censura la sentenza impugnata per avere applicato l’istituto dell’occupazione espropriativa, ormai superato dalla giurisprudenza della CEDU e dall’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni, per il quale la proprietà è acquistata dall’amministrazione espropriante solo nel momento in cui viene adottato il provvedimento di acquisizione cd. sanante; sicchè, mancando nella specie detto provvedimento esso ricorrente non aveva perduto la proprietà del fondo ed il decreto di esproprio sopravvenuto nell’anno 2000 doveva considerarsi valido.

Con il secondo motivo, censura la decisione per avere la Corte di appello omesso di considerare che il comune non solo aveva contraddetto l’eccezione formulata (acquisto del fondo per occupazione espropriativa), ma non aveva fornito la prova della sua irreversibile trasformazione, che come è noto ne costituisce un presupposto indefettibile. Entrambi i motivi sono infondati.

La Corte di appello ha accertato attraverso le indagini svolte dal c.t.u., non contestate dal ricorrente nel giudizio di merito, che l’occupazione temporanea del fondo F. iniziata con decreto sindacale 21 giugno 1988, pur considerando la proroga legale introdotta dalla legge 158 del 1991, è inutilmente scaduta il 30 luglio 1995 in cui il comune aveva già realizzato ed ultimato le opere stradali programmate preventivate dalla dichiarazione di p.u.

Ne ha tratto il risultato, che peraltro l’espropriato ha dichiarato di condividere (pag. 5 ric.), che a tale data il fondo è stato acquisito nel demanio dell’ente pubblico per effetto della cd.

occupazione espropriativa: perciò concludendosi in tale momento la procedura ablativa; e rendendo privi di causa e di oggetto eventuali atti successivi ad essa relativi: per tale ragione considerati dalla giurisprudenza tamquam non essent e da disapplicare (a prescindere dalle considerazioni e dalle difese delle parti al riguardo) di ufficio ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 5, All. E. (Cass. 3784/2006; 10787/2003; 6289/2000).

Fra di essi rientra anche il decreto di espropriazione, nel caso conseguito dal comune il 20 dicembre 2000, più di 5 anni dopo l’avvenuto acquisto della proprietà dell’immobile, e peraltro allorchè era già divenuta inefficace la dichiarazione di p.u. che ne costituiva un presupposto indefettibile: perciò correttamente dichiarato privo di alcuna funzione dalla sentenza impugnata, che non poteva, d’altra parte applicare il disposto del T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 (ora sostituito dall’art. 42 bis): per almeno due ordini di ragioni: a) perchè l’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 43 non è ammessa riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima dell’entrata in vigore del D.P.R. cit. (30 giugno 2003), alle quali si applica la disciplina transitoria dell’art. 55 che, sia nella versione originaria, riproduttiva del criterio risarcitorio previsto dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 – bis, comma 7, sia dopo la dichiarazione d’incostituzionalità di tale criterio (sentenza n. 349 del 2007) e la conseguente modifica ad opera della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, assicura alle vecchie occupazioni appropriative "ad esaurimento" il risarcimento commisurato al valore venale del bene, con ciò confermando la vigenza di una disciplina specifica per le vecchie occupazioni illegittime, estranee all’acquisibilità tardiva del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 (Cass. 20543/2008); b) perchè nel caso nessun provvedimento di acquisizione sanante risulta emesso dall’amministrazione comunale;il quale infine attribuirebbe al F. il diritto ad ottenere il risarcimento del danno e non a proporre opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione.

Con il terzo ed il quarto motivo, deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis si duole che la decisione abbia qualificato il suolo non edificatorio per l’apposizione di un vincolo cimiteriale con il regolamento comunale approvato negli anni 1970-1971, senza considerare che detto vincolo, preordinato all’espropriazione era comunque decaduto ai sensi della L. n. 1187 del 1968, art. 2; e che tale disposizione è stata abrogata per effetto dell’art. 58 T.U. sulle espr. con la conseguenza che l’area doveva assimilarsi a quelle cd. bianche prive di disciplina urbanistica, ai sensi della L. 10 del 1977, art. 4. Sicchè l’indennità doveva essere liquidata nella misura stabilita dal c.t.u..

Anche queste censure sono infondate, muovendo tutte dal presupposto erroneo che il vincolo cimiteriale rientri fra quelli preordinati all’espropriazione, perciò aventi una durata massima di 5 anni.

Questa Corte (Cass. 9631/2010; 25364/2006; 11669/2004) e la Corte Costituzionale (sent. n. 133/1971; n. 79/1971; n. 63/1970), invece, da decenni sono fermissime nel ritenere che l’art. 338 r.d. 1265 del 1934 non consente di considerare edificabile un suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale ed assoggettato al relativo vincolo, giacchè lo stesso integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto neppure da parte dello strumento urbanistico: perciò configurando in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici.

E’ stato al riguardo osservato che detta categoria di vincoli, è collegata sotto il profilo soggettivo, al loro carattere generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni che si trovino in una determinata situazione e non per le loro qualità e condizioni e, dal punto di vista oggettivo, al fatto di gravare su immobili individuati "a priori" per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto ad un’opera pubblica;

per cui, ancorchè resi concretamente applicabili in conseguenza della destinazione di interesse pubblico data alla parte sottratta al privato, non gli arrecano in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell’immobile, facendo difetto il nesso di causalità diretto sia con l’ablazione, sia con l’esercizio del pubblico servizio cui l’opera è destinata : per cui correttamente il terreno F. è stato qualificato non edificatorio.

Il Collegio deve, tuttavia, rilevare che la Corte di appello per la stima dell’indennità relativa alla porzione di fondo occupata ha fatto applicazione del criterio riduttivo incentrato sui VAM, introdotto dalla L. n. 865 del 1971, artt. 16 e 20 e confermato dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, nelle more del giudizio venuto meno per effetto della sentenza 181 del 2011 della Corte Costituzionale; la quale ne ha dichiarato l’illegittimità per contrasto con l’art. 42 Cost., comma 3 e art. 117 Cost.. Con conseguente riespansione ed applicazione della regola generale di stima posta dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto altresì che l’applicazione del criterio in questione da parte del giudice di rinvio comporta necessariamente l’estensione anche alla stima dell’indennizzo in questione dei medesimi principi già applicati per quello rivolto a risarcire l’espropriazione illegittima degli stessi fondi non edificatori; quali impongono di tener conto delle obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio: perciò consentendo pure al proprietario interessato da un’espropriazione rituale, di dimostrare sempre all’interno della categoria suoli/inedificabili, anche attraverso rigorose indagini tecniche e specializzate, che il valore agricolo sia mutato e/o aumentato in conseguenza di una diversa destinazione del bene egualmente compatibile con la sua ormai accertata non edificatorietà. E, quindi, che il fondo, suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, pur senza raggiungere i livelli dell’edificatorietà, abbia un’effettiva e documentata valutazione di mercato che rispecchia queste possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti ecc): semprecchè assentite dalla normativa vigente sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative. Ovvero, in alternativa che il valore agricolo del fondo, con le colture ed i manufatti ivi esistenti era superiore a quello determinato dalla sentenza impugnata attraverso l’incostituzionale meccanismo dei VAM di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16 (cfr. art. 40, comma 1, del T.U.). Cassata, pertanto la sentenza impugnata che non ha compiuto i suddetti accertamenti, il giudizio va rinviato alla stessa Corte di appello di Bari, che in diversa composizione si adeguerà ai principi avanti enunciati e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo, assorbito l’ultimo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012

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