Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-08-2012, n. 13919

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Svolgimento del processo

1.- All’esito delle consultazioni elettorali del 28 e 29 marzo 2010 per il rinnovo del consiglio regionale del Veneto, nella circoscrizione di Rovigo, risultò eletta C.M.L. ( I.), poi nominata assessore al bilancio. Nella dichiarazione di spesa presentata, ai sensi della L. 10 dicembre 1993, n. 515, art. 7, comma 6, in tema di disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica (richiamato dalla L. 23 febbraio 1995, n. 43, art. 5, sull’elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario) e della L. 5 luglio 1982, n. 441, art. 2, comma 1, n. 3, la C. dichiarò di avere sostenuto una spesa di Euro 39.579,27 (comprensiva di Iva), cifra di poco inferiore al tetto massimo consentito, individuato per quella circoscrizione in Euro 40.282,33.

2.- R.L., ritenendo tale dichiarazione carente sia per le voci di spesa sia per gli importi, al fine di fare applicare le sanzioni previste dalla legge, compresa la decadenza della candidata eletta dalla carica, presentò con esito negativo al Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello di Venezia istanze di verifica della dichiarazione della C.. Presentò poi, in qualità di cittadino elettore, un ricorso al Tribunale di Venezia, nel quale espose che nella spesa rendicontata dalla C. non erano state calcolate molte attività e iniziative propagandistiche il cui costo, taciuto, poteva stimarsi nel ben superiore importo di circa Euro 255.080,00; quindi chiese di fare accertare la violazione della L. n. 43 del 1995, art. 5, comma 1, per sforamento del tetto di spesa previsto, e della L. n. 43 del 1995, art. 7, comma 6, per omessa rendicontazione delle spese sostenute, con conseguente accertamento della ineleggibilità e decadenza della C., ai sensi degli artt. 15, commi 6 e 9, della medesima legge, previa disapplicazione della deliberazione del Consiglio regionale del Veneto che aveva convalidato l’elezione e del provvedimento del Collegio regionale di garanzia elettorale che aveva approvato la dichiarazione di spese. Il tribunale rigettò la domanda per mancanza di prova delle spese elettorali segnalate dal ricorrente, cioè dei fatti posti a fondamento della domanda.

3.- La Corte di appello di Venezia, con sentenza 19 gennaio 2012, accolse parzialmente l’appello del R. e, qualificando come irregolarità nelle dichiarazioni di spesa elettorale, ai sensi della L. n. 515 del 1993, art. 15, comma 11, la omessa rendicontazione di un contributo di Euro 985,00 ricevuto da un soggetto diverso da persona fisica (l’Associazione Amici della Fondazione Giuseppe Tatarella, di cui era presidente l’avv. Masaloma, mandataria elettorale della C.), relativo alla concessione in uso dei locali del Teatro comunale Ballarin di Lendinara, condannò la C. alla sanzione amministrativa di Euro 7.000,00. La Corte rigettò le altre domande, ritenendo infondata la censura relativa al superamento del limite di spesa, di cui alla L. n. 515 del 1993, art. 15, comma 9, per un ammontare pari o superiore al doppio, con conseguente rigetto della richiesta declaratoria di decadenza, non avendo il R. dimostrato che le iniziative elettorali realizzate dalla C. avessero comportato un esborso economico da parte della stessa nè che i contributi o servizi provenienti da terzi fossero stati erogati da persone fisiche o da soggetti diversi.

4.- Avverso questa sentenza il R. propone ricorso per cassazione, ai sensi della L. n. 570 del 1960, art. 82 ter, affidato a tre motivi illustrati da memoria.

La C. resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

1.- Il primo e il terzo motivo sono connessi e devono essere esaminati congiuntamente.

Nel primo il ricorrente imputa alla sentenza impugnata di avere violato la L. n. 515 del 1993, art. 7, comma 6, e l’art. 2697 c.c., in tema di distribuzione dell’onere della prova, nonchè contraddittorietà della motivazione, avendo posto erroneamente a carico del R. un onere probatorio, non previsto dalla legge, avente ad oggetto fatti irrilevanti o comunque non suscettibili di prova piena da parte del ricorrente, cioè che l’esborso economico fosse stato sopportato dalla stessa candidata o da terzi e circa la provenienza dei contributi e servizi ricevuti per la campagna elettorale. Il ricorrente deduce di avere descritto analiticamente le iniziative non dichiarate dalla C., tutte riferibili alla sua campagna elettorale, di averne stimato il valore e fornito un principio di prova in ordine al fatto che i contributi, cumulativamente considerati, superavano la soglia dei Euro 20.000,00, con conseguente obbligo di rendiconto, a prescindere dalla provenienza da persone fisiche o giuridiche. Il profilo di dedotta contraddittorietà della motivazione consiste nell’avere la corte di merito ammesso che la C. aveva dato impulso e partecipato ad alcune delle iniziative indicate dal R..

Il terzo motivo concerne la dedotta violazione dell’art. 61 c.p.c. e del principio dell’onere della prova, per mancata ammissione della richiesta consulenza tecnica d’ufficio ai fini della determinazione degli importi concernenti le spese, i contributi e servizi non rendicontati, pur se relativi ad attività analiticamente indicate e in presenza di un principio di prova fornito dal ricorrente.

1.1.- Entrambi i motivi sono fondati.

La L. n. 515 del 1993, art. 7, comma 6, dispone che l’eletto è tenuto ad allegare alla dichiarazione da presentare agli organi competenti "un rendiconto relativo ai contributi e servizi ricevuti ed alle spese sostenute. Vanno analiticamente riportati, attraverso l’indicazione nominativa, anche mediante attestazione del solo candidato, i contributi e servizi provenienti dalle persone fisiche, se di importo o valore superiore ai 10 milioni di lire Euro 20.000,00 ex D.L. 3 gennaio 2006, n. 1, conv. con mod. nella L. 27 gennaio 2006, n. 22, e tutti i contributi e servizi di qualsiasi importo o valore provenienti da soggetti diversi". La norma, avente lo scopo di assicurare trasparenza sulle fonti di finanziamento dei candidati nelle campagne elettorali, pone sullo stesso piano e, agli effetti dell’obbligo di rendiconto, non distingue tra le spese e i contributi o servizi nè limita quell’obbligo alle spese direttamente sostenute dal candidato eletto, il quale è tenuto a rendicontare anche i contributi e servizi provenienti da terzi, purchè destinati e comunque oggettivamente utilizzati per la campagna elettorale, con eccezione per i soli contributi e servizi provenienti da persone fisiche e di importo o valore complessivamente non superiore a Euro 20.000,00 che non devono essere rendicontati. Questo principio non è stato seguito dalla sentenza impugnata, la quale ha posto a carico del ricorrente R. l’onere sia di provare che le iniziative elettorali furono realizzate mediante spese sostenute direttamente dalla C. sia di individuare concretamente le persone fisiche o giuridiche erogatrici dei contributi o servizi, posto che, nel ragionamento della corte di merito, solo in tal modo sarebbe possibile stabilire se si tratti di spese rilevanti agli effetti della norma (perchè sostenute dal candidato) e di contributi e servizi da rendicontare (in quanto provenienti da persone giuridiche o enti non personificati) o da non rendicontare (in quanto provenienti da persone fisiche e di valore non superiore al limite sopra indicato). Il giudice di merito ha male applicato i principi regolatori dell’onere della prova ed incongruamente svalutato la potenziale rilevanza delle allegazioni e della produzione documentale, cui la Cassazione ha accesso con poteri di diretta cognizione e analisi dei fatti di causa, indipendentemente dalla valutazione operatane dal giudice di appello, essendo, in materia elettorale, giudice anche di merito (v., tra le tante, Cass. n. 22346/2006, n. 14199/2004). Il ricorrente aveva infatti analiticamente indicato le attività e le iniziative riferibili alla campagna elettorale della C., con i relativi costi presumibili, per importi ben superiori a quelli dichiarati. Egli, del resto, non poteva avere la disponibilità di tutta la documentazione a sostegno dei fatti denunciati, dei quali aveva però offerto un principio di prova, da un lato, sufficiente a far scattare l’onere probatorio contrario in capo alla C. – la quale avrebbe dovuto dimostrare (anche per il principio di "vicinanza della prova": v., tra le altre, Cass. n. 12686/2011, n. 10060/2010) la sua assoluta estraneità a quelle iniziative oppure di averne usufruito, sostenendo spese o ricevendo da terzi contributi o servizi regolarmente dichiarati nel rendiconto o da non rendicontare (perchè provenienti da persone fisiche e di valore non superiore a Euro 20.000,00) – e, dall’altro lato, idoneo a indurre il giudice ad avvalersi, se del caso, dell’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio cui affidare un’indagine, non esplorativa, anche sulla congruità dei costi indicati dal denunciante. La sentenza impugnata si espone, inoltre, alla denunciata contraddittorietà della motivazione per avere ammesso che la C. aveva dato impulso e partecipato ad alcune delle numerose iniziative indicate dal R. (tra le quali la partecipazione all’inaugurazione dei cosiddetti ISIPOINT e ad eventi conviviali di natura propagandistica), trascurando poi del tutto di tenerne conto nella determinazione delle sanzioni previste dalla legge la cui applicazione costituiva oggetto del giudizio.

2.- Restano assorbiti sia il secondo motivo del ricorso principale, deducente contraddittorietà della motivazione e violazione della L. n. 515 del 1993, art. 11, comma 2 e art. 15, comma 11, per avere la corte di merito omesso di considerare, ai fini della quantificazione della sanzione, che tra le spese non dichiarate vi erano anche spese (di viaggio, soggiorno, telefoniche, postali, ecc.) da calcolare in misura forfettaria nella percentuale fissa del 30% delle spese ammissibili e documentate; sia il ricorso incidentale della C., deducente vizio di motivazione e violazione di legge con riguardo all’addebito di omessa rendicontazione del contributo di Euro 985,00.

3.- La sentenza impugnata va quindi cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, che dovrà adeguarsi alle indicazioni sopra esposte, anche mediante gli opportuni accertamenti istruttori, e liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo motivo e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012

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