Cass. civ. Sez. I, Sent., 02-08-2012, n. 13909

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza 13 settembre 2001 del Tribunale, ha condannato la C. D. e P., subentrata nella titolarità delle opere già di competenza dell’XXX, a rimborsare al XX che aveva curato l’intervento di completamento del porto di Gioia Tauro (L. n. 64 del 1986, art. 4), affidando i lavori in appalto all’ATI s.p.a. Lodigiani, gli interessi moratori che nel procedimento arbitrale intercorso tra quest’ultima e la stazione appaltante, il lodo aveva riconosciuto all’impresa sulla revisione prezzi (per L.1.342.900.000), su lavori (L.178.171.818) e spese di guardiania (L.115.591.681). Ha invece respinto la richiesta del Consorzio di rimborso della ulteriore somma di L.6.946.169.563 riconosciuta all’ATI a titolo di risarcimento del danno per le illegittime sospensioni dei lavori onde redigere ed approvare tre perizie di variante perchè l’art. 6 della Convenzione 10 settembre 1997 tra Agenzia per il XXX e Consorzio non solo non riconosceva il pagamento di queste poste, ma le poneva espressamente a carico del concessionario.
Per la cassazione della sentenza, il Consorzio ha proposto ricorso per 3 motivi; cui resiste la C. D. e P. con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso, il Consorzio, deducendo illogicità, nonchè difformità tra motivazione e dispositivo, censura la sentenza impugnata per aver liquidato le somme relative agli accessori ritenendole esaustive senza considerare che il lodo aveva liquidato all’appaltatore la maggior somma di L.2.001.530.327, per cui aveva errato il Tribunale a non riconoscere gli accessori sull’intera somma suddetta;che non potevano dunque essere omessi anche gli interessi relativi alle somme di cui al quesito 4 bis riconosciute dagli arbitri; e che, se era stata riconosciuta la somma capitale, non poteva poi non essere aggiunta anche quella riguardante gli accessori.
Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
E’ noto che sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 156 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4, nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mercè valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo (Cass. 14966/2007; 10637/2007; 17392/2004).
Nel caso, il contrasto peraltro apoditticamente affermato non è in radice configurabile, per avere la sentenza impugnata riprodotto nel dispositivo non soltanto la medesima condanna della C. D. e P. al rimborso degli interessi irroratori di cui al primo motivo di appello del Consorzio, ma anche le medesime tre poste esaminate nella motivazione con le specifiche entità ivi indicate, e cioè revisione prezzi per Euro 693.549,97, lavori per Euro 92.018,06 e spese di guardiania per Euro 59.698,12. La circostanza poi che il lodo arbitrale, in accoglimento del quesito 4 bis (o di altri quesiti) avesse condannato l’appaltante Consorzio a corrispondere all’ATI somme maggiori per altre o per le stesse voci, pari a L.2.951.181, ove in relazione ad esse era stata formulata specifica domanda, importava la necessità di censurare la sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla richiesta, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., e non per contrasto tra dispositivo e motivazione;mentre ove trattavasi di una erronea interpretazione da parte dei giudici di merito delle somme concesse dal lodo, occorreva non già impugnare gli errori al riguardo commessi dal Tribunale (pag.8-9 del ric.), che non potevano essere censurati con il ricorso per cassazione, istituzionalmente rivolto contro le violazioni delle sentenze di appello; ma dedurre che contro gli errori suddetti era stato formulato uno specifico motivo di gravame e che su di esso la sentenza impugnata non aveva provveduto, ovvero aveva erroneamente provveduto (specificando le relative violazioni); sicchè sotto tutti questi profili il motivo appare inammissibile.
Con il secondo motivo, il Consorzio, deducendo violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. si duole che anche i giudici di appello abbiano escluso il rimborso della maggior somma di L.6.945.169.563 dovuta corrispondere all’impresa a titolo di danni per le illegittime sospensioni dei lavori onde introdurre tre perizie di variante, in base ad una interpretazione meramente letterale e non anche logica della Convenzione;la quale doveva indurre la sentenza a considerare che le parti avevano fissato un tetto massimo per il finanziamento e che, trattandosi di un contratto di finanziamento di scopo, avevano previsto come rimborsabili le spese comunque necessarie per la realizzazione dell’opera. Il che trovava conferma nell’art. 7 della Convenzione che autorizzava il Consorzio a disporre qualsiasi variazione necessaria alla buona riuscita dei lavori con il solo limite di non poter eccedere l’importo massimo del finanziamento. Per cui, siccome deve ritenersi pacifico che tutte le perizie di variante comportano una sospensione dei lavori con conseguenti risarcimenti a favore dell’appaltatore e, poichè nella specie il lodo aveva dato atto della sussistenza di tre perizie ed aveva determinato il periodo complessivo di sospensione, nonchè quello eccedente la durata contrattualmente prevista, era conseguente che anche gli oneri suddetti dovessero in base alla Convenzione essere rimborsati al concessionario.
Anche questo motivo è inconsistente.
La Corte di appello non ha dubitato affatto della facoltà del Consorzio (peraltro riconosciutale dal legislatore fin dal R.D. n. 350 del 1895) di apportare all’opera pubblica affidatagli le varianti ritenute necessarie o più idonee a consentirne la realizzazione a regola d’arte; nè tanto meno del diritto del concessionario a conseguire l’integrale rimborso dei costi sopportati per eseguirle nei limiti dell’importo complessivo del finanziamento: evidenziati sia dall’art. 6 che dal successivo art. 7 della Convenzione.
Ciò che invece al Consorzio è stato disconosciuto è il rimborso delle somme che l’Ente era stato condannato a corrispondere all’impresa per l’illegittimo protrarsi delle sospensioni dei lavori, accertato dal lodo arbitrale, in misura superiore a due anni, per due ragioni, concomitanti e perciò insuperabili: a)perchè gli importi dovuti all’appaltatore a titolo di risarcimento del danno non rientravano fra quelli che l’art. 6, 2 comma della Convenzione ammetteva a finanziamento; b) perchè la seconda parte della disposizione li poneva espressamente a carico del concessionario.
Non si è trattato dunque di una interpretazione rivolta ad attribuire carattere prioritario al senso letterale delle parole in contrasto con altri elementi concordi circa un diverso contenuto e scopo dell’accordo (Cass. 8745/2011; 9243/2010), – ma, al contrario, della lettura unitaria e coordinata di una serie di espressioni poste in due parti distinte della medesima normativa che, come evidenziato dalla sentenza, rendevano palese la comune intenzione delle parti menzionata dall’art. 1362 cod. civ. di considerare rimborsabili ogni genere di costi di lavori, spese, forniture, espropriazioni ed ogni altra spesa dovuti affrontare dal concessionario;ma non certamente i danni ed altri esborsi dovuti risarcire all’appaltatore o a terzi per propri comportamenti colposi ed illegittimi. Proprio fra di essi rientravano le sospensioni disposte dal Consorzio che, contrariamente al suo assunto, non erano comprese affatto in alcuna delle categorie previste dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, e perciò da tale normativa regolate, ma protraendosi oltre i limiti stabiliti dalla norma, e perciò pur quando erano venute meno le ragioni di pubblico interesse o necessità giustificative della sospensione medesima, e/o scaduti i termini finali entro i quali potevano essere autorizzate, sono state dichiarate illegittime dal collegio arbitrale (Cass. 14574/2010; 18224/2002; 1217/2000); che li ha addebitate a fatto e colpa del consorzio, dichiarandone la responsabilità e condannandolo al risarcimento del danno per l’inadempimento colpevole agli obblighi assunti con il contratto di appalto.
Pertanto, a nulla rileva che le sospensioni siano state causate dalla introduzione di varianti al progetto originario dell’intervenuto, consentite dallo stesso legislatore e dall’art. 7 della Convenzione:
essendo decisivo che le stesse abbiano dato luogo ad una sospensione dell’esecuzione dell’appalto per cause non previste dal menzionato art. 30 D.P.R. e/o e/o per una durata massima eccedente quella stabilita dalla norma suddetta;e che, per tale ragione, abbiano costituito oggetto di riserva da parte dell’impresa e, poi, di condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno: perciò rientrante fra le cause di esclusione del rimborso espressamente indicate dall’art. 6 della Convenzione perchè rientrante sia nell’ambito di "oneri per riserve e comunque controversie di qualsiasi natura che dovessero insorgere tra l’affidataria e le imprese o i fornitori (sub 1); sia in quello di "ogni e qualsiasi maggiore onere economico e/o richiesta risarcitoria che possa essere vittoriosamente avanzato a qualunque titolo nei suoi confronti" (sub 5).
Infondato è, infine, anche l’ultimo motivo con cui il Consorzio, deducendo violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. si duole dell’immotivata compensazione delle spese giudiziali (per un terzo, quelle di primo grado, ed interamente le spese di appello): avendo la Corte di appello considerato sostanzialmente soccombente proprio l’ente ricorrente, posto che le richieste di rimborso erano state respinte tutte;ad eccezione di quella inerente agli interessi dovuti su alcune poste, tuttavia parzialmente versate soltanto nel corso del giudizio di primo grado. Pertanto poichè la richiesta di rimborso degli interessi è stata accolta soltanto con il giudizio di appello, nel quale tuttavia è stata nuovamente respinta la domanda di rimborso delle somme assai più elevate relative al risarcimento del danno conseguente alle illegittime sospensioni, la Corte si è correttamente avvalsa del potere discrezionale di compensare interamente dette spese per intero nel giudizio di appello, e soltanto per un terzo (data che la domanda era stata accolta soltanto per un importo minimo) quelle del procedimento di primo grado. Per le medesime ragioni, quelle di legittimità vanno gravate a carico del soccombente Consorzio e liquidate in favore della controparte come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il Consorzio al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore della Cassa in complessivi Euro 20.200,00 di cui Euro 20.000 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 11 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *