Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-01-2013) 06-06-2013, n. 24797

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 20 aprile 2010, il Tribunale per i minorenni di Catania ha condannato l’imputato, per il reato di cui all’art. 337 e 582 e 585 cod. pen., perchè, per opporsi all’intervento di un agente di polizia giudiziaria lo aggrediva con spintoni e calci causandone la caduta, con conseguenti lesioni.

Con sentenza del 21 aprile 2010, il Tribunale per i minorenni di Catania ha condannato l’imputato, all’esito di giudizio abbreviato, per il reato di cui all’art. 81 cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1-bis, perchè, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, deteneva illecitamente 175 g di marijuana suddivisa in 75 dosi, oltre alla somma di Euro 3884,00 in banconote di piccolo taglio, e cedeva a terzi non individuati alcune dosi della stessa sostanza stupefacente.

2. – Con la sentenza del 13 aprile 2012, la Corte d’appello di Catania – sezione per i minorenni si è pronunciata, previa riunione, su entrambi gli appelli proposti dall’imputato avverso le sentenza del Tribunale ed ha, in parziale riforma delle stesse: quanto alla condanna del 20 aprile 2010, riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e della minore età prevalenti sull’aggravante contestata, conseguentemente rideterminando la pena in diminuzione; quanto alla condanna del 21 aprile 2010, rideterminato la pena in diminuzione.

3. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione chiedendone l’annullamento.

3.1. – Con un primo motivo di impugnazione, si rileva la violazione dell’art. 420-ter cod. proc. pen., perchè all’udienza del 13 aprile 2012 il difensore aveva rappresentato il legittimo impedimento a comparire dell’imputato, detenuto agli arresti domiciliari per altra causa, a seguito dell’ordinanza emessa dal Tribunale della libertà che aveva sostituito la misura della custodia cautelare in carcere.

La Corte d’appello, non considerando l’ordine di traduzione emesso dalla stessa Corte alla precedente udienza del 17 giugno 2012, aveva ritenuto di non accogliere l’istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato, sostenendo che non vi fosse la prova che l’imputato avesse chiesto al giudice procedente di potersi allontanare dal domicilio per presenziare all’udienza.

3.2. – Si denunciano, in secondo luogo, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla continuazione, perchè il giudice avrebbe escluso la sussistenza di un’identità di disegno criminoso fra i fatti di cui ai due processi riuniti, nonostante gli stessi fossero stati riuniti per connessione ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. b), ricorrendo l’ipotesi di più reati commessi con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso. Vi sarebbe, dunque, contrasto fra la sentenza e la determinazione precedentemente assunta dalla stessa Corte d’appello in ordine alla riunione dei procedimenti.

3.3. – Si rilevano, in terzo luogo, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, perchè la Corte d’appello, quanto ai reati di resistenza e lesioni, non avrebbe operato la riduzione massima per la diminuente della minore età.

Motivi della decisione

4. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

4.1. – Il primo motivo di gravame – con cui ci si duole del fatto che la Corte d’appello non avrebbe ritenuto giustificato impedimento dell’imputato a comparire all’udienza del 13 aprile 2012, mentre questo si trovava agli arresti domiciliari – è infondato.

La difesa lamenta, in particolare, che, all’udienza del 17 giugno 2011, la Corte d’appello, preso atto del fatto che l’imputato non comparso si trovava detenuto in stato di custodia cautelare, aveva rinviato la trattazione del procedimento e aveva disposto la traduzione dell’imputato stesso, se ancora detenuto; nonostante ciò, l’imputato non era stato tradotto all’udienza del 13 aprile 2012.

Deve rilevarsi che l’ordine di traduzione inizialmente impartito è stato ritenuto dalla Corte d’appello superato dalla circostanza che l’imputato era passato dalla custodia cautelare agli arresti domiciliari. L’ordine in questione era, infatti, condizionato alla permanenza dello stato di custodia cautelare in carcere al momento della disposta traduzione, con la conseguenza che, a seguito del passaggio agli arresti domiciliari, l’imputato avrebbe dovuto attivarsi per ottenere dal giudice competente l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio; cosa che nel caso specie non era avvenuta, dovendosi, perciò, escludere la sussistenza di un legittimo impedimento a comparire.

Così provvedendo la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio, costantemente affermato che la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’imputato sottoposto ad arresti domiciliari per altra causa, qualora intenda comparire in udienza, ha l’onere di chiedere tempestivamente al giudice competente l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per il tempo necessario, non essendo, in tal caso, configurabile un obbligo dell’autorità giudiziaria procedente di disporne la traduzione (sez. 6, 14 dicembre 2011, n. 841, Rv. 251572; sez. 2, 24 aprile 2008, n. 21529, Rv. 240107; sez. 5, 14 novembre 2007, n. 44922, Rv. 238505).

4.2. – Il secondo motivo di impugnazione, relativo alla pretesa contraddizione fra il fatto che la Corte d’appello aveva riunito i procedimenti d’appello nei confronti delle due diverse sentenze ritenendo i reati espressione di uno stesso disegno medesimo criminoso e il fatto che la continuazione non era stata poi riconosciuta in sentenza, è infondato, per l’erroneità del presupposto di diritto da cui muove il ricorrente.

L’art. 17 cod. proc. pen. deve, infatti, essere interpretato nel senso che il riconoscimento da parte del giudice della sussistenza dei presupposti per la riunione di processi pendenti di fronte a lui nello stesso stato e grado non pregiudica in alcun modo una possibile diversa valutazione in sede di decisione. La riunione è, infatti, disposta allo stato degli atti e, di regola, in un momento iniziale del giudizio (o del grado di giudizio) ed ha proprio lo scopo di consentire che più reati possano essere oggetto di un unico giudizio. Ne consegue che, laddove ai fini della riunione il giudice abbia inizialmente ritenuto la connessione tra procedimenti per identità del disegno criminoso, lo stesso giudice ben può, all’esito del giudizio – il cui oggetto è proprio l’accertamento dei reati in ogni loro elemento essenziale, ivi compresa l’eventuale identità del disegno criminoso – ritenere insussistente tale identità, come avvenuto nel caso di specie, in cui la Corte ha evidenziato che si era trattato di episodi eterogenei, avvenuti a distanza di tempo gli uni dagli altri.

4.3. – Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, relativo al trattamento sanzionatorio per i reati di resistenza e lesioni. La motivazione della sentenza impugnata risulta, infatti, sul punto pienamente sufficiente, perchè determina la pena base, la diminuzione per la minore età e l’aumento per la continuazione evidenziando l’adeguatezza del trattamento sanzionatorio alla modesta gravita del reato di resistenza, che non ha assunto il carattere della violenza finalizzata a porre in pericolo l’integrità fisica del pubblico ufficiale.

5. – Ne consegue il rigetto del ricorso, senza condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali, trattandosi di soggetto minorenne all’epoca dei fatti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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