Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-01-2013) 05-06-2013, n. 24518

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 14 maggio 2012, il Tribunale di Roma ha rigettato l’appello del prevenuto avverso l’ordinanza del GUP del Tribunale di Velletri del 25 luglio 2012, con la quale era stata rigettata l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 80, comma 2, per l’illecita detenzione di un’ingente quantitativo di hashish, pari a 295 kg. Il tribunale, rilevato che l’istanza era sostanzialmente incentrata sulle precarie condizioni di salute del prevenuto, ha affermato che la casa di accoglienza indicata dallo stesso quale luogo per gli arresti domiciliari non può ritenersi idonea, in mancanza di elementi che consentono di valutare il programma di recupero a cui l’imputato, tossicodipendente, dovrà sottoporsi.

2. – Avverso l’ordinanza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, un unico motivo di ricorso per cassazione, rilevando la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nonchè l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento al fatto che il Tribunale avrebbe negato nel caso di specie l’applicabilità del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89, comma 2, sul solo rilievo che l’applicazione di tale norma sarebbe esclusa quando si procede per i reati di previsti della L. n. 354 del 1975, art. 4 bis, fra le quali è compreso anche quello per cui si procede, senza motivare ulteriormente sulle ragioni per cui non poteva concedersi la sostituzione della misura. Nè vi sarebbe, nell’ordinanza, un’adeguata motivazione circa la inadeguatezza della struttura indicata dal prevenuto quale luogo in cui scontare la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari. Dalla perizia in atti risulterebbe, poi, che, pur non essendoci una piena incompatibilità con la detenzione, sarebbe opportuno, ai fini del miglioramento della malattia psichiatrica, ricorrere a un regime alternativo al carcere.

Motivi della decisione

3. – Il motivo di ricorso è inammissibile, perchè formulato in modo non sufficientemente specifico e, comunque, diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito dell’ordinanza impugnata;

rivalutazione preclusa in sede di legittimità. Proprio con riferimento all’applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89, comma 2, questa Corte ha, infatti, affermato che costituisce giudizio di fatto, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato, la valutazione che determina il rigetto dell’istanza dell’imputato tossicodipendente di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari presso una struttura dove svolgere un programma di recupero di (sez. 6^, 20 aprile 2011, n. 17314).

La motivazione del provvedimento impugnato risulta, in ogni caso, ampiamente sufficiente e logicamente coerente con riferimento a tutti i profili di doglianza prospettati nel ricorso, laddove evidenzia che:

a) vi era già stato un precedente provvedimento, del 6 agosto 2012, di rigetto dell’appello contro altra ordinanza reiettiva di una delle tante istanze finalizzate a far ottenere al prevenuto gli arresti domiciliari per incompatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario; b) rispetto a tale situazione, nessun elemento nuovo era stato fornito dalla difesa, cosicchè doveva essere confermata la conclusione della perizia d’ufficio, secondo cui le condizioni di salute dell’imputato non sono incompatibili con la detenzione in carcere;

c) circa la casa di accoglienza indicata quale luogo per scontare la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari, non vi sono elementi dai quali possa essere desunta l’idoneità della stessa;

d) più in particolare, quanto ai presupposti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89, comma 2, dagli atti non emerge alcun elemento che consenta di valutare l’idoneità del programma di recupero a cui l’imputato intende sottoporsi.

4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende.

La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94 norme att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2013

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