Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-08-2012, n. 13890

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Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 22.2.07 la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede, previa declaratoria di nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato ai sensi dell’art. 8 CCNL del 1994 dal 25.7.98 al 30.9.98 fra P. I. S.p.A. e A.F., dichiarava l’esistenza fra le parti d’un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con le relative conseguenze economiche a decorrere dalla data della messa in mora (8.11.02).
Statuiva la Corte territoriale che il contratto a termine era stato stipulato dopo la cessazione dell’efficacia temporale della fattispecie autorizzatoria di cui al cit. art. 8, di cui escludeva l’ultrattività.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre P. I. S.p.A. affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso la A..
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1- Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, degli artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c. per avere negato l’impugnata sentenza che la prolungata inerzia della lavoratrice (quattro anni) prima di attivarsi in sede giudiziaria per mantenere in vita il vincolo contrattuale e la breve durata del rapporto ne dimostrassero la risoluzione per mutuo consenso.
La stessa doglianza è in sostanza dedotta, sotto forma di vizio di motivazione, con il secondo motivo di ricorso.
Con il terzo motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine alla negata ultrattività del CCNL del 1994 in forza del quale era stato stipulato il contratto a termine fra le parti, sostenendo che la sentenza impugnata ha errato nel non considerare che, pur in assenza di una clausola espressa di ultrattività del contratto collettivo, la sua incontestata applicazione per la regolamentazione del rapporto oggetto di causa comporta necessariamente che al CCNL del 1994 debba farsi riferimento nel suo complessivo ed inscindibile apparato normativo sino all’entrata in vigore della nuova disciplina contrattuale, di fatto intervenuta l’11.01.2001; prosegue la ricorrente con il contestare quanto affermato dalla Corte territoriale secondo cui il CCNL del 26.11.1994 avrebbe efficacia temporale limitata al 31.12.1997, con conseguente nullità parziale del contratto in questione stipulato in virtù di una clausola collettiva ormai scaduta.
Con il quarto motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, del CCNL del 26.1.1994 art. 8 degli accordi sindacali del 25.09.1997 e 27.04.1998, in connessione con l’art. 1362 c.c. e segg.: a riguardo sostiene che l’impugnata sentenza è erronea per non avere considerato che il potere dei contraenti collettivi di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, stabilito dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 può esser esercitato senza limiti di tempo, tenuto conto che tale legge non prevede alcun limite temporale al riguardo; prosegue la ricorrente con il dire che il giudice di appello non avrebbe considerato che gli accordi successivi a quello del 25.09.1997 avevano valenza ricognitiva della condizione legittimante in fatto il contratto a termine (ossia la ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto), senza circoscrivere il ricorso a tale strumento solo al periodo temporale considerato, ossia fino al 30.4.1998. Deduce altresì vizio di motivazione circa un fatto decisivo. per non avere esposto il giudice di appello il percorso argomentativo seguito per affermare il limite temporale del 30.04.1998, come termine finale dell’accordo integrativo del 25.09.1997, laddove i successivi accordi non avevano efficacia integrativa, ma soltanto ricognitiva.
Tale ultima doglianza viene fatta valere anche sotto forma di vizio di motivazione (contrassegnato dal numero 3 a pag. 14 del ricorso).
Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso ci si duole di violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c. perchè la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.
2- Il terzo e il quarto motivo – da esaminarsi congiuntamente (perchè connessi) e in via logicamente preliminare rispetto agii altri – sono fondati solo nei sensi appresso chiariti.
Questa S.C. ha già più volte statuito che la L. n. 56 del 1987, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. n. 230 del 1962, art. 1 e dal D.L. n. 17 del 1983, art. 8 bis (convertito in L. n. 79 del 1983) – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali pertanto non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (cfr. S.U. 2.3.2006 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.1997, la giurisprudenza considera corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.12.1997 (e poi, in base al secondo accordo attuativo, fino la 30.4.98), delle situazioni di fatto legittimanti le esigenze eccezionali menzionate dal detto contratto integrativo. Consegue che, avendo le parti collettive raggiunto originariamente una intesa priva di termine ed avendo successivamente stipulato accordi attuativi con fissazione di un limite temporale alla possibilità di procedere ad assunzioni a temine, fissato inizialmente al 30.1.98 e poi al 30.4.98, l’indicazione di tale causale legittima l’assunzione solo ove il contratto sia stato stipulato in data non successiva al 30.4.98 (cfr., e plurimis, Cass. 7.9.2007 n. 18838; Cass. 25.10.07 n. 22352).
La giurisprudenza di questa S.C. ha anche ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, quando il diritto si era ormai perfezionato. I contratti aventi scadenza (o comunque stipulati) al di fuori del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi, perchè non rientrano nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 e dalle successive disposizioni collettive che consentono la deroga alla L. n. 230 del 1962.
Quanto all’ipotizzata ultrattività del CCNL del 26.11.94, essa è stata già negata dalla giurisprudenza di questa S.C. alla stregua dei criteri letterale e sistematico di interpretazione: tuttavia la medesima giurisprudenza (cfr. Cass. 25.5.12 n. 8288) ha altresì chiarito che ciò non esclude che le stesse parti collettive abbiano, eventualmente, anche solo per facta concludentia, proseguito nell’applicazione del contratto collettivo pur dopo la scadenza fissata, di guisa che possono assumere rilevanza il comportamento successivo delle parti medesime e gli accordi poi intercorsi, alla luce di un accertamento di merito cui dovrà provvedere il giudice del rinvio.
3- L’accoglimento, nei termini sopra chiariti, del terzo e del quarto motivo di ricorso assorbe l’esame delle restanti doglianze.
4- In conclusione, la Corte accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti e cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti e cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012

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