Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 31-01-2013) 23-05-2013, n. 22143

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con decreto dell’11 marzo 2010 il Tribunale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, applicava a D.L. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni due e mesi sei,con obbligo di versare alla cassa delle ammende una cauzione determinata in Euro 1.000,00. Con lo stesso decreto -facendo seguito al proprio decreto di sequestro dell’8/10/2008 – il Tribunale ordinava la confisca di una serie di beni ritenuti nella sostanziale disponibilità del proposto D.L., ancorchè in parte intestati alla moglie V.R. e a L.B.M., oltre che a D’.Fr. e M.I., non ricorrenti.

1.1 Per quanto attiene alla misura personale il giudice di primo grado formulava la prognosi di pericolosità sociale nei confronti del D., qualificata dalla partecipazione interna del medesimo al sodalizio mafioso denominato "Cosa Nostra", traendo elementi a comprova dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Palermo in data 10/1/2008 nei confronti di D. in relazione a vari delitti di trasferimento fraudolento di valori p. e p. L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, in particolare per avere attribuito fittiziamente alla moglie V.R. la titolarità del fabbricato di via (OMISSIS) e l’attività di distribuzione di carburanti ivi esercitata, a D’.Fr. e a M. I. la titolarità del patrimonio, la rappresentanza legale e gli utili della T. service s.r.l., di fatto di proprietà e amministrata dallo stesso D., nonchè la titolarità di conti correnti intrattenuti presso diversi istituti bancari e altre utilità intestate dal D. ad altri soggetti, tra i quali la moglie V.R. e L.B.M..

1.2 Secondo quanto rilevato dal Tribunale l’ordinanza cautelare in questione aveva evidenziato elementi significativi della persistente appartenenza del D. a Cosa Nostra (appartenenza già accertata in sede penale con sentenza della Corte di Appello di Palermo del 3 luglio 1997, irrevocabile il 16/10/1997 che aveva condannato il D. per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4 nonchè per reati di falsità materiale e ricettazione aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7), ricavabili in particolare dalle convergenti dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, quali S. P., G.S. e A.E.; dai legami in essere tra il proposto e soggetti pregiudicati gravitanti nel contesto mafioso; dal ruolo svolto dal proposto all’interno del quartiere Brancaccio per la definizione dei prezzi al dettaglio del carburante. Tali elementi erano stati ritenuti dal Tribunale dimostrativi della risalente pericolosità sociale del proposto, qualificata L. n. 575 del 1965, ex art. 1 dalla partecipazione interna al sodalizio mafioso Cosa Nostra ed attualizzati anche dal procedimento posto a fondamento della misura di prevenzione personale applicata ai proposti D’.Fr. e M.I. indiziati del delitto di cui alla L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, suoi interposti nella intestazione del capitale e nella gestione del patrimonio sociale, degli utili e dei conti correnti intestati alla T. service s.r.l..

1.3 Le prove della fittizia intestazione erano ricavate, in particolare, dal tenore letterale delle conversazioni intercettate, sinteticamente richiamate nel decreto impugnato, dalle quali risultava che era stato D. a decidere la costituzione della società, disponendo quest’ultimo a suo piacimento delle casse sociali, gestendo personalmente i rapporti con la clientela, impartendo direttive sul prezzo dei servizi e gestendo anche con proprie risorse – ricavate dalla attività di distribuzione del carburante – i costi del personale. Altro bene riconducibile al proposto era il complesso aziendale relativo alla ditta individuale V.R., avente ad oggetto l’esercizio commerciale di distribuzione di carburanti ERG e due immobili di pertinenza degli impianti.

1.4 Pertanto il Tribunale ne disponeva la confisca al pari del complesso aziendale della T. service srl e dei conti correnti bancari, formalmente intestati a V.R. e a L.B. M. (anch’esso raggiunto dalla stessa misura cautelare per il reato di cui all’art. 12 quinquies), sul presupposto che la indiretta disponibilità in capo al D. risultasse dalla accertata circostanza che i rapporti bancari in questione erano stati accesi per l’esercizio della impresa di distribuzione di carburanti di via (OMISSIS) e poi personalmente gestiti dal D., come ampiamente suffragato, anche in questo caso, dalle conversazioni evidenziate nella più volte richiamata ordinanza di custodia cautelare alla quale era fatto rinvio.

1.5 Avverso detto decreto proponevano appello gli odierni ricorrenti, – D. deducendo la estrema lacunosità e genericità del contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, contestando sia il giudizio di appartenenza al sodalizio mafioso espresso dal Tribunale che la sussistenza del requisito della attualità della pericolosità sociale nonchè gli elementi posti a base dell’affermazione di fittizia intestazione dei beni sequestrati;

– V.R., nei cui confronti era stata disposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, avendone ritenuto ancora attuale la pericolosità sociale in ragione dell’annosa fittizia intestazione di una attività di impresa nella quale la partecipazione dell’indiziato mafioso era venuta a determinare una obiettiva commistione con capitali ed interessi criminali mafiosi che avrebbe potuto essere smentita solo da un mutamento del sistema di relazioni di vita, in ordine al quale non era stata però fornita dall’appellante alcuna concreta allegazione.

L’appellante deduceva la insussistenza del reato contestando, in particolare, che la costituzione e gestione del distributore di carburanti – avviata dalla V. mediante la stipula di scritture contrattuali a titolo gratuito che non avevano comportato alcun esborso di denaro – fosse avvenuta mediante illecite provviste finanziarie; la successiva percezione di costanti redditi derivanti dalla predetta attività imprenditoriale – alla quale aveva collaborato il marito, formalmente assunto dalla ditta individuale di distribuzione il 3 luglio 2001 -, e gli introiti derivanti dall’ottenimento il 25/2/2004 di un fido bancario dell’importo di Euro 38.000 e dalla vendita di un appartamento effettuata dal D. l’11/2/2003 per il corrispettivo di Euro 42000,00, costituivano le provviste che giustificavano l’esborso di Euro 62.000,00 per l’acquisto, in data 18/3/2004 del terreno su cui insisteva l’impianto di carburanti.

– L.B.M., nei confronti del quale era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, lamentava l’errore di fatto in cui sarebbe incorso il primo giudice, rilevando in particolare che le conversazioni da questi richiamate a fondamento del decreto impugnato in realtà facevano riferimento ad un diverso conto corrente, intrattenuto dalla ditta individuale V. R. alle cui dipendenze il L.B. lavorava come impiegato.

1.6 La decisione di primo grado è stata confermata dalla Corte di appello di Palermo, con il provvedimento indicato in epigrafe: 1.6.1 la Corte di merito ha evidenziato in proposito che, per quanto riguarda D.L., gli elementi acquisiti a suo carico depongono univocamente per l’appartenenza del medesimo al sodalizio mafioso Cosa Nostra, nei termini che giustificano la formulazione di un giudizio di pericolosità qualificata L. n. 575 del 1965, ex art. 1, a cominciare dalla condanna penale emessa dalla Corte di Appello di Palermo in data 3 luglio 1997, divenuta irrevocabile il 16 ottobre 1997, che ha condannato il predetto appellante alla pena di anni quattro, mesi due di reclusione per i reati di associazione mafiosa (art. 416 bis c.p., comma 4), falsità materiale e ricettazione, entrambi aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7, in relazione ad una serie di condotte riguardanti l’assistenza da questi prestata a T.L., esponente mafioso della famiglia di Brancaccio – Corso dei Mille, durante la latitanza. Tale giudizio andava confermato in termini di attualità sia in considerazione degli elementi indiziari acquisiti che inducono a ritenere persistenti i rapporti del proposto con l’organizzazione mafiosa anche in data successiva alla sua condanna penale (in questi termini si è espresso il collaborante A.E. e in questo senso depongono i contatti con persone vicine al T. fino all’anno 2006), sia in considerazione della carenza di qualsiasi elemento concretamente prospettato e desumibile dagli atti indicativo di un eventuale recesso o presa di distanze del proposto dalle attività illecite del sodalizio. Tale considerazione si fonda sulla convinzione, sorretta dai pronunciamenti della Corte di legittimità, che le associazioni di tipo mafioso per un verso presentano un elevato grado di stabilità e permanenza nel tempo e per altro verso non sono circoli dei quali si possa cessare di far parte semplicemente non rinnovando l’iscrizione o comunicando la disdetta, ma uscire dai quali, il più delle volte comporta rappresaglie o gravi conseguenze per l’interessato ed i suoi familiari. Per ciò che attiene agli aspetti patrimoniali della misura di prevenzione applicata a D.L. con il decreto del Tribunale dell’11/23 marzo 2010 va in primo luogo rilevato, per quanto riguarda le attività e i beni intestati alla moglie V.R., che la disponibilità anche indiretta in capo al proposto (peraltro neanche contestata con i gravami da V.R., che ha proposto appello unicamente avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione personale, come emerge dal provvedimento impugnato a pag.22) oltre che desumersi dal rapporto di coniugio, si ricava dal testo delle conversazioni intercettate come richiamate nel decreto impugnato. Rispetto a tali attività imprenditoriali l’appellante ha contestato il giudizio di sproporzione rispetto alla propria capacità reddituale espresso dal primo giudice e ha dedotto, in particolare, la lecita provenienza delle risorse impiegate sia per la costituzione della attività di distribuzione di carburanti, avendo la stessa richiesto un mero contratto di comodato gratuito con la ERG, che non aveva comportato alcun esborso economico, che per il successivo acquisto del terreno dove svolgere detta attività. Ma la Corte ha ritenuto che, dalla stessa produzione documentale della difesa risulta evidente che l’assunzione in comodato dell’impianto di distribuzione di carburanti non era stata affatto gratuita, ed era accompagnata dal contestuale impegno al pagamento delle forniture di prodotti effettuati dalla società ERG, in quantitativi che non potevano scendere al di sotto di limiti determinati contrattualmente, e di canoni di locazione e affitto dei beni annessi al Punto Vendita.

Ciò aveva inevitabilmente comportato un impegno economico, assistito da apposita garanzia bancaria, assolto dal D. secondo modalità che non sono state affatto dimostrate (nè tantomeno allegate) dal momento che lo stesso, e il suo nucleo familiare, in quel lasso temporale non risultava godere di redditi adeguati. La constatata originaria sproporzione rispetto alle lecite disponibilità economiche del proposto è refluita anche sugli introiti ricavati negli anni successivi dallo svolgimento della attività di distribuzione di carburanti, ostando a che degli stessi si possa tener conto nella ricostruzione della complessiva capacità reddituale del D. e del suo nucleo familiare anche ai fini del successivo acquisto dei due immobili annessi all’impianto di distribuzione.

A questo riguardo l’appellante ha prodotto copia del contratto di compravendita relativo a detti immobili (nn. 1 e 2 del decreto di confisca), per il corrispettivo di complessive Euro 62.000,00. In seno al detto atto di compravendita non si trovano, però, riferimenti alle concrete modalità di pagamento del prezzo, essendosi i venditori limitati a rilasciare ampia quietanza, mentre si da atto che la consegna era avvenuta in data anteriore. Puntuali e rilevanti, probatoriamente, conversazioni intercorse tra D. e M. provano che il proposto era anche l’effettivo dominus dell’attività gestoria dell’azienda della T. srl e dei relativi conti correnti che venivano movimentati secondo le direttive date dal proposto.(pag.16-17-18).

1.6.2 Analoghe motivazioni giustificano la conferma delle misure di prevenzione personale applicate nei confronti degli appellanti V. e L.B. quali soggetti gravemente indiziati per il reato di cui all’art. 12 quinquies cit. per la fittizia intestazione alla V. della titolarità del fabbricato di via (OMISSIS) e dell’attività di distribuzione di carburanti ivi esercitata, nonchè della titolarità di diversi conti correnti connessi alla gestione del predetto impianto, uno dei quali intestato al proposto L.B.M.. Per quanto riguarda nello specifico l’attività imprenditoriale di gestione dell’impianto di carburanti di via (OMISSIS) formalmente intestata alla predetta V.R., la fittizietà di detta intestazione – e la effettiva riconducibilità di detta attività in capo al proposto D.L. – oltre ad emergere dal contenuto delle conversazioni intercettate, trova implicita conferma nelle dichiarazioni rese dalla stessa V. in sede di interrogatorio di garanzia al GIP, avendo la prevenuta, in detta occasione, ricollegato la necessità di intestare a sè stessa la attività di distribuzione del carburante (in continuità con l’attività gestita dal marito prima del suo arresto e in seguito rilevata dal fratello V.F.) proprio alle vicende giudiziarie occorse al coniuge D.L. e alla condanna penale irrevocabile dallo stesso riportata che gli impedivano di riprendere l’attività a proprio nome. Tale circostanza, unita alla mancata dimostrazione di una lecita capacità reddituale adeguata ad affrontare gli esborsi occorrenti all’avvio della attività di gestione dell’impianto di distribuzione (sul punto ci si soffermerà più compiutamente trattando gli aspetti patrimoniali della misura impugnata), ha consentito alla Corte di affermare la sussistenza a carico della V. di un grave quadro indiziario del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinques e di confermare l’applicazione della misura di prevenzione che la riguarda.

Per quanto riguarda L.B. gli specifici elementi di prova sono indicati alle pag. 18-19-21.

Contro questa pronuncia ricorrono le difese di D., V. e L.B. deducendo a motivo:

D..

a) La violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b, c), d) ed e) lamentando che la premessa ricostruttiva riportata nel decreto impugnato è censurabile per travisamento delle prove e contestando in vario modo la ricostruzione fattuale della Corte;

L.B..

b) La violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), d) perchè il contenuto della conversazione citata nel decreto è travisato e perchè, a tenore di una sentenza della Corte Suprema, la n.30165 del 2007, il reato di cui all’art. 12 quinques non è integrato dalla semplice gestione di un bene;

V..

c) La violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d), e) perchè a tenore di una sentenza della Corte Suprema, la n.30165 del 2007, il reato di cui all’art. 12 quinques non è integrato dalla semplice gestione di un bene e perchè è stato travisato il compendio probatorio difensivo.

Motivi della decisione

2. I ricorsi sono manifestamente infondati perchè fondati su deduzioni difensive inammissibili in sede di legittimità.

2.1 La L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11,infatti, ammette nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione soltanto per violazione di legge, ed i motivi di ricorso dei tre proposti sono,invece, incentrati esclusivamente, sul vizio di motivazione.

2.2 Tale vizio di motivazione, secondo la giurisprudenza di questa Corte, datata e conforme, è però deducibile solo se la motivazione sia del tutto carente, o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, si da tradursi in violazione di legge per mancata osservanza da parte del giudice del merito dell’obbligo, sancito del citato art. 4, comma 6, di provvedere con decreto motivato (cfr. al riguardo, tra le molte, rv. 212.946).

2.3 Non è ciò che si è verificato nel caso di specie, poichè la Corte territoriale, come la sintesi su riportata attesta, ha reso una motivazione logica congrua e completa circa le ragioni specifiche, anche fattuali, che giustificano le misure applicate, facendo oggetto di una accurata valutazione il materiale probatorio dedotto dai difensori, dandone una lettura appropriata e compiuta, valutando tutte le deduzioni avanzate dagli appellanti.

2.4.Solo per completezza va, poi, precisato, riguardo ai ricorsi L. B. e V., che la massima di questa Corte relativa alla sentenza n.30165 del 2007, è riportata in modo errato tanto da attribuire alla decisione un significato affatto diverso da quello realmente avvalorato dalla Corte Suprema. La massima, infatti, è del seguente tenore: "Il delitto di trasferimento fraudolento di valori (D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, convertito nella L. n. 356 del 1992) è una fattispecie a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di denaro o altra utilità realizzata in qualsiasi forma. Il fatto- reato consiste nella dolosa determinazione di una situazione di apparenza giuridica e formale della titolarità o disponibilità del bene, difforme dalla realtà, al fine di eludere misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando ovvero al fine di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi economici di illecita provenienza. (Ha specificato la Corte che se, da un lato, i termini titolarità e disponibilità impongono di comprendere nella previsione normativa non solo le situazioni del proprietario o del possessore ma anche quelle nelle quali il soggetto venga comunque a trovarsi in un rapporto di signoria con il bene;

dall’altro lato, impongono altresì di considerare ogni meccanismo che realizzi la fittizia attribuzione consentendo al soggetto incriminato di mantenere il proprio rapporto con il bene) Sez. 1, Sentenza n. 30165 del 26/04/2007 Cc. (dep. 24/07/2007) Rv. 237595.

I ricorsi sono pertanto inammissibili: ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00,ciascuno, alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2013

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