Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 31-01-2013) 20-05-2013, n. 21606

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Svolgimento del processo

Con sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato in data 18 aprile 2009, il GIP del Tribunale di Nocera Inferiore dichiarava P.G. responsabile del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della norme sulla circolazione stradale (in cooperazione colposa con F.B.) di cui all’art. 113 c.p., art. 589 c.p., comma 2 e, concesse le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, applicata la diminuente per il rito abbreviato, lo condannava alla pena di anni uno di reclusione nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio, assegnandole una provvisionale immediatamente esecutiva di 300.000,00 Euro.

Proposto appello, la Corte di appello di Salerno, in riforma della sentenza di primo grado, rideterminava la pena in mesi otto di reclusione. Confermava nel resto l’impugnata sentenza.

Come risulta dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, la mattinata del (OMISSIS) 2010 P.G., alla guida della propria autovettura Lancia Lybra, nel percorrere traversa (OMISSIS), strada a doppio senso di marcia, giunto all’intersezione con via (OMISSIS), arteria principale di collegamento tra i comuni di Sarno e di Lavorate, dopo aver oltrepassato il segnale di stop posto in quel punto, effettuava una manovra di svolta a sinistra per immettersi nella predetta via. Subito dopo essersi immesso nell’area dell’incrocio, dopo qualche metro, entrava in collisione con il motociclo Aprilia Scarabeo guidato da F.B., sul quale era trasportata R.F., che percorreva, alla velocità di 50 KM/h, eccedente il limite di 40 Km/h, la via (OMISSIS) con direzione di marcia opposta a quella dell’autovettura. A seguito del violento urto la R. veniva sbalzata dalla sella e, dopo un volo di circa 10 metri, cadeva al suolo riportando un gravissimo trauma cranico che ne determinava l’immediato decesso. I giudici di merito hanno ritenuto accertata la responsabilità del P. in quanto non si era fermato al segnale di stop, limitandosi solo a rallentare l’andatura, come riferito dal teste R., si era immesso nell’area dell’incrocio senza adoperare le dovute cautele imposte dall’attraversamento di un crocevia, in particolare senza mai frenare (non sono state difatti rilevate tracce di frenata dalla Polizia intervenuta sul luogo dell’incidente), non aveva avvistato il motociclo del F., che sopraggiungeva sulla via (OMISSIS) nell’opposta direzione di marcia, pur essendo l’area dell’incrocio a visuale libera tale da consentire il pronto avvistamento dei veicoli provenienti dall’opposto senso di marcia, sebbene dal calcolo dei tempi di avvistamento effettuato sulla base delle velocità tenute rispettivamente dai due mezzi, risulta che, già al momento dell’inizio della manovra di immissione nel crocevia, la motocicletta fosse avvistabile, trovandosi ad una distanza minima dal punto di impatto di mt 13.88 e massima di mt 26,60.

Rilevano ancora i giudici di merito che l’eccessiva velocità tenuta dal motociclista nell’approssimarsi nell’area dell’incrocio non costituiva causa scriminante del comportamento dell’imputato; difatti il conducente gravato dal segnale di stop ha l’obbligo di fermarsi e di usare la massima prudenza e diligenza nell’eseguire la manovra di attraversamento, non potendo fare affidamento sul fatto che i veicoli favoriti debbano a loro volta rallentare in prossimità dell’incrocio, poichè l’eccessiva velocità di questi ultimi, può costituire solo una causa concorrente dell’incidente eventualmente occorso, di per sè non sufficiente ad escludere la responsabilità dello stesso conducente. Di conseguenza il conducente del veicolo gravato dall’obbligo di fermarsi potrebbe ritenersi esente da ogni responsabilità solo ove si provasse che la sua condotta fosse immune da ogni addebito, sia sotto il profilo della colpa specifica, sia sotto quello della colpa generica, e che essa non avesse svolto alcun ruolo eziologico costituendo solo semplice occasione dell’evento.

Avverso la sentenza di appello l’imputato ha proposto ricorso per i seguenti motivi:

1 – Carenza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della responsabilità del P..

Con questo motivo di ricorso la difesa del ricorrente censura la decisione dei giudici di seconde cure nella misura in cui hanno ritenuto sussistente il nesso di causalità fra la condotta del predetto e il sinistro stradale.

Rileva a tale proposito il difensore il difetto di una puntuale e coerente struttura argomentativa della motivazione, in particolare l’assenza di convincenti ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto, mostrando con ciò di recepire del tutto acriticamente la decisione del primo giudice, la condotta dell’imputato P. come una causa e non quale semplice occasione dell’evento, discostandosi dalle conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico del P.M. in ordine alla responsabilità esclusiva del F. nella causazione dell’incidente stradale.

Lamenta inoltre il ricorrente l’omessa considerazione da parte della Corte di appello, nella valutazione dell’incidenza causale delle singole condotte colpose, del mancato uso del casco da parte della vittima R.F., trasportata sulla motocicletta condotta dal F., e della velocità tenuta da quest’ultimo, ben superiore a quella consentita; evidenzia ancora la difesa la non esaustività delle argomentazioni della Corte di Appello in ordine all’effettiva incidenza causale nella produzione del sinistro stradale, della condotta del P., consistita nel mancato rispetto del segnale di stop, in rapporto all’altra concausa della velocità eccessiva tenuta dal veicolo antagonista.

2 – col secondo motivo la difesa del ricorrente censura illogicità della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, non avendo tenuto conto la corte di appello, nel rideterminare la pena, degli indici di cui all’art. 133 c.p..

Motivi della decisione

1 – Il presente ricorso è inammissibile in quanto, attraverso la deduzione di vizio di motivazione della sentenza impugnata, introduce surrettiziamente la critica alla valutazione delle risultanze processuali operata dal giudice di merito, sollecitando una diversa lettura degli elementi di fatto acquisiti al processo, non consentita in sede di legittimità.

Si ricorda in proposito che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, al solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nella autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili perchè proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria di cui al richiamato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E (Cass. S.U. n. 12 del 31.5.00, S.U. n.47289 del 24.9.03, sez. 3^ n. 40542 del 12.10.07, sez. 4^, n. 4842 del 2.12.03, sez. 6^ 20.7.011, n. 2878, sez. 1^, 14.7.011 n.33028). E difatti la denunzia del vizio di motivazione non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito del procedimento, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, in relazione ad un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale soltanto spetta il compito individuare le fonti del proprio convincimento, di esaminare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Tali enunciati sono applicabili anche alla materia della circolazione stradale, con riguardo alla quale ripetute pronunce di legittimità hanno affermato il principio secondo cui sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da adeguata motivazione, gli apprezzamenti di fatto necessari alla ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia (valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente), valutazioni che, in quanto tali, sono rimesse alla cognizione del giudice di merito, (ex plurimis, sez. 4^, N. 87/90, imp. Bianchesi rv 182960; sez. 4^, n. 37838 del 01/07/2009 dep. 25/09/2009 Rv. 245294).

Fatta questa premessa sui limiti del sindacato di legittimità, occorre stabilire se la sentenza impugnata abbia fornito una congrua, logica ed esaustiva motivazione della valutazione delle risultanze processuali. Orbene, la difesa del ricorrente lamenta che i giudici di appello hanno motivato sulla base di elementi contraddittori e illogici, costituiti da un’erronea valutazione delle risultanze dell’accertamento tecnico disposto dal P.M. e dei criteri che devono soccorrere nella valutazione dell’efficienza causale delle condotte colpose dei conducenti dei veicoli coinvolti nell’incidente stradale, senza esaminare i fatti alla luce di tutte le emergenze processuali e delle deduzioni difensive che mettevano in evidenza una condotta di guida del conducente del motociclo, F.B., tale da costituire causa assorbente della verificazione del sinistro stradale.

L’assunto non è fondato poichè la Corte ha assolto l’obbligo della motivazione spiegando congruamente le ragioni del proprio convincimento e ritenendo, con espresso richiamo alle puntuali argomentazioni della sentenza di primo grado, cui rinvia per relationem, ma anche con ulteriori diffuse argomentazioni, sussistenti a carico dell’imputato specifici e concreti elementi di prova.

Non è, quindi, ravvisarle la dedotta illogicità della motivazione la quale, peraltro, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, rv.214794).

Al contrario, la decisione impugnata è immune da censure sotto il profilo logico e della correttezza giuridica ed i suoi contenuti motivazionali, come sopra riportati, forniscono, con argomentazioni logiche e coerenti, una puntuale, convincente ricostruzione della dinamica dell’incidente e dell’accertamento delle condotte colpose dei conducenti dei veicoli coinvolti, fondata su un’attenta disamina delle risultanze istruttorie e su un rigoroso vaglio critico delle deduzioni difensive dell’appellante, pervenendo alla decisione non attraverso una supina ricezione della sentenza di primo grado, cui rinvia per relationem, bensì sottoponendo ad elaborazione critica le argomentazioni in essa svolte e aderendovi attraverso un iter argomentativo esauriente e scevro da vizi di motivazione.

Quanto alla velocità del motociclista, indicata dal ricorrente come cause esclusiva del sinistro stradale, questa Corte ha più volte escluso l’efficacia causale esclusiva di comportamenti posti in violazione delle norme sulla circolazione da parte dei veicoli favoriti dal diritto di precedenza rispetto al veicolo antagonista.

In proposito ha affermato, che, quando il conducente pone in essere un fattore causale originario di rischio dei successivi eventi collisivi, l’eventuale condotta colposa (eccessiva velocità, mancato rispetto della distanza di sicurezza) dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l’evento tutte le volte in cui non sia qualificabile come atipica ed eccezionale ma sia collocabile nell’ambito della prevedibilità. Essa potrà al più essere considerata alla stregua di un concorso colposo nella determinazione dell’evento (v. Cass sez. 4^, n. 10676 11/02/2010-18/03/2010 rv.

246422).

Solo quando la condotta dell’utente della strada favorito dal diritto di precedenza assuma i caratteri dell’abnormità, eccezionalità ed imprevedibilità (ad esempio, la forte improvvisa accelerazione dopo l’inizio della manovra intrapresa dal conducente gravato dalla precedenza), essa diviene fattore causale esclusivo della produzione dell’incidente andando a frapporsi nel rapporto causale esistente fra la condotta del suddetto conducente e l’evento dannoso, recidendolo, ed assurgendo a causa esclusiva del sinistro stradale, non potendosi ascrivere in tal caso l’evento dannoso alla condotta colposa del conducente gravato dalla regola di condotta in quanto non è causalmente riconducibile alla sua violazione. Nè può ritenersi escluso il nesso causale con l’evento dannoso in ragione dell’affidamento riposto nel comportamento del conducente antagonista, ovvero nell’aspettativa che questi possa essere in grado di fronteggiare le conseguenze dell’altrui illecita condotta. In tema di rapporto di causalità non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate regole precauzionali o per aver omesso determinate condotte confidando che altri rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a prevenirlo; in tal caso, difatti, l’omessa attivazione dell’altro non si configura come fatto eccezionale ed imprevedibile sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l’evento (Cass. sez. 4^, 28.9.09 n. 38671).

Tali principi rinvengono la loro matrice nella teoria, elaborata nella materia dell’infortunistica stradale, dell’aspettativa sociale all’osservanza generalizzata delle regole cautelari, scritte e non scritte, che disciplinano la condotta di guida, da cui deriva l’affidamento nella regolarità del comportamento dell’utente della strada. La giurisprudenza della Suprema Corte ha assunto un particolare rigore nella valutazione della colpa in ambito stradale.

E difatti è prescritta non solo l’astensione dalla proprie imprudenze ma anche l’obbligo di prevedere e neutralizzare le disattenzioni altrui con un comportamento di particolare prudenza che sia idoneo a fronteggiare le insidie delle altrui inosservanze. Nel solco di tali principi, si collocano tutta una serie di pronunce di questa Corte che, partendo dalla premessa di fondo dell’obbligo a carico dell’utente della strada non solo di astenersi da qualsiasi violazione delle regole della circolazione stradale ma anche di prevedere le altrui possibili violazioni con una condotta di guida che gli consenta, prestando la massima attenzione allo stato della circolazione, di fronteggiarle evitandone gli effetti dannosi, hanno affermato i seguenti principi: "la condotta di guida inosservante di altri utenti della strada non costituisce in sè una contingenza imprevedibile. Al contrario la normale prudenza nella circolazione stradale impone che si metta in conto anche tale possibilità. Di conseguenza il conducente di un veicolo ha l’obbligo non solo di attenersi strettamente alle regole che riguardano più direttamente il movimento del mezzo da lui condotto, ma deve anche, e senza che ciò possa essere configurato un di più, prefigurarsi, nell’ambito della normale prevedibilità, l’altrui condotta imprudente o negligente e, persino, imperita, onde mettersi in grado di porvi riparo evitando danni a sè stesso e agli altri" (Cass. Sez. 4^ 7.2.08 n. 12361).

La velocità, per quanto elevata e notevolmente superiore ai limiti in concreto vigenti, non è stata mai ritenuta evento imponderabile ed imprevedibile, rientrando invece nel novero di quei comportamenti irregolari, insieme all’inosservanza delle distanze di sicurezza o alle manovre improprie in caso di incidenti stradali o di altri impedimenti, che si verificano nella circolazione stradale con estrema frequenza e che pertanto devono essere messi in contro dal conducente del veicolo antagonista (v. Cass. Sez. 4^ 19.6.06 n. 12224,11.2.2010, n. 106756).

"La condotta di guida inosservante di altri utenti della strada non costituisce in sè una contingenza imprevedibile. Al contrario la normale prudenza nella circolazione stradale impone che si metta in conto anche tale possibilità. Di conseguenza il conducente di un veicolo ha l’obbligo non solo di attenersi strettamente alle regole che riguardano più direttamente il movimento del mezzo da lui condotto, ma deve anche, e senza che ciò possa essere configurato un di più, prefigurarsi, nell’ambito della normale prevedibilità, l’altrui condotta imprudente o negligente e, persino, imperita, onde mettersi in grado di porvi riparo evitando danni a sè stesso e agli altri" (Cass. Sez. 4^ 7.2.08 n. 12361).

Alla stregua di tali considerazioni, le censure mosse dal ricorrente appaiono del tutto prive di fondamento. In particolare i giudici di seconde cure hanno rilevato che la velocità del motociclista (50 Km/h), peraltro di poco superiore al limite di velocità esistente in quel tratto di strada (40 Km/h), non presenta i caratteri di assoluta imprevedibilità, nei termini sopra illustrati, e non può ritenersi di per sè sola sufficiente alla produzione dell’evento dannoso, la cui eziologia deve essere invece ricercata nell’imprudente oltre che vietata manovra di immissione da parte del ricorrente P. nella strada principale percorsa dal motociclista, senza fermarsi al segnale di stop e senza dare la dovuta precedenza ai veicoli che, come quello condotto dal F., sopraggiungevano nella direzione contraria; manovra costituente l’antecedente causale senza il quale non si sarebbero neppure verificare le condizioni della violenta collisione, rappresentate dall’impegno da parte dell’auto del P. della corsia di marcia ove sopraggiungeva la motocicletta guidata dal F., di guisa che non è stato possibile per quest’ultimo evitare l’urto. Hanno inoltre correttamente evidenziato i giudici di merito che il P., dopo essersi immesso nell’area dell’incrocio senza arrestarsi al segnale di stop (il teste R. ha riferito solo di un rallentamento posto in essere dal predetto in corrispondenza del suindicato segnale, comportamento ben diverso dall’obbligo di arresto prescritto dalla normativa stradale in presenza di segnale di stop), una volta impegnato l’incrocio, omise anche di frenare, sebbene fosse avvistarle il motociclista. E’ assolutamente certo, infatti, che nel momento in cui la vettura di P.G. impegnava l’intersezione, il motociclo si trovava nel campo visivo del suo autista; infatti, a volere fare proprie le valutazioni circa la velocità tenute dai mezzi al momento dell’impatto del consulente del PM, risulta che l’imputato, "alla velocità massima di 15 KM/h percorreva i pochi metri – circa 4 per come si ricava dalla planimetria redatta dalla PG – tra il punto di arresto sulla Traversa (OMISSIS) ed il punto di impatto, in circa un secondo, tempo che si raddoppia quando operi una media tra la velocità massima di 15 KM/h e quella di partenza minima quasi prossima allo zero; ebbene, tenuto conto della velocità del motociclo che era di circa 50 KM/h, se ne ricava che, al momento dell’inizio della manovra di immissione nell’intersezione da parte di P.G., il motociclo si trovava a una distanza minima di 13,88 mt dal punto di impatto e massima di circa 26,00 metri dallo stesso. Entrambe queste distanze, trattandosi di incrocio a visuale libera e di strade in rettilineo, consentivano a P.G. di avvedersi per tempo della presenza del motociclo".

Quanto poi al mancato o non corretto uso del casco da parte della vittima trasportata sulla motocicletta del F., dedotto dal ricorrente già con i motivi di appello, la corte territoriale correttamente ha osservato come, ferma restando l’incertezza probatoria su tale circostanza, non chiarita dall’istruttoria espletata, essa comunque non determina l’interruzione del nesso causale, non essendo questo eliso per il semplice concorso nell’altrui fatto illecito da parte di terzo o della stessa persona offesa, secondo il disposto dell’art. 41 c.p. ((si tratta di concause preesistenti/concomitanti che come è noto non escludono il nesso causale).

Dunque la sentenza impugnata, anche attraverso il richiamo per relationem della sentenza di primo grado, fornisce una congrua motivazione della preponderante responsabilità dell’odierno ricorrente nella causazione del sinistro.

2 – Altrettanto inammissibile è il secondo motivo concernente il trattamento sanzionatorio. Le statuizioni in ordine all’entità della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, rientrano nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione. (Sez. U, Sentenza, del 25/02/2010 Ud. (dep. 18/03/2010) Rv. 245931, Sez. 2^, Sentenza del 18/01/2011 Ud. (dep. 01/02/2011 ) Rv. 249163).

Si è inoltre sostenuto che, proprio perchè la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, questi ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 c.p., comma 3, anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p. e, qualora la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, anche adoperando espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero richiamandosi alla gravità del reato o alla personalità del reo. (Cass. Sez. 3^, 29/05/2007 rv 237402, Sez. 4^, Sentenza n. 41702 20/09/2004 Rv. 230278, Sez. Unite 25/02/2010 rv. 245931, Sez. 2^, 18/01/2011 rv. 249163).

Orbene la sentenza impugnata, che peraltro ha operato una riduzione della pena, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha fornito adeguata e congrua motivazione della scelta operata, fondata su un’attenta ponderazione della gravità della condotta e della personalità dell’imputato, secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p.. motivazione conforme ai principi espressi dalle richiamate pronunce della Suprema Corte, del tutte esente da censure di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2013

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