Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 31-01-2013) 20-05-2013, n. 21605

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 28 novembre 2007, a seguito di rito abbreviato, il Tribunale di Prato dichiarava R.C. colpevole del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale di cui all’art. 589 c.p., comma 2, e, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e le attenuanti di cui all’art. 62 c.p., nn. 5 e 6, operata la riduzione del rito, lo condannava alla pena di mesi 6 di reclusione ed al pagamento delle spese processuali, con sospensione condizionale della pena e non menzione nel certificato del casellario giudiziale. Disponeva inoltre la sospensione della patente per la durata di mesi cinque.

Proposto appello dal difensore dell’imputato, la Corte di appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ritenuta la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche, riduceva la pena a mesi 5 e gg. 10 di reclusione e dichiarava interamente condonata la pena stessa. Confermava nel resto l’impugnata sentenza.

Come risulta dalla ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito, il giorno (OMISSIS) 2006 R.C., nel percorrere, alla guida dell’autocarro Fiat Daily, via di (OMISSIS), effettuava una manovra di inversione di marcia non consentita in conseguenza della quale il motociclo Kawasaki Ninja guidato da B.L., che sopraggiungeva da tergo nello stesso senso di marcia, trovando la carreggiata ostruita dalla presenza del camion in posizione trasversale nel corso della manovra di inversione di marcia, andava a finire contro. A seguito dell’impatto il B. riportava lesioni gravissime che ne determinavano il decesso quasi immediato. I Giudici di merito ritenevano che, sebbene la velocità del motociclista fosse particolarmente elevata (120 Km/h), ben superiore al limite di 50 Km/h vigente in quel tratto di strada (centro urbano), essa non poteva considerarsi causa sopravvenuta da sola sufficiente a provocare l’evento mortale, poichè la condotta posta in essere dall’imputato aveva rappresentato l’antecedente causale senza il quale non si sarebbe prodotto il sinistro stradale, con violazione di specifiche norma del codice della strada, stante il divieto di inversione di marcia nel tratto di strada percorso, e con omissione da parte dell’imputato del dovuto controllo, prima di iniziare la manovra, che essa non creasse pericolo o intralcio ai veicoli che la seguivano.

Avverso la pronuncia di appello il R., per il tramite del difensore, ha presentato ricorso per cassazione lamentando, con unico motivo, vizio di motivazione della sentenza sotto i diversi profili di seguito specificati.

– Afferma la difesa del ricorrente che la Corte di Appello, nell’attribuire efficacia causale esclusiva all’imprudente oltre che vietata manovra di inversione ad U dell’imputato, non preceduta da un’attenta verifica che non sopraggiungesse alcun veicolo, è incorsa in un travisamento della prova, segnatamente dell’accertamento tecnico disposto dal P.M. da cui risulta che quando il predetto ha iniziato la suddetta manovra, non aveva la possibilità di avvistare il motociclo, in quanto questo sopraggiungeva ad una velocità talmente elevata da determinare una notevole contrazione del tempo di avvicinamento e, conseguentemente, anche una riduzione della possibilità di avvistamento del veicolo in tempo utile per evitare di intraprendere la manovra. E difatti, tenuto conto che la vittima sopraggiungeva ad una velocità di Km 120-124/h, tale da consentirgli di percorrere mt 33 in un secondo, i tempi di avvicinamento da quando la motocicletta era divenuta avvistabile (mt. 38.5 sino al momento dell’impatto) si sono ridotti a pochi attimi; di conseguenza il conducente del camion ha avuto la percezione del sopraggiungere di detto mezzo quando la manovra di inversione di marcia era già in corso, solo pochi secondi prima dell’impatto.

– Censura inoltre il ricorrente la motivazione della sentenza di appello laddove afferma che "l’inosservanza dei limiti di velocità da parte di altri utenti della strada rappresenta un evento ricorrente e, dunque, normalmente prevedibile e del quale, nella specie, si sarebbero potuti agevolmente prevenire gli effetti sol che il R. avesse adeguatamente ispezionato la strada dietro di sè prima di iniziare la pericolosa manovra".

Osserva a tal proposito la difesa del ricorrente che siffatte argomentazioni finiscono per legittimare comportamenti costituenti specifiche violazioni del codice della strada, facendoli rientrare nell’ambito nella normale prevedibilità, scriminandoli ed escludendo la loro efficacia causale; e comunque, fermo restando tale rilievo, ad avviso della difesa non si è trattato di semplice violazione del limite di velocità riconducibile al novero dei comportamenti prevedibili, che devono indurre l’utente della strada a particolare cautela anche nei casi in cui sia favorito dal diritto di precedenza, bensì di una velocità "abnorme" in rapporto allo stato dei luoghi, che ha precluso la possibilità di utile avvistamento, da parte dell’altro conducente, del motociclo che sopraggiungeva, essendo esso divenuto percepibile solo pochi secondi prima dell’urto. Da tali argomentazioni la difesa del ricorrente trae la conclusione che la causa unica ed assorbente del sinistro sia stata la condotta colposa del motociclista atteso che ad una velocità contenuta nel limite vigente di 50 Km/h, o anche di poco superiore, lo stesso avrebbe avuto il tempo e lo spazio sufficienti per arrestarsi ed evitare l’autocarro. Dunque, in base di tale assunto, il sopravvenire del motociclo del B. a forte velocità si sarebbe inserito nella serie causale quale fattore anomalo assolutamente imprevedibile ed inevitabile, tale da interrompere il nesso causale tra la azzardata manovra dell’imputato ed il successivo incidente mortale.

Motivi della decisione

Il presente ricorso è inammissibile in quanto, attraverso la deduzione di vizio di motivazione della sentenza impugnata, introduce surrettiziamente la critica alla valutazione delle risultanze processuali operata dal giudice di merito, sollecitando una diversa lettura degli elementi di fatto acquisiti al processo, non consentita in sede di legittimità.

Si ricorda in proposito che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione dell’art. 606 c.p.p., comma1, lett. E, al solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nella autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili perchè proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria di cui al richiamato art. 606 c.p.p., comma1, lett E. (Cass. S.U. n. 12 del 31.5.00, S.U. n. 47289 del 24.9.03, sez. 3^, n. 40542 del 12.10.07, sez. 4^, n. 4842 del 2.12.03, sez. 6^, 20.7.011, n. 2878, sez. 1^, 14.7.011 n. 33028).

E difatti la denunzia del vizio di motivazione non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito del procedimento, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica – in relazione ad un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale soltanto spetta il compito individuare le fonti del proprio convincimento, di esaminare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare la prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.

Tali enunciati sono applicabili anche alla materia della circolazione stradale, con riguardo alla quale ripetute pronunce di legittimità hanno affermato il principio secondo cui sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da adeguata motivazione, gli apprezzamenti di fatto necessari alla ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia (valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente), valutazioni che, in quanto tali, sono rimesse alla cognizione del giudice di merito, (ex plurimis Sez. 4^, N. 87/90, imp. Bianchesi, rv 182960; sez. 4^, n. 37838 del 01/07/2009 dep. 25/09/2009 Rv. 245294).

Fatta questa premessa sui limiti del sindacato di legittimità, occorre stabilire se la sentenza impugnata abbia fornito una congrua, logica ed esaustiva motivazione della valutazione delle risultanze processuali.

Venendo al caso in esame, la difesa del ricorrente lamenta che i giudici di appello hanno motivato sulla base di elementi contraddittori e illogici, costituiti da un’erronea valutazione delle risultanze dell’accertamento tecnico disposto dal P.M. e dei criteri che devono soccorrere nella valutazione dell’efficienza causale delle condotte colpose dei conducenti dei veicoli coinvolti nell’incidente stradale, senza esaminare i fatti alla luce di tutte le emergenze processuali e delle deduzioni difensive che mettevano in evidenza una condotta di guida della vittima tale da costituire causa assorbente della verificazione del sinistro stradale.

L’assunto non è fondato poichè la Corte ha assolto l’obbligo della motivazione spiegando congruamente le ragioni del proprio convincimento e ritenendo sussistenti a carico dell’imputato specifici e concreti elementi di prova.

Non è, quindi ravvisabile la dedotta illogicità della motivazione la quale, peraltro, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, rv. 214794).

Questa Corte ha più volte affermato che, quando il conducente pone in essere un fattore causale originario di rischio dei successivi eventi collisivi, l’eventuale condotta colposa (eccessiva velocità, mancato rispetto della distanza di sicurezza) dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l’evento tutte le volte in cui non sia qualificabile come atipica ed eccezionale ma sia collocabile nell’ambito della prevedibilità. Essa potrà al più essere considerata alla stregua di un concorso colposo nella determinazione dell’evento (v. Cas sez. 4^, n. 10676 11/02/2010-18/03/2010 rv.

246422).

Solo quando la condotta dell’utente della strada favorito dal diritto di precedenza assuma i caratteri dell’abnormità, eccezionalità ed imprevedibilità, essa diviene fattore causale esclusivo della produzione dell’incidente andando a frapporsi nel rapporto causale esistente fra la condotta colposa del veicolo gravato dall’obbligo di precedenza e l’evento dannoso, recidendolo, ed assurgendo a causa esclusiva del sinistro stradale, non potendosi formulare in tal caso alcun addebito di colpa al conducente gravato dalla regola di condotta in quanto l’incidente non è non causalmente riconducibile ad essa.

Nè può ritenersi escluso il nesso causale con l’evento dannoso in ragione dell’affidamento riposto nel comportamento del conducente antagonista, ovvero nell’aspettativa che questi possa essere in grado di fronteggiare le conseguenze dell’altrui illecita condotta. In tema di rapporto di causalità non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate regole precauzionali o per aver omesso determinate condotte confidando che altri rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a prevenirlo; in tal caso, difatti, l’omessa attivazione dell’altro non si configura come fatto eccezionale ed imprevedibile sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l’evento (Cass. sez. 4^, 28.9.09 n. 38671).

I principi suesposti traggono origine dalla tesi, elaborata anche nella materia dell’infortunistica stradale, dell’aspettativa sociale all’osservanza generalizzata delle regole cautelari, scritte e non scritte, che disciplinano la condotta di guida, da cui deriva l’affidamento nella regolarità del comportamento dell’utente della strada. La giurisprudenza della Suprema Corte ha assunto un particolare rigore nella valutazione della colpa in ambito stradale.

E difatti è prescritta non solo l’astensione dalla proprie imprudenze ma anche l’obbligo di prevedere e neutralizzare le disattenzioni altrui con un comportamento di particolare prudenza che sia idoneo a fronteggiare le insidie della altrui inosservanze.

Nel solco di tali principi, si collocano tutta una serie di pronunce di questa Corte che, partendo dalla premessa di fondo dell’obbligo a carico dell’utente della strada non solo di astenersi da qualsiasi violazione delle regole della circolazione stradale ma anche di prevedere le altrui possibili violazioni con una condotta di guida che gli consenta, prestando la massima attenzione allo stato della circolazione, di fronteggiarle evitandone gli effetti dannosi, hanno affermato i seguenti principi: "la condotta di guida inosservante di altri utenti della strada non costituisce in sè una contingenza imprevedibile. Al contrario la normale prudenza nella circolazione stradale impone che si metta in conto anche tale possibilità. Di conseguenza il conducente di un veicolo ha l’obbligo non solo di attenersi strettamente alle regole che riguardano più direttamente il movimento del mezzo da lui condotto, ma deve anche, e senza che ciò possa essere configurato un di più, prefigurarsi, nell’ambito della normale prevedibilità, l’altrui condotta imprudente o negligente e, persino, imperita, onde mettersi in grado di porvi riparo evitando danni a sè stesso e agli altri" (Cass. Sez. 4^, 7.2.08 n. 12361).

"In tema di circolazione stradale il conducente del veicolo tenuto a dare la precedenza, deve usare la massima prudenza e diligenza necessarie ad eseguire correttamente la manovra e, in particolare, deve compiere un attento scrupoloso calcolo della velocità, e, in caso di dubbio, astenersi dall’intraprendere una manovra dall’esito incerto ed attendere un momento più propizio per eseguirla, con la conseguenza che ogni errore di calcolo deve essere posto a suo carico, salva l’eventuale corresponsabilità dell’altro conducente (Cass. 4^, 2.2.89 rv 181116). "Il conducente gravato dall’obbligo di dare la precedenza non può fare affidamento sul fatto che i veicoli favoriti siano a loro volta gravati dall’obbligo di rallentare in prossimità di crocevia .. giacchè l’eccessiva velocità tenuta da questi ultimi, qualunque essa sia, se non costituisce un fatto sopravvenuto, come nel caso di forte accelerazione successiva al momento di inizio della manovra da parte di quello sfavorito, può rappresentare soltanto una causa concorrente dell’incidente eventualmente occorso di per sè non sufficiente ad escludere la responsabilità dello stesso conducente (cass. sez. 4^, 8.7.08 n. 33385).

Anche quando la Corte ha ritenuto di riconoscere rilievo al principio dell’affidamento, ciò è avvenuto in relazione a casi eccezionali nei quali era stato effettivamente accertato che l’agente non poteva prevedere le altrui condotte irregolari (ad es. incidente prodotto a causa di circolazione di veicolo di notte senza fari).

La velocità, per quanto elevata e notevolmente superiore ai limiti in concreto vigenti, non è stata mai ritenuta evento imponderabile ed imprevedibile, rientrando invece nel novero di quei comportamenti irregolari, insieme all’inosservanza delle distanze di sicurezza o alle manovre improprie in caso di incidenti stradali o di altri impedimenti, che si verificano nella circolazione stradale con estrema frequenza e che pertanto devono essere messi in contro dal conducente del veicolo antagonista (v. Cass. Sez. 4^, 19.6.06 n. 12224,11.2.2010, n. 106756). Alla stregua di tali considerazioni le censure mosse dal ricorrente appaiono del tutto prive di fondamento posto che la velocità del motociclista, per quanto elevata, non presenta i caratteri di assoluta imprevedibilità, come sopra illustrato, e non può ritenersi di per sè sola sufficiente alla produzione dell’evento dannoso, la cui eziologia deve essere invece ricercata nell’azzardata, oltre che vietata (gli utenti della strada che seguivano l’autocarro potevano fare affidamento sul fatto che il veicolo avrebbe proseguito la marcia nella medesima direzione), manovra di inversione di marcia effettuata dal ricorrente, senza la quale non si sarebbero neppure verificate le condizioni della violenta collisione, rappresentate dalla posizione trasversale rispetto alla sede stradale assunta dal camion dell’imputato nel corso della manovra ad U con impegno anche di parte dell’altra corsia di marcia, non consentendo al motociclista di evitare l’urto neppure con una manovra di spostamento nell’altra mezzeria della carreggiata, tentata in extremis.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2013
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