Corte di Cassazione, Sentenza n. 16925 del 2011 Chiede il pagamento degli straordinari – Licenziato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Palermo, depositato in data 11.7.2003, M. A., premesso di aver prestato attivit� lavorativa alle dipendenze della societ� (…) srl. dal 2.1.1994 (sebbene il rapporto lavorativo fosse stato regolarizzato solo in data 1.3.1995) al 18.2.2003, allorch� era stato licenziato per asserito giustificato motivo oggettivo, lamentava la nullit� del detto licenziamento in quanto intimatogli per ritorsione alla sua richiesta di pagamento dello straordinario effettuato; lamentava inoltre la mancata retribuzione del detto lavoro straordinario e la mancata erogazione dell’indennit� sostitutiva dei permessi individuali retribuiti previsti dal contratto collettivo di categoria, nonch� la mancata corresponsione dell’indennit� di fine rapporto in relazione al periodo di lavoro non regolarizzato. Chiedeva pertanto la condanna della societ� convenuta al pagamento di quanto dovuto in forza dei suddetti titoli, nonch� la declaratoria di nullit� del licenziamento intimatogli.
Istauratosi il contraddittorio, la societ� convenuta contestava quanto dedotto dal ricorrente assumendo la legittimit� del licenziamento in quanto intimato, unitamente ad altri analoghi provvedimenti adottati nei confronti di altri dipendenti per contrazione dell’attivit� economica determinata dalla consistente riduzione di ordini, l’assenza di qualsiasi intento discriminatorio o ritorsivo, la mancata effettuazione di la mancata effettuazione di lavoro straordinario da parte del ricorrente avendo lo stesso osservato l’orario di 40 ore settimanali, la non adesione di essa convenuta ad alcuna associazione di categoria con conseguente non applicabilit� del contratto collettivo invocato in relazione ai permessi non retribuiti.
Si costituiva altres�, se pur tardivamente, l’Inps che chiedeva la condanna della societ� convenuta al versamento dei contributi relativi all’effettiva durata del rapporto di lavoro dedotto in giudizio.
Con sentenza non definitiva n. 2945/04 in data 2210.2004 il Tribunale adito dichiarava la nullit� del licenziamento intimato al ricorrente, ordinava la reintegra dello stesso nel posto di lavoro e condannava la societ� al risarcimento del danno mediante il versamento di una indennit� commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra.
Con successiva sentenza definitiva n. 2824/06 in data 19.5.2006 il Tribunale condannava la societ� convenuta al pagamento della somma di euro 52.584,97 a titolo di compenso per lavoro straordinario e di indennit� sostitutiva delle ore di permesso retribuito non godute; rigettava le altre domande proposte dal ricorrente.
Avverso tale sentenza proponeva appello la (…) s.r.l. lamentandone la erroneit� sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.
La Corte di Appello di Palermo, con sentenza in data 14.2 / 29.4.2008, rigettava il gravame.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la societ� predetta con dodici motivi di impugnazione
Resiste con controricorso il lavoratore intimato, ha parimenti presentato controricorso l’INPS.

Diritto
Col primo motivo di ricorso la societ� datoriale lamenta violazione e falsa applicazione dellart. 3 della legge_604_1966�(art. 360, n. 3, c.pc.).
In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto l’insussistenza della dedotta esigenza di riduzione del personale, omettendo di considerare le inconfutabili acquisizioni documentali attestant� la contrazione degli ordini, ed operando in maniera illegittima una non consentita valutazione delle insindacabili scelte dell’impresa.
Col secondo motivo del ricorso lamenta omessa o, comunque, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n 5, cpc).
Osserva la ricorrente che la Corte di merito, essendosi limitata a prendere posizione sulla ritenuta non coerenza della assunzione di altro dipendente (tale …) e la successiva decisione aziendale di riduzione del personale, aveva del tutto omesso di valutare il profilo relativo alla dedotta crisi aziendale che aveva determinato la necessit� del licenziamento del M.A.
Col terzo motivo del ricorso lamenta omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sotto il profilo della mancata valutazione delle risultanze
istruttorie ed omesso esame di documenti prodotti in giudizio (art. 360, n. 5, cpc.).
In particolare rileva che la Corte territoriale non prendendo adeguata posizione sulla sussistenza o meno della crisi aziendale aveva omesso qualsivoglia valutazione sulle prove sia documentali che testimoniali attestanti la costante contrazione del volume degli affari.
Col quarto motivo di ricorso la societ� datoriale lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 3 della legge 604/66, sotto il profilo del cd. obbligo di repechage (art, 360, n. 3, c.p.c).
Osserva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale, argomentando dalla precedente assunzione di altro dipendente (il L.) pochi mesi prima del licenziamento del M.A. aveva ritenuto non adeguatamente provata l’impossibilit� di repechage, laddove la Corte di Cassazione aveva costantemente evidenziato che la prova della impossibilit� di utilizzazione del lavoratore licenziato in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale poteva essere offerta dal datore di lavoro dimostrando – siccome verificatosi nel caso di specie che i residui posti di lavoro fossero al tempo del licenziamento occupati da altri lavoratori e che successivamente, e per un congruo periodo di tempo, non fosse stata effettuata alcuna nuova assunzione.
Col quinto motivo di ricorso la societ� datoriale lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 3 della legge 604/66, sotto il profilo dell’onere, per il lavoratore, in tema di obbligo di cd. repechage, di dedurre ed indicare specificamente le possibili mansioni alternative ed, in difetto, sull’esclusione dell’onere della prova in capo al datore di lavoro della impossibilit� di adibizione alternativa del lavoratore, posto che quest’ultimo non aveva prospettato in ricorso tale possibilit� e pertanto
non sorgeva a carico del datore di lavoro convenuto l’onere di fornire la prova della concreta insussistenza di tale possibilit�,
Col sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione del’art. 414 cp.c. (art. 360, n 3, cpc).
Rileva la societ� che di conseguenza la Corte territoriale aveva violato la disposizione di cui all’art, 414 c.p.c., avendo affermato la sussistenza dell’onere in capo al datore di lavoro di fornire la prova della impossibilit� di diversa utilizzazione del lavoratore, sebbene lo stesso non avesse dedotto tale questione in sede di ricorso introduttivo del giudizio.
Col settimo motivo del ricorso lamenta omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, anche sotto il profilo della mancata valutazione delle risultanze istruttorie ed omesso esame di documenti prodotti in giudizio (art. 360, n. 5, c.pc).
In particolare rileva che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto la prevalente coincidenza fra le mansioni svolte dal L. e quelle svolte dal M.A. non prendendo in considerazione le prove testimoniali attestanti la diversit� delle mansioni cui gli stessi erano adibiti.
Con l’ottavo motivo di ricorso la societ� datoriale lamenta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 3 della legge 604/66 (360, n. 3, c.p.c),
In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva omesso di valutare se, unitamente al ritenuto intento ritorsivo, il licenziamento del lavorator fosse stato determinato anche dalla persistente crisi economica dell’azienda; ci� in quanto la presenza di altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del giustificato motivo di recesso avrebbe escluso la possibilit� di dichiarare nullo il licenziamento disposto.
Col nono motivo di ricorso lamenta violazione o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 3 legge_108_1990, sotto altro profilo, e dell’art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale, approvate preliminarmente dal codice civile con R.D. 16.31942 n. 262 (art. 360, ri. 3 c.p.c.).
In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato l’applicabilit� dell’art. 3 della legge 108/90 in tema di conseguenze del licenziamento discriminatorio, avendo in realt� ritenuto tale licenziamento “ritorsivo” e non essendo la norma sopra indicata suscettibile di applicazione analogica.
Col decimo motivo lamenta violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1 e 3 del Regio Decreto legge 153.1923 n. 692 e della Tabella di cui all’Allegato 1 del Regio Decreto 6.12.1923 n. 2657 (art. 360, n. 3, c.p.c.),
In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso che le mansioni del M.A. rientrassero fra quelle “discontinue”, argomentando dalla prevalenza dei compiti di addetto al magazzino ed assumendo la tassativit� dell’elenco di cui alla Tabella allegata al RD. 6.12.1923 n. 2657; per contro tutte le attivit� svolte dal lavoratore rientravano nella predetta tabella in quanto “discontinue”.
Con l’undicesimo motivo del ricorso lamenta omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il il giudizio, anche sotto il profilo della mancata valutazione delle
risultanze istruttorie (art. 360, n. 5, c.p.c.).
In particolare rileva che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto il superamento da parte del M.A. delle 40 ore lavorative settimanali argomentando dal contenuto delle dichiarazioni dei testi escussi, i quali per contro nulla avevano riferito in ordine alfa circostanza che tutte le ore trascorse fuori dell’azienda fossero state dedicate ad attivit� e non anche a riposo.
Col dodicesimo motivo lamenta violazione o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 1 e 3 del Regio Decreto – legge 15.3.1923 n. 692 e della Tabella di cui all’Allegato 1 del Regio Decreto 6.12.1923 n. 2657 (art. 360, n. 3, c.p.c.).
Osserva in particolare la societ� ricorrente che la Corte territoriale aveva violato il disposto dell’art. 2697 c.c. in base al quale “chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, non avendo in realt� il M. fornito la prova che tutto il tempo trascorso fuori dell’azienda fosse stato dedicato ad attivit� e non anche a riposo.
il ricorso non � fondato.
Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. lav., 11,6.2004 n. 11124; Cass. sez. lav., 12,6.2002 n. 8396; Cass. sez. lav., 13.11.2001 n. 14093), il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attivit� produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966) deve essere valutato dal datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, poich� tale scelta � espressione della libert� di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione. Al giudice spetta invece il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore attraverso un apprezzamento delle prove che � insindacabile in sede di legittimit� se congruamente motivato. Di conseguenza non � sindacabile nei suoi profili di congruit� ed opportunit� la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto di lavoro cui era addetto il dipendente licenziato, anche se la riorganizzazione sia attuata per la pi� economica gestione dell’impresa, e senza che la necessaria verifica dell’effettivit� delle scelte comporti un’indagine in ordine ai margini di convenienza e di onerosit� dei costi connessi alla suddetta riorganizzazione, con il solo limite del controllo della reale sussistenza delle ragioni poste dall’imprenditore a fondamento delle proprie scelte e della effettivit� e non pretestuosit� del riassetto organizzativo operato.
� stato altres� precisato che in caso di licenziamento per soppressione del posto di lavoro, ai fini della configurabilit� del giustificato motivo oggettivo, grava su datore di lavoro l’onere della prova relativa all’impossibilit� di impiego del dipendente licenziato nell’ambito dell’organizzazione aziendale, con la precisazione che siffatto onere, concernendo un fatto negativo, deve essere assolto mediante la dimostrazione di correlativi fatti positivi, come il fatto che i residui posti di lavoro relativi a mansioni equivalenti fossero, al tempo del recesso, stabilmente occupati, o il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo tasso di tempo non sia stata effettuata alcuna assunzione nella stessa qualifica (Cass. sez. Lavoro 13.10.2008 n. 25043; Cass. Sez. Lavoro 16.05.2003 n. 7717). Nella specie il giudice del gravame ha fatto corretta applicazione di tali principi, pienamente condivisi dal Collegio, sicch� le censure che il ricorrente muove alla sentenza impugnata per violazione della legge n. 604 del 1966 sono manifestamente infondate.
Sotto il primo profilo osserva infatti il Collegio che la Corte territoriale ha rilevato la pretestuosit� del dedotto riassetto organizzativo reso necessario, secondo l’assunto datoriale, dalla crisi economica derivante dalla contrazione degli ordini, evidenziando come siffatta argomentazione si poneva in stridente contrasto con l’assunzione di altro dipendente, avvenuta pochi mesi prima del licenziamento del M.A., adibito in larga parte alle medesime incombenze cui era addetto il ricorrente.
La motivazione si appalesa corretta ove si osservi che la dedotta situazione di crisi aziendale, risalente – per come rilevato dalla stessa societ� che a tal fine aveva prodotto il Mod. Unico relativo agli anni 2001, 2002 e 2003 – agli anni pregressi non pu� essere portata a giustificazione dell’operato licenziamento laddove, in costanza della stessa situazione di crisi, la societ� aveva appena proceduto alla assunzione di altro dipendente destinato allo svolgimento, in gran parte, degli stessi compiti attribuiti al dipendente licenziato.
E pertanto, se pur non corrette e condivisibili devono ritenersi le considerazioni svolte dalla Corte d’appello in merito alla opportunit� di una diversa utilizzazione del dipendente neo – assunto ove si fosse reso effettivamente necessario fronteggiare la suddetta situazione di crisi aziendale, rimane l’argomento di fondo costituito dalla evidente non sussistenza o comunque non conclamata gravit�, della situazione economica aziendale avuto riguardo alla circostanza che tale situazione non aveva impedito l’assunzione di altro dipendente solo pochi mesi prima del licenziamento del lavoratore ricorrente .
In altri termini, pur non essendo sindacabili le scelte imprenditoriali sotto il profilo della congruit� ed opportunit�, ritiene il Collegio, siccome in buona sostanza rilevato dalla Corte territoriale, che la dedotta esigenza di riduzione del personale in considerazione della situazione di crisi aziendale da tempo perdurante (in quanto risalente, alla stregua delle deduzioni di parte datoriale, all’anno 2001) si appalesa chiaramente pretestuosa in presenza dell’assunzione, pochi mesi prima dell’operato licenziamento, di altro dipendente destinato allo svolgimento, in gran parte, degli stessi compiti assegnati al dipendente licenziato.
Sotto l’ulteriore profilo della violazione dell’obbligo di repechage devesi osservare che ogni argomento svolto sul punto nella sentenza impugnata ha carattere comunque aggiuntivo e non essenziale, avuto riguardo alla circostanza che la conferma da parte della Corte d’appello della sentenza del Tribunale in punto di insussistenza del giustificato motivo oggettivo rendeva superfluo l’esame del problema relativo alla possibilit� o meno per l’azienda di una diversa collocazione del lavoratore, atteso che tale problema avrebbe avuto una sua indubbia ed autonoma rilevanza solo ove fosse stata affermata la sussistenza del giustificato motivo (Cass. sez. lav, 102.2000 n. 1466).
Ritiene comunque il Collegio di dover incidentalmente rilevare che l’onere della prova della impossibilit� di utilizzazione del lavoratore licenziato in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale, sotto il profilo che i residui posti di lavoro erano al tempo del licenziamento occupati da altri lavoratori, non pu� certamente essere eluso mediante l’assunzione, a breve distanza di tempo, prima del licenziamento di altro lavoratore con assegnazione allo stesso in maniera prevalente, degli stessi compiti del lavoratore successivamente licenziato.
Quanto poi all’ulteriore rilievo concernente i dedotti vizi di motivazione, sotto il profilo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la prevalente coincidenza fra le mansioni svolte dal M.A. e quelle svolte dal L. non prendendo in considerazione le prove testimoniali attestanti la diversit� delle mansioni cui gli stessi erano adibiti, osserva il Collegio che il giudice di appello ha dato compiuta ragione della propria decisione, desunta dalle prove testimoniali acquisite in corso di causa. Ed invero, in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie, occorre rilevare che il giudice di merito � libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze istruttorie che ritenga pi� attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, a! fine della congruit� della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti considerati nel loro complesso, pur senza una esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non considerati. Si rivelano, di conseguenza, infondate le censure della societ� ricorrente, le quali non tengono conto del costante insegnamento di questa Corte di Cassazione secondo cui il vizio di omessa o errata motivazione deducibile in sede di legittimit� sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non pu�, invece consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte perch� l’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. non conferisce alla Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilit� e la concludenza e scegliere, tra le stesse, quelle ritenute pi� idonee per la decisione (Cass, sez. lav., 20.3.2008 n. 7600; Cass. sez. lav., 8.3.2007 n. 5286; Cass. sez, lav., 15.4.2004 n. 7201; Cass. sez. lav., 7.82003 n, 11933; Cass. sez. lav., 9.42001 n. 5231).
Per tutte le considerazioni sopra svolte i primi otto motivi del ricorso non possono trovare accoglimento.
E’ altres� infondato il nono motivo del ricorso.
Non pu� invero dubitarsi che il licenziamento discriminatorio, sancito dall’art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall’art. 15 della legge_300_1970�e dall’art. 3 della legge n. 108 del 1990, � suscettibile di interpretazione estensiva sicch� l’area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, attuati a seguito di comportamenti risultati sgraditi all’imprenditore, che costituisce cio� l’ingiusta ed arbitraria reazione, quale unica ragione del provvedimento espulsivo essenzialmente quindi di natura vendicativa (Cass. sez. lav. 18.3.2011 n. 6282). A ci� si � pervenuto sia attraverso un’estensione dell’area dei singoli moventi vietati dall’art. 4 della legge n. 604 del 1966, sia consentendo la verifica del motivo illecito che abbia avuto efficacia esclusiva nella determinazione della volont� del recedente (Cass. sez. Iav., 3.5.1997 n. 3). Quindi correttamente la Corte territoriale, ritenuta alla stregua delle deposizioni testimoniali assunte, la natura ritorsiva del licenziamento intimato, ha proceduto all’applicazione del regime sanzionatorio previsto dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970.
Sono infine infondati gli ultimi tre motivi del ricorso.
La Corte territoriale ha invero evidenziato che le mansioni di natura discontinua cui era addetto il M.A. concorrevano con altre prive di tale caratteristica (fra cui, quelle di addetto al magazzino); tale circostanza evidenzia alla radice l’infondatezza delle censure mosse sul punto dalla societ� ricorrente, ove si osservi che la concorrente adibizione del lavoratore sia a mansioni discontinue che a mansioni non aventi tale caratteristica non consente l’applicazione della normativa relativa alle prime.
Ed invero il riferimento ai compiti di “addetto al magazzino” � chiaramente incompatibile con il carattere discontinuo delle ulteriori mansioni svolte e rende, quindi, inapplicabile la disciplina legale di cui all’art. 3 del RDL. n. 692 del 1923 e alla tabella approvata con R.D, 6 dicembre 1923 n. 2657.
Circostanza questa che travolge le ulteriori deduzioni circa la mancanza di prova che tutte le ore trascorse fuori dell’azienda fossero state dedicate ad attivit� e non anche a riposo.
Dovendosi a ci� ulteriormente aggiungere, che, in violazione del principio di autosufficienza, non risulta dal ricorso se tale specifica questione fosse stata sollevata, senza ottenere risposta,
innanzi al giudice di primo grado e al giudice di appello, circostanza questa che, connotando la questione di novit�, la rende inammissibile in questa sede. Ne consegue che neanche sotto questo profilo il ricorso pu� trovare accoglimento.
Il ricorso va pertanto rigettato ed a tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.
A tale pronuncia segue la condanna della societ� ricorrente al pagamento, nei confronti del M.A. delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo; sussistono giusti motivi, rilevato che il contraddittorie istaurato nei confronti dell’lnps ha natura sostanzialmente processuale, per compensare le suddette spese di giudizio nei confronti del detto Istituto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione, nei confronti del M.A. delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in oltre euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; compensa le spese nei confronti dell’lnps.

Depositata in Cancelleria il 03.08.2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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