Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-01-2013) 17-05-2013, n. 21193

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Aosta del 22 gennaio 2009 resa in giudizio abbreviato, che aveva ritenuto L.D.C. responsabile del reato di falso giuramento di cui all’art. 371 c.p., riduceva la pena a quattro mesi di reclusione, sostituendola con la multa di Euro 4.560,00 e condannava l’imputato anche al risarcimento dei danni patrimoniali in favore della costituita parte civile, danni non riconosciuti in primo grado, confermando nel resto la sentenza impugnata in relazione alla pena accessoria, nonchè alla condanna per i danni morali subiti dalla parte civile e alla provvisionale disposta in favore di quest’ultima.

Secondo i giudici di secondo grado l’imputato, nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avrebbe attestato il falso nel giuramento deferitogli da L.P., affermando di avere prestato a quest’ultimo la somma di lire 53.300.000 e di non avere ricevuto la restituzione di una parte di questo prestito, pari a lire 17.767.000, riferendo pure che la scrittura di riconoscimento del debito sottoscritta da L.P. il 24.8.2000 non era simulata e non si riferiva a rapporti diversi intercorsi tra le parti; la prova della falsità viene desunta, soprattutto, dalla testimonianza di E. G., resa al pubblico ministero l’11.6.2007, il quale ha dichiarato che l’assegno sulla base del quale l’imputato ha agito in sede monitoria nei confronti di L.P. gli era stato dato da questi, insieme ad altri due assegni di pari importo, a garanzia del pagamento del debito relativo alla parte del corrispettivo di cessione di un ramo dell’azienda individuale di cui lo stesso imputato era titolare alla Edil Centro s.n.c., di cui erano soci L. P., E. e lo stesso L.D., corrispettivo che non figurava nella scrittura privata di cessione dell’azienda per ragioni fiscali.

Sulle statuizioni civili la Corte territoriale ha precisato come dalla commissione del reato sia comunque derivato un danno morale alla parte civile, che è risultata soccombente nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sottolineando l’irrilevanza del fatto che effettivamente L.P. avesse un debito, seppure per altra causa, nei confronti dell’imputato; inoltre, i giudici hanno riconosciuto anche la sussistenza del danno patrimoniale, costituito dalle statuizioni della pronuncia del giudice civile, escludendo tuttavia la possibilità di quantificarlo.

2. Nell’interesse dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione l’avvocato Giovanni Barney che, con il primo motivo, ha dedotto l’inosservanza dell’art. 192 c.p., comma 2 e art. 533 c.p., comma 1 e il vizio di motivazione.

Si assume che le sentenze di merito sono pervenute all’affermazione della penale responsabilità del L.D. sulla base di un quadro indiziario contraddittorio ed incerto, costituito dalle dichiarazioni del teste E.G., che in dibattimento avrebbe cambiato la versione dei fatti riferiti nel corso delle indagini, senza che i giudici abbiano effettuato alcuna valutazione sulla sua attendibilità, omettendo inoltre di rilevare una serie di contraddizioni dell’ultima versione resa rispetto a dati oggettivi e alle stesse dichiarazioni di L.P..

Il ricorso, oltre a indicare le ritenute contraddizioni della testimonianza dell’ E., sottolinea che quest’ultimo sarebbe stato indotto a cambiare versione dal L.P. ed evidenzia come tra il teste e l’imputato i rapporti si fossero guastati; infine, rileva che anche prendendo in considerazione la seconda dichiarazione dell’ E. si sarebbe dovuta escludere la falsità del giuramento.

Sotto un diverso profilo il ricorrente assume che gli altri elementi indiziari considerati dai giudici di merito non abbiano i caratteri della precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 192 c.p.p., comma 2 e, soprattutto, avrebbero una valenza neutra, essendo conciliabili tanto con la prima quanto con la seconda versione offerta dall’ E..

Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 371 c.p. Si sostiene che il giuramento prestato non fosse falso, anche aderendo alla ricostruzione dei fatti contenuta nelle sentenze, in quanto L.P. era effettivamente debitore dell’imputato delle cifre indicate nella scrittura di riconoscimento del debito dal momento che quest’ultimo aveva fatto credito al L.P. per l’importo corrispondente. Peraltro, viene messo in risalto che l’imputato, al momento in cui ha prestato giuramento, fosse realmente convinto della verità da lui espressa, avendo attribuito natura di prestito ai rapporti economici avuti con L.P., per cui almeno sotto il profilo dell’art. 47 c.p. i giudici avrebbero dovuto escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Con il terzo motivo si contesta la sentenza per avere ritenuto la sussistenza del danno patrimoniale e, conseguentemente, avere condannato l’imputato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio. Secondo il ricorrente non sussiste alcun danno derivante dal reato, in quanto gli stessi giudici hanno ritenuto che le somme fossero effettivamente dovute all’imputato, ma non a causa di un prestito, ma perchè parte di corrispettivo non dichiarato per simulazione relativa.

3. Ha proposto ricorso per cassazione anche la parte civile, per mezzo del suo difensore di fiducia, avvocato Andrea Giunti, deducendo due distinti motivi ai soli effetti della responsabilità civile.

Con il primo motivo si deduce la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla liquidazione del danno morale, in quanto viene ritenuta incongrua la somma di Euro 2.500,00 liquidati con la provvisionale.

Con il secondo motivo si censura la sentenza per non avere quantificato i danni patrimoniali ritenuti comunque sussistenti e per aver respinto la richiesta di provvisionale.

Successivamente il difensore della parte civile ha depositato una memoria difensiva in cui censura il ricorso dell’imputato là dove esclude la sussistenza di un danno patrimoniale e nel merito ne rileva l’inammissibilità.

Motivi della decisione

4. I primi due motivi del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato sono infondati.

4.1. In particolare, con il primo motivo il ricorrente censura la motivazione della sentenza, ma non considera che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.

In conclusione, alla Corte di cassazione non è consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.

Così come non è affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto.

Nella specie, la sentenza ha ritenuto che la responsabilità dell’imputato fosse provata soprattutto dalle dichiarazioni rese da E.G., valutate del tutto attendibili e dando anche una giustificazione logica e coerente del cambiamento di versione, che ha trovato una serie di riscontri che ne hanno corroborato definitivamente la valenza.

4.2. Infondato è anche il secondo motivo, con cui si assume l’erronea applicazione dell’art. 371 c.p..

La sentenza impugnata ha correttamente sottolineato l’irrilevanza dell’obiezione sollevata dal ricorrente circa l’esistenza del debito, rilevando che per la sussistenza del reato non acquisti significato la circostanza che il L.P. fosse comunque debitore di L. D., perchè il reato di falso giuramento si configura per il solo fatto che l’agente abbia giurato il falso su uno o più punti della formula deferitagli, perchè l’antigiuridicità del reato prescinde dal contenuto privatistico del giudizio civile cui l’incombente si riferisce (Sez. 6, 9 giugno 1989, n. 15545, Ameri).

L’altro profilo del motivo, con cui si assume la mancanza dell’elemento soggettivo, oltre a non essere stato proposto in appello, appare generico e apodittico: in ogni caso, la sentenza ha motivato sulla consapevolezza dell’imputato di giurare il falso, desumendolo dalla sua condotta e dalla ricostruzione dei fatti come risultanti dalle dichiarazioni accusatorie del teste E..

4.3. E’ invece fondato il terzo motivo, sebbene per ragioni in parte differenti da quelle rappresentate dal ricorrente.

Nessun dubbio che il reato di falso giuramento possa provocare effetti pregiudizievoli dal punto di vista patrimoniale, oltre che morale: infatti, il danno derivante dal reato di cui all’art. 371 c.p. comprende la totalità degli effetti pregiudizievoli subiti dalla parte soccombente nel giudizio civile per effetto dello spergiuro (Sez. 6, 23 novembre 2010, n. 43437, Toccoli). In particolare, dal reato in questione può derivare anche un danno patrimoniale, tenuto conto che il giuramento decisorio "decide" la causa civile senza alcuna "mediazione" valutativa del giudice, sicchè le conseguenze delle statuizioni della sentenza possono essere considerate danni diretti da reato.

Tuttavia, nel caso in esame la sentenza d’appello ha essa stessa riconosciuto che agli atti non vi è la prova della avvenuta esecuzione della sentenza del Tribunale civile di Aosta del 23.3.2006, pertanto, in mancanza di detta prova non può dirsi che sussista un danno concreto, attuale e, quindi, risarcibile. In altri termini, la mancata dimostrazione della messa in esecuzione della sentenza non giustifica, come hanno ritenuto i giudici d’appello, una condanna generica al risarcimento dei danni, ma fa venir meno lo stesso diritto al risarcimento, per mancanza di un danno patrimoniale derivante dal reato.

Su questo capo la sentenza deve essere annullata senza rinvio.

5. Per quanto riguarda il ricorso della parte civile, la doglianza concernente il danno patrimoniale deve ritenersi superata dall’accoglimento del corrispondente motivo proposto dall’imputato.

Del tutto infondato è il motivo riguardante la quantificazione del danno morale, su cui la Corte territoriale ha già risposto, evidenziando la congruità della somma, determinata equitativamente tenendo presente la gravità del reato; in ogni caso, si tratta di una valutazione di merito, al pari di quella sulla concessione della provvisionale, questioni che non possono essere dedotte in cassazione.

All’infondatezza dei motivi consegue la condanna della parte civile, L.P.G., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna al risarcimento dei danni patrimoniali; rigetta nel resto il ricorso di L.D.C..

Rigetta il ricorso della parte civile, che condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2013

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