Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-08-2012, n. 13872

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Svolgimento del processo
Con sentenza n. 2274 del 2006 il Giudice del lavoro del Tribunale di Torino in accoglimento della domanda proposta da B.V. dichiarava la nullità del termine finale apposto al contratto di lavoro concluso con la s.p.a. P. I. per "esigenze eccezionali" ex art. 8 CCNL 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-97 e succ. per il periodo 28-6-1999/31-7-1999, con la conseguente costituzione di un rapporto a tempo indeterminato dal 28-6-1999, e condannava la società al pagamento delle retribuzioni maturate dal 19-7-2005, detratto l’aliunde perceptum, oltre accessori e spese.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.
La appellata si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 17-10-2007, in parziale accoglimento dell’appello, riduceva la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla notifica del ricorso introduttivo, confermando nel resto la pronuncia di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con un unico motivo.
La B. è rimasta intimata.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società lamenta che la Corte territoriale, violando la L. n. 56 del 1987, art. 23 l’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’accordo 25-9-97 e ai successivi accordi integrativi, erroneamente ha subordinato la legittimità del termine apposto al contratto de quo alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione, dovendo, invece, ritenersi legittimo il termine "anche in assenza della prova del nesso causale tra tali esigenze e la specifica assunzione per cui è causa, non avendo le parti collettive previsto nè voluto tale requisito".
Il motivo non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1- 2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470).
Peraltro la questione, come emerge dalla lettura del ricorso stesso, risulta già ampiamente trattata nel giudizio di merito, avendo la società con l’appello ribadito chiaramente la natura ricognitiva degli accordi attuativi dell’acc. az. 25-9-97.
In specie la decisione impugnata, nella parte in cui ha affermato la illegittimità del termine apposto al contratto de quo, deve ritenersi conforme a diritto anche se la motivazione della sentenza deve ritenersi parzialmente erronea.
In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato per le dette "esigenze eccezionali" dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo.
In tal senso, quindi, va respinto il ricorso, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza, e, non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Infine non deve provvedersi sulle spese non avendo la B. svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012

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