Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 31-01-2013) 16-05-2013, n. 21119

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bari, con sentenza del 2.11.2011, ha confermato la sentenza 4.12.2002 del Tribunale di Trani – Sezione distaccata di Andria, che aveva affermato la responsabilità penale di P.N.in ordine al reato di cui:

– al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, (per avere ceduto a D.G.G. sostanza stupefacente del tipo eroina – acc. il (OMISSIS)) e lo aveva condannato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del P., il quale ha eccepito:

a) carenza di motivazione in punto di affermazione della responsabilità. Nella specie sarebbe ravvisabile soltanto un’ipotesi di illecito amministrativo D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 75, trattandosi di codetenzione e consumo comune di eroina: la sostanza, infatti, sarebbe stata acquistata dall’imputato, su preventivo mandato del D.G., in vista della futura ripartizione;

b) la incongruità del denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;

c) la intervenuta prescrizione del reato.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. L’imputato è stato condannato in quanto i Carabinieri lo hanno sorpreso mentre consegnava al D.G. un involucro contenente la sostanza stupefacente e riceveva come corrispettivo una somma di danaro. Il D.G. ha asserito di avere conferito un preventivo incarico al P. di reperire l’eroina in funzione di un successivo uso comune, ma nessun elemento concreto ha fornito a sostegno di tale assunto in una situazione in cui le modalità di consegna dello stupefacente appaiono ad evidenza indicative di una cessione onerosa configurabile come tipica attività di spaccio.

La motivazione riferita al riconoscimento della responsabilità, nella sentenza impugnata, appare esauriente e corrispondente alle premesse fattuali acquisite in atti, in quanto essa esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce risposte coerenti alle obiezioni della difesa; mentre le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione dei fatti e dell’attribuzione degli stessi alla persona dell’Imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

2. Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità di delinquere dell’imputato.

Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.

Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.

Nella fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge – in carenza di congrui elementi di segno positivo – ha dato rilevanza decisiva ai precedenti penali anche specifici dell’imputato, deducendone logicamente significazioni negative della personalità.

3. il reato non è prescritto.

Essendo l’accertamento intervenuto anteriormente all’8.12.2005 e riguardando la vicenda in esame sostanza stupefacente di cui alla vecchia tabella "i", il delitto contestato – in seguito al riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, – si prescrive nel termine massimo di 15 anni che andrà a scadere il 9.1.2016.

4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese de procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2013

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