Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-08-2012, n. 13871

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 9-1-2007, la Corte d’Appello di Torino confermava la pronuncia n. 3359/2005 del Giudice del lavoro del Tribunale della stessa città, con la quale, in accoglimento della domanda proposta da V.A. nei confronti della s.p.a.

Poste Italiane, era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti per il periodo 11-3- 2000/30-6-2000, per "esigenze eccezionali" ex art. 8 CCNL 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-97 e succ, con conseguente instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato e con condanna della società al pagamento delle retribuzioni non percepite dal 22-4-2004, oltre accessori.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

Il V. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la società lamenta che la Corte territoriale, violando la L. n. 56 del 1987, art. 23 l’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’accordo 25-9-97 e ai successivi accordi integrativi, erroneamente ha subordinato la legittimità del termine apposto al contratto de quo alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione, dovendo, invece, ritenersi legittimo il termine "anche in assenza della prova del nesso causale tra tali esigenze e la specifica assunzione per cui è causa, non avendo le parti collettive previsto nè voluto tale requisito".

Il motivo non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1- 2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470).

Peraltro la questione, come emerge dalla lettura del ricorso stesso, risulta già ampiamente trattata nel giudizio di merito, avendo la società con l’appello ribadito chiaramente la natura ricognitiva degli accordi attuativi dell’acc. az. 25-9-97.

In specie la decisione impugnata, nella parte in cui ha affermato la illegittimità del termine apposto al contratto de quo, deve ritenersi conforme a diritto anche se la motivazione della sentenza deve ritenersi parzialmente erronea.

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato per le dette "esigenze eccezionali" dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo.

In tal senso, quindi, va respinto il primo motivo, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando omessa motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), in sostanza lamenta che la Corte territoriale "ha omesso di pronunciarsi sul licenziamento irrogato all’odierno intimato nel corso dell’ultimo rapporto di lavoro ed in specie sulla idoneità di tale provvedimento a produrre l’estinzione (o la definitiva cessazione) anche dell’eventuale rapporto di lavoro a tempo indeterminato costituitosi tra le parti a seguito della dichiarazione di illegittimità del termine apposto al precedente rapporto di lavoro". In particolare la ricorrente sostiene che non può sostenersi, come fatto dal Tribunale, che tale licenziamento ex art. 2110 c.c. "sarebbe illegittimo dal momento che, una volta accertata l’illegittimità del termine apposto al contratto dell’11-3- 2000, il periodo di comporto utile a giustificare il recesso datoriale, alla luce della conversione del rapporto a tempo indeterminato, sarebbe stato più esteso in quanto commisurato ai 12 mesi previsti dall’art. 40 del vigente ccnl".

Il motivo risulta inammissibile.

Come è stato più volte affermato da questa Corte, "la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione per relationem resa in modo difforme da quello consentito bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue, quindi, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 o 5 anzichè dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile" (v. Cass. 4-6-2007 n. 12952, Cass. 10-12-2009 n. 25825, Cass. 17-12-2009 n. 26598, Cass. 11-5-2012 n. 7268, v. anche Cass. 11-1-2005 n. 375). Del resto nulla avendo disposto al riguardo la sentenza impugnata, in mancanza della deduzione di un error in procedendo, neppure è concesso l’esame diretto degli atti. Per il resto la censura risulta parimenti inammissibile in quanto rivolta contro la sentenza di primo grado e non contro la sentenza di appello (v. Cass. 15-3-2006 n. 5637, Cass. 1-4-1999 n. 3134, Cass. 4-5-1998 n. 4464, Cass. 20-6-1996 n. 5714, cfr. anche Cass. Sez. 1 12-12-2005 n. 27391, Cass. Sez. 1 19-5-2006 n. 11844).

Infine osserva il Collegio che non è stata avanzata alcuna ulteriore censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Pertanto nel caso in esame neppure potrebbe trovare applicazione lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.

A prescindere, infatti, da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va così respinto e, in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore del controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al V. le spese, liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012

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