Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-08-2012, n. 13864

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La Corte:
Rilevato che:
1. la Corte d’appello di Ancona, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in data 17 novembre 1998 da P. I. s.p.a.
con B.L.;
2. per la cassazione di tale sentenza P. I. s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; la lavoratrice ha resistito con controricorso;
3. il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;
4. col primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonchè vizio di motivazione in relazione al mancato accoglimento, da parte della Corte territoriale, dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso in relazione al tempo trascorso tra la scadenza del contratto a termine e la manifestazione della volontà della lavoratrice di ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto;
5. la censura è inammissibile;
secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. 28 luglio 2008 n. 20518; Cass. 12 luglio 2005 n. 14590), ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi a giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa;
nel caso di specie, nel quale la sentenza impugnata non fa esplicito riferimento alla suddetta questione, parte ricorrente si limita ad una allegazione del tutto generica, e quindi inammissibile alla luce dei principi sopra enunciati, concernente l’avvenuta deduzione della eccezione de qua dinanzi alla Corte territoriale;
6. quanto al secondo e terzo motivo di ricorso, con i quali viene denunciata violazione di legge (L. n. 56 del 1987, art. 23; art. 1362 c.c. e segg.) e vizio di motivazione con riferimento alla statuizione con la quale è stata dichiarata l’illegittimità del termine apposto al contratto in esame, osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, alla considerazione che tale contratto è stato stipulato, per esigenze eccezionali … , ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998;
tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione in relazione alla statuizione concernente la nullità del termine apposto al contratto de quo;
al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;
cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.
fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);
7. così respinto il secondo e terzo motivo, osserva il Collegio che, quanto alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, la sentenza impugnata ha condannato la società P. I. al risarcimento del danno determinato con riferimento alle retribuzioni maturate a decorrere dalla costituzione in mora, fissata con riferimento alla data di richiesta di convocazione della commissione di conciliazione;
8. tale statuizione è stata censurata da P. I. s.p.a. col quarto e quinto motivo di ricorso (da esaminare congiuntamente in quanto logicamente connessi) con i quali vengono denunciate violazione di legge e vizio di motivazione; parte ricorrente deduce in particolare che non sarebbe stata fornita la prova del danno subito; la lavoratrice non avrebbe depositato i documenti utili a tal fine, e avrebbe dovuto offrire formalmente la propria prestazione lavorativa, illegittimamente rifiutata dalla parte datoriale;
sussisterebbe violazione degli artt. 210 e 421 cod. proc. civ. in relazione al mancato accoglimento della richiesta di esibizione di documenti (buste paga e libretto di lavoro) finalizzata ad accertare eventuali corrispettivi percepiti dalla lavoratrice da parte di soggetti terzi;
9. entrambe le censure sono inammissibili;
il ricorso per cassazione deve essere articolato su motivi dotati dei caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata; pertanto, poichè per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le argomentazioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, (cfr, ex plurimis, Cass. 3 agosto 2007 n. 17125; Cass. 24 febbraio 2004 n. 3612); inoltre il ricorrente che denuncia il vizio o la carenza di motivazione per omesso esame di documenti decisivi ha l’onere di indicare, ai fini della corretta proposizione della censura, i singoli documenti che assume essere stati trascurati o valutati insufficientemente o illogicamente, riproducendo nel ricorso il tenore esatto del documento il cui omesso o inadeguato esame è censurato (cfr, ex plurimis, Cass. 25 agosto 2006 n. 18506);
la ricorrente non ha rispettato tali principi, atteso che: a. il rilievo della necessità da parte del lavoratore della prova del danno trascura del tutto di considerare che la Corte territoriale ha espressamente valorizzato l’atto con cui la parte datoriale è stata vanamente messa in mora e sulla base del quale la lavoratrice ha quindi provato il fondamento della propria pretesa; b. non è stato tenuto conto del fatto che gli effetti risarcitori sono stati appunto fatti decorrere dalla data di messa in mora; c. non è stato riprodotto in ricorso il contenuto dell’atto sulla base del quale si è concretizzata la messa in mora, vanificando con ciò in radice qualsivoglia spunto critico inerente ad eventuali vizi di motivazione sul punto; d. quanto all’aliunde perceptum, l’assiomatica affermazione secondo cui dovrebbe essere onere della lavoratrice dimostrare di non essere stata occupata nel periodo in questione, non offre alcuna ragione critica della (in tesi) erronea applicazione del generale principio dell’onere della prova; e. l’ordine di esibizione della prova (invocato dalla ricorrente) costituisce l’espressione di una facoltà discrezionale che l’art. 210 c.p.c., comma 1, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto a specificare le ragioni per le quali egli ritiene di avvalersene; con la conseguenza che il mancato esercizio di detta facoltà non può essere oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (cfr. altresì Cass. 9 gennaio 2007 n. 209);
10. deve infine escludersi l’applicabilità, al caso di specie, dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, dall’art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010, del seguente tenore:
Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo una indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, in presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.
Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 c.p.c.;
11. va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; in particolare, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nei giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che essi siano ammissibili; quest’ultimo requisito non ricorre, per le ragioni sopra indicate, nel caso di specie, con la conseguenza che deve escludersi l’applicabilità nel presente giudizio del ricordato ius superveniens;
12. il ricorso va pertanto respinto; in applicazione del criterio della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3000,00 per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012
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