Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-01-2013) 10-05-2013, n. 20190

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 10 maggio 2007 il GUP del Tribunale di Reggio Calabria, all’esito di giudizio abbreviato, assolveva I. V. e M.G., imputati in concorso: A) del reato di cui all’art. 423 c.p., per aver cagionato un incendio di apprezzabili /proporzioni che coinvolgeva un’autovettura ed un motociclo di proprietà di L.C.D., comandante della stazione CC. di San Roberto, nonchè l’autovettura di servizio e l’immobile ove era allocato il presidio dell’arma, B) del reato di cui all’art. 635 c.p. comma 2, per il danneggiamento di beni pubblici (autovettura ed uffici detti), C) del reato di cui all’art. 635 c.p. per il danneggiamento dei restanti beni (autovettura e motociclo privato), fatti accaduti in (OMISSIS), tra le 0,15 e le 0,20 del 17 ottobre 2006. Con la medesima sentenza il GUP condannava alla pena di anni uno, previa concessione delle generiche e con la diminuente del rito, l’ I., giudicato colpevole del reato di resistenza e minaccia a pubblico ufficiale.

I fatti di causa venivano in tal guisa ricostruiti: dopo la mezzanotte del (OMISSIS) il comandante della stazione dei CC. di San Roberto, allertato da vicini, constatava che la sua autovettura, parcheggiata nei pressi della caserma, era stata data alle fiamme e che il fuoco aveva attinto la porta di ingresso, l’automezzo di servizio ed il motociclo dello stesso comandante. In seguito alla immediata visione di quanto ripreso dalle videocamere poste all’esterno della stazione, sia L.C.D., comandante della stessa, sia il m.llo L.D. riconoscevano la persona ripresa, tra le 0,15 e le 0,20, impegnata nelle condotte poi contestate, nell’ I., il quale veniva immediatamente rintracciato nei pressi dell’autovettura data alle fiamme tra le persone che si erano raccolte sul posto per seguire l’insolito evento. L’ I. indossava un giubbotto analogo a quello indossato dall’attentatore ripreso come innanzi ed il capo di abbigliamento emanava, a giudizio degli operatori, un forte odore di benzina.

Veniva eseguita una immediata perquisizione domiciliare presso l’abitazione dell’ I., nel corso della quale l’imputato indirizzava nei confronti del m.llo L.D. le frasi di minaccia e di insulto di cui all’imputazione di resistenza e minaccia, venivano raccolte le prime dichiarazioni dell’ I. e del M. sui rispettivi movimenti nella serata interessata dai fatti, venivano acquisiti gli accertamenti del RIS confermativi della presenza di tracce di liquido infiammabile sul giubbotto indossato dall’ I. la notte degli accadimenti di causa, ed i tabulati delle telefonate eseguite quella notte dagli imputati e veniva, infine, raccolta la testimonianza di B.V., gestore del bar di Fiumara dove, intorno alla mezzanotte, i due imputati avrebbero fatto ingresso per poi uscirne dopo circa un quarto d’ora dal passaggio di una volante e dei VV.FF diretti sul luogo dell’incendio.

L’intero quadro indiziario veniva ritenuto insufficiente, come innanzi anticipato, dal giudice di prime cure, per provare con la necessaria certezza la riferibilità agli imputati dei reati di incendio e danneggiamento in considerazione, soprattutto, della scarsa qualità delle riprese della videosorveglianza, della non piena affidabilità, per questo, del riconoscimento dei due carabinieri e della natura meramente indiziaria delle ulteriori acquisizioni. Il giudice di prime cure riteneva viceversa pienamente provata la colpevolezza dell’ I. in ordine al reato di cui all’art. 337 c.p., la cui condotta peraltro non era stata negata ma giustificata dall’imputato come reazione ad una ritenuta prevaricazione della p.o..

2. Sull’impugnazione del P.M., il quale si doleva della immotivata minimizzazione del quadro probatorio offerto dal processo e sul gravame della stessa difesa, la quale insisteva invece per una assoluzione degli imputati, dai reati contestati in concorso, ai sensi del primo e non dell’art. 530 c.p.p., comma 2 e per la non punibilità dell’ I. in ordine al reato di resistenza, in applicazione dell’esimente del D.Lgs. n. 288 del 1944, art. 4, salva per questo la riduzione di pena con sospensione condizionale, la Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 26 gennaio 2012, in radicale riforma di quella appellata, dichiarava gli imputati colpevoli dei reati loro ascritti e per l’effetto li condannava, concesse le attenuanti generiche e riconosciuta la continuazione, alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ciascuno per i reati di incendio e danneggiamento, confermando nel resto la condanna dell’ I. alla pena di anni uno per il reato di resistenza, escluso dall’applicazione della disciplina di cui all’art. 81 c.p..

A sostegno della decisione la corte di merito valorizzava: a) il riconoscimento eseguito nella immediatezza dei fatti dai militari della stazione di San Roberto, i quali ebbero ad individuare, in termini di sufficiente certezza, rimetti, a loro già noto ancorchè incensurato, dall’andatura, dall’altezza bassa, dalla corporatura leggermente robusta e da un atteggiamento personale noto agli operatori, precisamente quello di tenere la mano destra all’altezza della tasca dei pantaloni; b) la presenza sui luoghi degli accadimenti degli imputati; c) il giubbino indossato in questi frangenti dall’ I. del tutto "compatibile" per modello, caratteristiche e colore con quello indossato dalla persona videoripresa; d) l’odore di benzina percepito su di esso dagli operatori; e) gli accertamenti del RIS relativi alla presenza di tracce di liquido infiammabile su tale giubbotto; f) la falsità dell’alibi prospettato dagli imputati; g) le ammissione dei due imputati di essere stati insieme quella sera e la circostanza che insieme furono poi controllati a guardare cosa fosse accaduto; h) la circostanza che l’autovettura del M. sia risultata lavata nella immediatezza dei fatti e profumata pesantemente al suo interno, circostanza negata dall’interessato contro l’evidenza dei fatti ed ammessa dallo stesso soltanto in relazione al parabrezza; i) le risultanze dei tabulati telefonici relativi all’utenza del M., che provano la loro presenza a San Roberto e non a Fiumara al momento dei fatti.

In riferimento alla ritenuta falsità dell’alibi ha la Corte osservato che i fatti di causa avvennero tra le 0,15 e le 0,20, che il gestore del bar di Fiumara dove gli imputati affermano di essersi trattenuti fino al passaggio del VV.FF. ha dichiarato che i due imputati andarono via verso le 0,15 e comunque prima del passaggio dei VV.FF., che i VV.FF. partirono dalla loro caserma alle 0,30 per arrivare sul luogo dell’incendio alle 0,55.

3. Ricorrono per cassazione avverso la sentenza di secondo grado entrambi gli imputati, assistiti dal comune difensore di fiducia, il quale nel loro interesse sviluppa sei motivi di impugnazione.

3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente falsa applicazione degli artt. 533 e 192 c.p.p. e difetto di motivazione sul punto in particolare deducendo:

– la corte di merito ha dedotto la presenza comune degli imputati sul luogo in cui si consumavano le condotte di danneggiamento ed incendiarie, dal riconoscimento dell’ I. da parte dei militari della stazione dei CC, riconoscimento caratterizzato da un "sufficiente margine di certezza"; dal giubbotto indossato dall’ I. stesso perchè "compatibile" con quello del colpevole videoregistrato; dalla circostanza che i due imputati si trovassero vicino al luogo dell’incendio; dalla contraddittorietà e falsità dell’alibi;

– trattasi di elementi contraddittori i quali di fatto escludono la "ragionata certezza" della responsabilità degli imputati;

– il riconoscimento valorizzato dal giudice territoriale di secondo grado è presunto, giacchè non vi è mai stato reale riconoscimento, posto che le riprese della videosorveglianza sono state giudicate dallo stesso RIS "pessime" ed in considerazione del fatto che il riconoscimento stesso non ha riguardato le sembianze, ma l’andatura, l’altezza, la corporatura, poi riferite ad un incensurato che si assume attenzionato dalle forze dell’ordine;

– il giubbotto ha rilevanza solo perchè "indumento compatibile";

– rimane la presenza dei due imputati sul luogo del delitto, circostanza comune a molti altri presenti con loro in quel momento;

– a tanto la difesa ha opposto il dato certo che gli imputati, all’ora del delitto (0,16 – 020) si trovavano presso il Bar di Fiumara di Muro, comune diverso e distante da San Roberto, alibi confermato dal gestore del bar;

– il processo pertanto ha acquisito due distinte, possibili ed alternative ipotesi, equi – probabili, tra le quali la corte territoriale ha scelto la prima pur in presenza di dati certi confermativi della seconda.

3.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in ordine alla valutazione delle prove acquisite al processo, in particolare tra quelle a carico e quelle a discarico, delibate in forza di non uniformi criteri, da un parte, infatti, il riconoscimento da immagini di pessima qualità, l’indumento indossato dal colpevole videoregistrato, l’odore di benzina promanante dal giubbotto indossato dall’ I., dati estremamente valorizzati e, dall’altra, la consulenza tecnica difensiva sulla possibilità di trovare tracce di benzina sui vestiti di persona stando vicino a tubi di scarico o vicino ad un distributore di carburate ovvero la certa presenza alle 0,15 degli imputati a chilometri di distanza dal luogo del delitto.

3.3 Col terzo motivo di doglianza censura la difesa ricorrente, anche sotto il profilo della inosservanza di norma processuale, la motivazione impugnata la quale, in quanto a sostegno di pronuncia radicalmente contraria a quella appellata, avrebbe dovuto dimostrare, come da insegnamento di questa corte di legittimità nella sua più autorevole composizione (la difesa cita la nota sentenza 3732/2005, ss.uu., ric. Mannino) "l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti rilevanti della sentenza di primo gradò".

Deduce al riguardo la difesa istante che a fronte della denunciata impossibilità del primo giudice di ricondurre all’ I. le sembianze dell’attentatore ed alla rilevata caratterizzazione, sempre del giudice di prime cure, di mera possibilità indiziaria delle conclusioni accusatorie, la corte di appello nulla ha argomentato se non la conferma del quadro indiziario del processo poi ritenuto sufficiente per il giudizio di colpevolezza. Peraltro senza nulla motivare in ordine alla dichiarazione del barista in ordine all’alibi degli imputati. V’è, è vero, una valorizzazione di dati desunti dai tabulati telefonici, i quali però non considerano che, attese le distanze non rilevanti e la collocazione dei ripetitori, da Fiumara di Muro si possono agganciare le celle di San Roberto e che questo è possibile con il gestore telefonico utilizzato dal M.. Di tanto è stata tentata la dimostrazione probatoria nel corso del giudizio attraverso il deposito di documenti, considerati però inutilizzabili dal giudice di merito. Del pari del tutto equivoco si appalesa l’indizio collegato al lavaggio dell’autovettura.

3.4 Col quarto motivo di impugnazione denuncia ancora la difesa ricorrente violazione dell’art. 419 c.p.p., comma 2 e difetto di motivazione sul punto per la mancata assunzione di documenti depositati dalla difesa rilevanti per la valutazione probatoria compiuta dal giudice di appello, in particolare deducendo l’utilizzabilità, ai sensi della norma richiamata, della documentazione depositata il 13.4.2007, eppertanto successivamente al deposito della richiesta di rinvio a giudizio ma prima della celebrazione della udienza preliminare, documentazione relativa alla presenza di ripetitori Vodafone nei pressi di San Roberto ed all’assenza di essi nel Comune di Fiumara. Il giudice di merito si è attardato sulla natura di atti di indagine difensiva di quei documenti e della intempestività del loro deposito, senza nulla opinare circa la loro utilizzabilità di ufficio, in quanto documenti amministrativi, da parte dei giudicanti.

3.5 Col quinto motivo di impugnazione deduce la difesa ricorrente violazione di legge e difetto totale di motivazione in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, sulla quale la corte territoriale nulla ha detto, nonostante abbia sovvertito l’assoluzione di prime in cure in condanna, omissione ancora più rilevante se posta in relazione alla esplicita richiesta avanzata in relazione alla posizione dell’ I., condannato in prime cure per il reato di resistenza.

3.6 Col sesto ed ultimo motivo di ricorso si duole la difesa ricorrente, denunciando i profili della violazione di legge, della inosservanza della legge processuale e del difetto di motivazione, per il mancato riconoscimento della esimente di cui al D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4, della omessa applicazione del vincolo della continuazione anche al reato di resistenza dopo averlo applicato per le altre condotte giudicate e tanto senza spiegarne le ragioni.

4. Sono fondati il terzo ed il quarto motivo di ricorso, nei limiti che si passa ad esporre.

4.1.1 Prendendo le mosse dal terzo motivo di censura, va rammentato, sul piano dei principi, l’insegnamento di questo giudice di legittimità, nella sua più autorevole espressione, secondo il quale l’appello del P.M. contro la sentenza di assoluzione emessa all’esito del dibattimento, salva l’esigenza di contenere la pronuncia nei limiti della originaria contestazione, ha effetto pienamente devolutivo, attribuendo al giudice "ad quem" gli ampi poteri decisori previsti dall’art. 597 c.p.p., comma 2, lett. b). Di qui, sempre secondo la lezione ermeneutica delle ss.uu. della Corte, una duplice conseguenza: da un lato, l’imputato è rimesso nella fase iniziale del giudizio e può riproporre, anche se respinte, tutte le istanze che attengono alla ricostruzione probatoria del fatto ed alla sua consistenza giuridica; dall’altro, il giudice dell’appello è legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, con l’obbligo, se determinatosi alla riforma totale della decisione di primo grado, di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Cass., Sez. Unite, 12/07/2005, n. 33748; Cass., Sez. 6, 29/04/2009, n. 22120; Cass., Sez. 4 Sent, 07/07/2008, n. 37094).

4.1.2 Nel caso in esame non può non rilevarsi che la corte distrettuale ha articolato la motivazione senza neppure esporre le ragioni in forza delle quali in prime cure il giudicante aveva concluso per l’assoluzione degli imputati, limitando il richiamo della sentenza appellata esclusivamente al giudizio valutativo finale circa il compendio probatorio. Quanto poi alle singole emergenze indiziarie, la corte territoriale argomenta al fine di dimostrarne la valenza positiva ignorando del tutto le ragioni per le quali ritiene di sovvertire le contrarie delibazioni di prime cure in ordine alla inaffidabilità del riconoscimento televisivo dell’imputato (escluso in quella fase processuale), alla significatività indiziaria del giubbotto indossato dall’imputato in termini di compatibilità con quello ripreso dal circuito televisivo interno, all’alibi confermato dal B., alla certissima non riferibilità al M. del pur labile indizio della videoripresa.

Di qui la necessità di cassare la pronuncia impugnata, nei limiti della condanna per i reati di incendio e danneggiamento, con rinvio ad altra sezione del giudice di appello affinchè, in piena libertà di giudizio, qualora si determini nel senso di una piena riforma del giudizio di prime cure, provveda, secondo superiore insegnamento, ad indicare specificamente le ragioni giustificative della decisione, dando conto della diversa valutazione indiziaria del medesimo materiale istruttorio delibato dal giudice di primo grado.

4.2 L’accoglimento del terzo motivo di censura, nei termini appena definiti, assorbe le doglianze difensive sviluppate con il primo, il secondo, ed il quinto motivo.

4.3 Fondato, come già innanzi anticipato deve valutarsi, altresì, il quarto motivo di impugnazione.

Ha avuto modo questa Corte di legittimità di chiarire ed affermare il principio secondo cui, in tema di giudizio abbreviato, sono utilizzabili ai fini della decisione i risultati delle indagini difensive prodotti nel corso dell’udienza preliminare, considerato che il principio della continuità investigativa trova applicazione anche con riguardo alla parte privata, con la conseguenza che – in virtù del combinato disposto dell’art. 327 bis c.p.p., comma 2, art. 442 c.p.p., comma 1 bis, art. 419 c.p.p., comma 3, art. 421 c.p.p., comma 3 e art. 391-octies c.p.p. – le indagini difensive possono essere svolte in qualsiasi stato e grado del procedimento, costituire oggetto di indagini suppletive ed essere prodotte "in limine" e nel corso dell’udienza preliminare, fatto salvo il diritto delle controparti di esercitare il contraddittorio sulla prove non oggetto di preventiva "discovery" (Cass., Sez. 5, 10/04/2006, n. 23706, rv.

235186; Cass., sez. 3, 11.2.2009, n. 15236, rv. 243382).

Illegittimamente pertanto ha la corte distrettuale dichiarato inutilizzabili gli esiti delle indagini difensive depositate dalla difesa ricorrente prima della celebrazione dell’udienza preliminare, salvo il diritto alla prova contraria del P.M..

5. Infondato si appalesa, viceversa, il sesto motivo di impugnazione, relativo alla condanna per il reato di resistenza e minaccia a pubblico ufficiale ed al mancato riconoscimento della continuazione tra questo reato e gli altri per cui è causa. Quanto al primo punto osserva la Corte che la difesa oppone una lettura alternativa dei fatti di causa rispetto alla diffusa motivazione articolata dai giudici di merito, soprattutto quello di prime cure, i quali hanno escluso in essi, motivatamente, ogni circostanza riferibile alla esimente disciplinata dal D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4, di poi valorizzando le stesse dichiarazioni confessorie dell’imputato I. sullo svolgimento degli accadimento. Si duole altresì la difesa ricorrente della mancata valutazione di un atteggiamento provocatorio delle pp.ll., peraltro sostenuto in termini apodittici e francamente incompatibile nella fattispecie con la motivata regolamentazione della predetta esimente. In relazione, invece, al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione, rileva il Collegio che va in proposito ribadita l’ormai consolidata giurisprudenza (Cass., sez. 1, 12.05.2006, n. 35797 tra le tante) secondo cui la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee. Tanto premesso, del tutto logicamente ha escluso la corte di merito, senza darne atto nella motivazione attesa l’evidenza oggettiva dei fatti, la continuazione tra incendio e danneggiamento da una parte e resistenza dall’altro, dappoichè è del tutto irragionevole concepire che gli imputati, all’esito della programmata azione incendiaria, abbiano previsto, seppur a grandi linee, che vi sarebbe stata una perquisizione nel cui ambito si sarebbe poi consumata l’azione delittuosa della resistenza.

P.Q.M.

la Corte, annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati di incendio e danneggiamento e rinvia per nuovo giudizio sui relativi capi ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.

Rigetta nel resto il ricorso di I.V..

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2013

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