Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-08-2012, n. 13860

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Svolgimento del processo

S.G., titolare, a seguito del decesso della moglie, di un trattamento pensionistico composto di una pensione diretta di anzianità VO e una integrata di reversibilità SO, entrambe a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria, oltre a una pensione di reversibilità integrativa PI a carico del fondo integrativo ex Consorzio Autonomo del Porto di Genova, ha lamentato l’erroneità della ricostruzione operata dall’Istituto riguardo alla pensione integrativa PI in suo godimento.

Ha convenuto, quindi, l’INPS dinanzi al Tribunale di Genova chiedendo il ripristino del trattamento pensionistico in precedenza erogatogli, determinato mediante detrazione della quota di pensione SO a carico dell’AGO dalla pensione integrativa a carico del fondo CAP sulla base dell’importo effettivamente percepito (quest’ultimo pari, per effetto dell’applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 41 al 50% di quello in astratto liquidato, a sua volta determinato nella misura del 60% del trattamento originariamente spettante al coniuge).

Con sentenza del 29/8/2006 il Giudice di prime cure ha accolto la domanda, dichiarando l’illegittimità del provvedimento di ricostituzione della pensione integrativa PI e condannando l’INPS al ripristino del trattamento in precedenza erogato, oltre al pagamento delle differenze maturate in favore del ricorrente.

A seguito di appello dell’INPS, la Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 1/7-26/8/2009, ha riformato la pronuncia di primo grado, respingendo le domande avanzate dallo S. nei confronti dell’Istituto.

La Corte territoriale ha interpretato l’art. 10 delle norme transitorie sul trattamento di pensione del personale consortile, disciplinante i casi di bilateralità di pensione integrativa a carico del Fondo e AGO integrata, nel senso che l’"importo dell’altra pensione" da portare in detrazione dalla pensione consortile è quello liquidato a titolo di secondo trattamento pensionistico e non quello effettivamente corrisposto, essendo quest’ultimo soggetto a variabili che non possono avere ingresso nella fase di calcolo della pensione, ma esclusivamente al momento della concreta erogazione.

Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione lo S., formulando due motivi d’impugnazione. L’INPS resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 414, 434 e 437 c.p.c., in ragione della mancanza nell’atto d’appello dell’esposizione specifica e chiara degli elementi di diritto su cui si fonda la pretesa.

Osserva che il tenore di un’ordinanza emessa nel corso del processo di secondo grado, contenente l’invito alle parti a predisporre "prospetti riepilogativi con i quali esplicitare in modo chiaro e con riferimento alle norme prese in considerazione, i metodi di calcolo del trattamento pensionistico oggetto di causa, come determinato dall’INPS e come proposto dallo S.", rendeva palese che l’appello fosse incomprensibile e, pertanto, inammissibile, non essendo il difetto originario sanabile ex post a mezzo di note illustrative.

Rileva la Corte che il motivo è inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza. Non risultano, infatti, indicate in maniera adeguatamente specifica, anche mediante riproduzione del contenuto dell’atto o di parte di esso, le asserite carenze dell’appello, nè tale allegazione può desumersi in via indiretta dal contenuto della richiamata ordinanza istruttoria, la quale non riproduce il tenore dell’atto di parte. In tale situazione trova applicazione il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte, in forza del quale è necessario che nel contesto dell’atto d’impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili perchè il giudice di legittimità possa avere, senza ricorrere ad altre fonti o atti del processo, una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, e ciò a pena d’inammissibilità dell’impugnazione medesima (si veda per tutte Cass. 16315/2007: "Ai fini della sussistenza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto a pena di inammissibilità per il ricorso per cassazione dall’art. 366 cod. proc. civ., è necessario che nel contesto dell’atto di impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili perchè il giudice di legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti. In altri termini, è indispensabile che dal contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione").

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 delle norme transitorie sul trattamento di pensione del personale consortile, che si esprime nei termini che seguono: "il dipendente che, oltre alla pensione consortile, abbia maturato il diritto ad altra pensione non potrà percepire complessivamente un importo superiore a quello cui avrebbe diritto se avesse prestato attività lavorativa alle dipendenze del CAP per i periodi utili ai fini del calcolo delle due pensioni, con esclusione dei periodi coperti da contribuzione volontaria.

A tal fine il calcolo della pensione consortile verrà convenzionalmente effettuato sulla base dell’anzianità maturata presso il CAP integrata da quella antecedente, fino ad un massimo di 40 anni.

Dalla pensione consortile così calcolata verrà posto in detrazione l’importo di altra pensione, esclusa la parte relativa ai periodi coperti da contribuzione volontaria.

La detrazione di cui al precedente comma è effettuata fino alla concorrenza del complessivo trattamento".

Occorre premettere che il vizio denunciato rientra astrattamente nella violazione di legge, essendo le citate norme transitorie, ancorchè contenute in un Decreto Ministeriale, espressamente richiamate dalla L. n. 26 del 1987, art. 35.

Ciò posto, assume il ricorrente che, poichè la pensione AGO in suo godimento, da detrarre da quella consortile per effetto della norma richiamata, è in concreto ridotta del 50% per effetto dell’applicazione della L. n. 355 del 1995, art. 1, comma 41, sub 1, il citato art. 10 non può che essere interpretato nel senso che la detrazione debba riguardare l’importo effettivamente percepito e non il trattamento liquidato, e ciò sia per ragioni di ordine testuale (l’espressione in esso contenuta nella parte finale "la detrazione … è effettuata fino alla concorrenza del complessivo trattamento" sembra riferirsi all’importo effettivamente erogato), sia per ragioni attinenti all’interpretazione sistematica e conforme a ratio della norma, da intendersi nell’accezione più favorevole per il titolare del trattamento pensionistico.

Evidenzia, inoltre, che nella motivazione della sentenza è rilevabile una contraddizione, giacchè in essa si afferma che l’interpretazione della norma è "in senso favorevole al pensionato", laddove il calcolo effettuato dall’istituto conduce a un risultato di segno contrario, posto che per il ricorrente sarebbe più vantaggioso rinunciare del tutto alla pensione SO erogata dall’AGO, piuttosto che subire la detrazione della medesima dal trattamento consortile nella misura calcolata dall’INPS. Le censure sono infondate, mentre si appalesa corretto il principio affermato nella sentenza impugnata.

L’importo da considerare in caso di cumulo di trattamenti pensionistici ai fini della detrazione dalla pensione consortile, nei termini indicati dal citato art. 10, non può essere costituito dalla somma in concreto corrisposta al beneficiario. Tale importo, infetti, è condizionato da ragioni contingenti connesse all’ammontare del reddito al momento percepito dal soggetto e, pertanto, è mutabile nel tempo. Di conseguenza, esso non può costituire parametro adeguato ai fini del computo del trattamento pensionistico, computo che richiede l’utilizzo di criteri oggettivi di determinazione non suscettibili di variazione in ragione di elementi transeunti.

Ne discende che la detrazione da operare ai sensi dell’art. 10 non potrà che riguardare la pensione AGO in godimento da parte del soggetto nel suo importo astrattamente liquidabile, conformemente al calcolo effettuato dall’Inps e contestato dal M..

All’interpretazione seguita dalla Corte di merito non si contrappone una critica rilevante da parte del ricorrente, il quale, per un verso, fa ripetuto riferimento in termini percentuali, senza alcuna pertinenza con l’oggetto della decisione, all’importo della pensione diretta goduta, per altro verso pretende di trarre argomenti a proprio favore dall’espressione contenuta nel menzionato art. 10, u.c. il quale stabilisce che "la detrazione di cui al precedente comma è effettuata fino alla concorrenza del complessivo trattamento", trascurando di considerare che non si ravvisano argomenti testuali o logici idonei a ricondurre il suddetto riferimento testuale al trattamento in concreto erogato piuttosto che a quello liquidato.

Neppure è rilevabile una contraddizione rispetto alle conclusioni cui perviene la decisione nell’argomentazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui l’importo di pensione AGO da detrarre dalla pensione PI complessiva è calcolato "in senso favorevole al pensionato, perchè sulla pensione AGO da detrarre non incidono i contributi volontari".

La considerazione, infatti, attiene ad aspetto del computo del trattamento pensionistico differente da quello censurato, specificamente contemplato dal penultimo comma dell’art. 10 citato (con norma di favore per il beneficiario perchè comportante una riduzione sulla detrazione), in forza del quale dall’importo del trattamento pensionistico posto in detrazione va "esclusa la parte relativa ai periodi coperti da contribuzione volontaria", e ciò a prescindere dalla somma considerata ai fini della detrazione (importo virtualmente liquidato o effettivamente corrisposto).

In base alle svolte argomentazioni l’impugnazione va rigettata.

Nulla deve disporsi per le spese dell’intero processo ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 269 del 2003 (convertito dalla L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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