Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2013) 09-05-2013, n. 20079

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 1.6.2012 il Tribunale di Reggio Calabria – Sez. riesame, rigettava l’appello proposto da B.V. avverso il provvedimento del GIP che aveva rigettato istanza di revoca della misura cautelare del sequestro preventivo disposto con le ordinanze del 27.6.11 e del 19.10.11, in riferimento all’impresa individuale e relativo patrimonio aziendale intestata a B.V. C.. Tali beni erano stati sottoposti al sequestro in quanto si riteneva che la ditta fosse solo fittiziamente intestata al predetto B. e nella disponibilità effettiva del fratello D., indagato nel procedimento penale n. 7734/10 della DDA – Il Tribunale aveva ritenuto correttamente applicato il provvedimento cautelare, che aveva confermato a seguito di istanza di riesame, ex art. 309 c.p.p. in data 25.11.2011. A seguito del riesame era intervenuta l’istanza difensiva tendente alla revoca della misura, e la difesa aveva esibito – innanzi al Tribunale adito per l’appello avverso ordinanza di rigetto emessa dal GIP – documentazione attestante la cessione del ramo di azienda ed i relativi pagamenti, eseguiti dal B.V.. Tale documentazione era stata ritenuta inadeguata al fine di rivelare l’effettiva e legittima titolarità dei beni in capo al richiedente.

Avverso l’ordinanza in esame proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo:

1 – la violazione dell’art. 125 c.p.p. in riferimento alla mancata motivazione sulla configurabilità del presupposto del sequestro preventivo, e particolarmente del "periculum in mora".

2 – Censurava altresì l’ordinanza rilevando che il giudice dell’appello aveva omesso di motivare in ordine alla mancanza di una lecita disponibilità finanziaria da parte del B. per l’acquisto della azienda, e della esistenza di una sproporzione tra le risorse economiche documentate dal consulente di parte, e il valore dei beni acquisiti.

– In base a tali elementi il ricorrente riteneva che il provvedimento si presentasse in contrasto con l’art. 321 c.p.p., evidenziando che incombe sul PM l’onere di dimostrare l’esistenza dei presupposti che legittimano l’applicazione del sequestro preventivo dei beni intestati ad un terzo non indagato.

Con motivi nuovi la difesa reiterava censure di violazione dell’art. 125 c.p.p., lamentando che il Tribunale non aveva reso spiegazioni circa la presunta fittizia intestazione dell’azienda di cui al provvedimento impugnato.

Per tali motivi chiedeva dunque l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi manifestamente privo di fondamento.

Preliminarmente va disattesa la censura riguardante la mancata motivazione sui presupposti di applicazione della misura cautelare, atteso che il giudice di appello – come è dato desumere dal testo del provvedimento impugnato, a fl. 2 e seg., ha adeguatamente motivato sulla inconsistenza della documentazione esibita dalla difesa, tendente a dimostrare la legittimità del trasferimento del bene sottoposto al vincolo ex art. 321 c.p.p., puntualmente verificando che le ricevute di pagamento erano prive di data certa e che per i pagamenti in contanti mancava l’indicazione di una causale, come illustrato a fl. 3 – soffermandosi altresì sulla verifica degli estratti conto, prodotti dalla difesa attestanti trasferimento di somme dall’ indagato a favore del fratello D..

Alla stregua di tali rilievi deve ritenersi rispondente al disposto dell’art. 125 c.p.p. l’ordinanza de qua, nella quale deve ritenersi inclusa la valutazione del fumus delicti – essendo stata stigmatizzata la inadeguatezza della documentazione esibita a sostegno del gravame al fine di smentire il carattere fittizio della intestazione dei beni al terzo che ne risulta avere acquisito la titolarità.

D’altra parte, in riferimento alle deduzioni articolate con i motivi nuovi, deve osservarsi che resta preclusa a questa Corte la rivalutazione del merito del provvedimento, restando improponibili censure relative ai vizi della motivazione dei provvedimenti di sequestro, suscettibili di essere valutati unicamente in relazione ai vizi di violazione di legge.

2 – deve inoltre rilevarsi la manifesta infondatezza delle censure difensive con le quali si assume che grava sul PM l’onere di dimostrare l’esistenza delle condizioni sulle quali si rende applicabile il sequestro di cui all’art. 321 c.p.p., dovendo evidenziarsi al riguardo che, nell’esame dell’istanza di revoca della misura, l’oggetto del gravame resta delineato in base alle deduzioni di parte interessatacene quali deve essere valutata la pertinenza e rilevanza ai fini della caducazione del vincolo cautelare. Su tali punti deve ritenersi perfettamente adeguata, secondo i precedenti rilievi, la motivazione del provvedimento impugnato, che vale ad escludere la configurabilità di un "quid novi" idoneo a fondare la revoca dell’impugnato provvedimento di sequestro.

Pertanto si impone la pronuncia di inammissibilità del ricorso, a cui consegue, come per leggera condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma che si ritiene di determinare in Euro 1.000, 00, a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000, 00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2013
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