Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 31-01-2013) 07-05-2013, n. 19482

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello di Bologna, giudicando su rinvio della Corte Suprema, che aveva ritenuto il vizio di contraddittorità della motivazione nell’assoluzione dei due imputati per mancanza di dolo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna del 20.12.2002, riduceva la pena inflitta ai due imputati confermando nel resto. Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati, S.A. per mezzo del suo difensore di fiducia, F.G., personalmente, chiedendo l’annullamento della sentenza e deducendo a motivo di gravame:

S.:

il vizio di motivazione per manifesta illogicità, avendo la Corte fatto riferimento al reddito dei due imputati, dato non certo e puramente ipotetico, per giustificare l’affermazione che la droga era in parte sicuramente diretta allo spaccio.

L’affermazione di responsabilità, pertanto, sarebbe frutto di una semplice congettura ovvero di una massima di esperienza indimostrata.

F.:

il vizio di motivazione per manifesta contraddittorietà della motivazione perchè dopo aver affermato l’esiguità dei redditi dei due imputati la Corte ha attribuito ai due, e non alla raccolta di denaro tra gli amici, l’ingente disponibilità necessaria per effettuare l’acquisto illecito.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili in quanto basati su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

La motivazione della Corte di merito è assai più complessa e completa di quella richiamata nei motivi di ricorso, in ordine alla quale i ricorrenti articolano le censure. La Corte di merito, infatti, dopo aver dato atto che i due giovani furono trovati in possesso di 187 pastiglie di LSD; che in sede di interrogatorio S. asseriva che avevano acquistato le pastiglie anche per conto di amici, che il loro consumo prò capite era molto elevato, anche 10 pastiglie a notte, circostanza confermata da F. il quale aggiungeva che si erano rivolti ad un "grossista" che vendeva a prezzi contenuti, ma solo per quantitativi elevati, e che gli avevano consegnato L. un milione e mezzo, ha affermato che la destinazione della droga all’uso di gruppo – destinazione che, al pari dell’utilizzo personale, esclude la configurabilità del reato in capo a colui che la detiene – deve risultare inequivocabilmente.

In motivazione si rileva che gli imputati sono stati generici sul punto, parlando di non meglio specificati amici, non riferendo il loro numero, nè le loro generalità e neppure le modalità e circostanze con cui si perfezionò il mandato di questi ultimi a loro favore e con cui fu effettuata la raccolta di danaro. Per quanto concerne la possibilità che la droga fosse destinata al solo consumo personale, la Corte ha poi rilevato che esclusa l’attribuibilità in parte uguali ai due imputati del quantitativo di droga, perchè il quantitativo globale andava attribuito a ciascuno per l’intero, la sproporzione tra il valore delle pastiglie, – compreso tra L. 3.500.000 e L. 4.500.000, con valore unitario a pastiglia compreso tra L. 18.000 e L. 23.000 come riferito dal consulente, – e le disponibilità economiche deducibili dall’attività lavorativa dichiarata dagli imputati al momento dell’arresto (magazziniere quanto a S.A. e muratore, quanto al F.) comprova che almeno una parte era destinata a terzi.

Con la suddetta motivazione la Corte, in modo completo e non censurabile, ha rielaborato, secondo il principio indicato dal rinvio, la valutazione della precedente Corte di merito, giungendo al risultato nettamente diverso, nella pienezza delle argomentazioni possibili.

I ricorsi sono pertanto inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00, ciascuno, alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2013
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