T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 151

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il ricorrente B.R. è proprietario di un terreno situato in via Campagna, località Calcinatello, nel Comune di Calcinato. L’area (mappale n. 95) si trova a lato dell’autostrada A4 ed è classificata come zona E1 (agricola produttiva) all’interno della zona ST3 (fascia di rispetto autostradale). L’art. 50 delle NTA stabilisce che in zona ST3 non è consentita alcuna nuova edificazione, salva espressa deroga rilasciata dalle autorità competenti.

2. Il Comune attraverso l’ordinanza del responsabile dell’Area Tecnica n. 156 del 10 settembre 1999 ha ingiunto la demolizione di alcune opere abusive realizzate sul terreno del ricorrente. L’elenco comprende i seguenti manufatti, descritti nel verbale di sopralluogo del 1 settembre 1999: portico costituito da sostegni in metallo e tetto in lamiera (10,92 mq); portico in legno con pavimentazione in mattonelle (51,50 mq); edificio in legno con pavimentazione in cemento (24,70 mq); porticato in legno (8,01 mq); porticato in legno su plinti in cemento e con pavimentazione in mattonelle (28,38 mq); porticato in legno con pavimentazione in mattonelle (20,16 mq); baracca in lamiera adibita ad abitazione (10,80 mq); struttura prefabbricata adibita a bagno collegato a fossa biologica esistente (11,98 mq); struttura prefabbricata adibita ad abitazione con annesso portico in legno (21,60+26,80 mq); struttura in muratura adibita a bagno (9,20 mq); baracca in legno adibita a bagno (5,67 mq); baracca in legno con adiacente portico (34,17 mq); baracca in legno (11,50 mq); baracca in legno adibita a bagno (1,69 mq). Oltre ai 14 manufatti appena elencati, tutti qualificati come vere e proprie opere abusive, sono stati rilevati sul fondo del ricorrente altri due manufatti non considerati abusi edilizi (una casa mobile poggiante su prismi in calcestruzzo e un portico in legno annesso alla casa mobile). Nel complesso il Comune ha contestato la realizzazione di un campo nomadi abusivo.

3. Contro l’ordinanza n. 156/1999 il ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 27 novembre 1999 e depositato il 14 dicembre 1999 (ricorso n. 1494/1999). Le censure possono essere sintetizzate come segue: (i) carenza di forma, in quanto il provvedimento notificato non è in copia autentica e non risulta neppure firmato; (ii) travisamento dei presupposti, in quanto i manufatti sarebbero totalmente mobili e facilmente trasportabili; (iii) difetto di motivazione, in particolare per quanto riguarda la destinazione urbanistica della zona.

4. Per un lungo periodo la controversia è rimasta latente. Il ricorrente ha nel frattempo modificato la situazione dei luoghi eliminando anche una parte dei manufatti abusivi.

5. Il Comune tramite l’ordinanza del responsabile dell’Area Tecnica n. 7 del 18 gennaio 2006 ha ingiunto la demolizione di due nuove costruzioni abusive realizzate sul terreno del ricorrente (mappale n. 95). Nel provvedimento si specifica che si tratta di strutture non riportare nel verbale di sopralluogo del 1 settembre 1999, atto preliminare all’ordinanza n. 156/1999. I due manufatti di cui è intimata la demolizione sono costituiti da un fabbricato adibito ad abitazione con annesso locale (74,65+14,10 mq) e da un fabbricato in legno al servizio di una roulotte con autorimessa pure in legno (52,26+12,97 mq). Oltre all’ordine di demolizione il provvedimento contiene l’individuazione dell’area pertinenziale (circa 650 mq) da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale nel caso di inottemperanza.

6. Contro l’ordinanza n. 7/2006 il ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 17 marzo 2006 e depositato il 4 aprile 2006 (ricorso n. 474/2006). Le censure possono essere sintetizzate e riordinate come segue: (i) omissione del preavviso di diniego di cui all’art. 10bis della legge 7 agosto 1990 n. 241; (ii) travisamento dei fatti, in quanto le costruzioni abusive risalirebbero al 1999 ed essendo manufatti leggeri e precari non richiederebbero titolo edilizio o comunque potrebbero essere sanate sulla base della normativa previgente (art. 10 della legge 28 febbraio 1985 n. 47); (iii) difetto di motivazione, in particolare con riguardo alle modifiche introdotte dal ricorrente dopo l’ordinanza n. 156/1999 e relativamente ai criteri di calcolo dell’area pertinenziale da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale; (iv) violazione della competenza del sindaco ex art. 7 comma 2 della legge 47/1985.

7. La controversia oggetto del ricorso n. 1494/1999 ha subito un’accelerazione con la proposizione dei motivi aggiunti notificati e depositati il 31 marzo 2009. Attraverso questa appendice processuale sono stati impugnati i seguenti provvedimenti: (a) il verbale del 15 dicembre 2008, con il quale i funzionari comunali hanno accertato l’inottemperanza all’ordinanza n. 156/1999 (inottemperanza parziale, in quanto alcuni manufatti erano stati demoliti e altri erano stati ricollocati); (b) il verbale dell’11 febbraio 2009, con il quale i funzionari comunali hanno preso possesso delle opere abusive e dell’area pertinenziale per una superficie pari a 1.800 mq; (c) la determinazione del responsabile dell’Area Tecnica n. 69 del 19 febbraio 2009, con la quale è stato affidato a un notaio l’incarico di trascrivere la dichiarazione di acquisizione delle opere abusive e dell’area pertinenziale; (d) il provvedimento del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 4488 del 26 febbraio 2009 contenente la dichiarazione di acquisizione di diritto al patrimonio comunale delle opere abusive e dell’area pertinenziale; (e) la deliberazione consiliare n. 14 del 9 marzo 2009, con la quale è stata dichiarata l’acquisizione dell’intero mappale n. 95; (f) la nota del 23 marzo 2009, con la quale il responsabile dell’Area Tecnica ha comunicato la data dell’esecuzione d’ufficio delle ordinanze n. 156/1999 e n. 7/2006.

8. Oltre alle censure richiamate in via derivata, nei motivi aggiunti del ricorso n. 1494/1999 sono stati evidenziati i seguenti vizi autonomi: (i) travisamento dei presupposti, in quanto i manufatti rimasti in loco non avrebbero le caratteristiche di stabilità che impongono il previo rilascio di un titolo edilizio; (ii) violazione dell’art. 31 comma 3 del DPR 6 giugno 2001 n. 380, in quanto la superficie dell’area acquisita al patrimonio comunale sarebbe sproporzionata; (iii) difetto di motivazione per quanto riguarda l’individuazione dell’interesse pubblico alla rimozione del campo nomadi.

9. Nel ricorso n. 474/2006 sono stati invece impugnati con motivi aggiunti (notificati e depositati il 31 marzo 2009) gli atti gemelli di quelli impugnati con motivi aggiunti nel ricorso n. 1494/1999 (ovvero gli stessi atti quando questi si riferiscono congiuntamente agli abusi edilizi di entrambe le ordinanze). La nuova impugnazione interessa precisamente: (a) il verbale del 15 dicembre 2008, con il quale è stata accertata l’inottemperanza all’ordinanza n. 7/2006; (b) il verbale dell’11 febbraio 2009 riguardante la presa di possesso delle opere abusive e dell’area pertinenziale per una superficie pari a 650 mq; (c) la determinazione del responsabile dell’Area Tecnica n. 69 del 19 febbraio 2009, con la quale è stato affidato a un notaio l’incarico di trascrivere la dichiarazione di acquisizione delle opere abusive e dell’area pertinenziale; (d) il provvedimento del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 4487 del 26 febbraio 2009 contenente la dichiarazione di acquisizione di diritto al patrimonio comunale; (e) la deliberazione consiliare n. 14 del 9 marzo 2009, con la quale è stata dichiarata l’acquisizione dell’intero mappale n. 95; (f) la nota del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 6450 del 23 marzo 2009, con la quale è stata comunicata la data dell’esecuzione d’ufficio delle ordinanze n. 156/1999 e n. 7/2006.

10. Le censure dei motivi aggiunti del ricorso n. 474/2006 sono analoghe, nella sostanza, a quelle formulate nei motivi aggiunti del ricorso n. 1494/1999.

11. Mediante ulteriori motivi aggiunti, notificati il 29 maggio 2009 e depositati il 25 giugno 2009, il ricorrente ha poi separatamente impugnato: (a) nel ricorso n. 1494/1999 la nota del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 7359 del 1 aprile 2009, con la quale è stato differito il termine di esecuzione d’ufficio dell’ordinanza n. 156/1999; (b) nel ricorso n. 474/2006 la nota del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 7358 del 1 aprile 2009, con la quale è stato differito il termine di esecuzione d’ufficio dell’ordinanza n. 7/2006.

12. Il Comune si è costituito in giudizio in entrambi i ricorsi chiedendone la reiezione. In sede cautelare questo TAR ha sospeso sia gli atti impugnati nel ricorso n. 1494/1999 (v. le ordinanze n. 277 del 4 maggio 2009 e n. 592 del 2 ottobre 2009) sia quelli impugnati nel ricorso n. 474/2006 (v. le ordinanze n. 278 del 4 maggio 2009 e n. 593 del 2 ottobre 2009).

13. In data 24 settembre 2009 il Comune ha depositato il provvedimento del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 20823 del 21 settembre 2009 che esplicita i criteri seguiti nel calcolo della superficie da acquisire al patrimonio comunale.

14. Il carattere unitario della vicenda contenziosa impone la riunione dei ricorsi. Nella trattazione si ritiene opportuno raggruppare gli argomenti sparsi nei vari atti di impugnazione secondo il seguente schema: (i) censure formali; (ii) caratteristiche dei manufatti abusivi; (iii) interesse pubblico alla remissione in pristino; (iv) acquisizione dell’area al patrimonio comunale.

15. Per quanto riguarda le censure formali, le osservazioni proposte dal ricorrente non possono essere condivise. In particolare:

(a) la mancanza della firma e del visto di conformità sulla copia del provvedimento notificata al ricorrente (v. sopra al punto 3) non costituisce un vizio che si riflette sull’atto originale custodito dall’amministrazione. In base all’art. 21septies della legge 241/1990 ai fini dell’esistenza del provvedimento è sufficiente che l’originale sia firmato e abbia la forma richiesta per legge (elementi che nel caso in esame risultano sussistenti). La trasmissione di una copia incompleta costituisce solo un vizio della notifica, che viene sanato ex art. 156160 cpc quando sia stato raggiunto lo scopo di informare il privato della volontà dell’amministrazione (tale circostanza è riscontrabile anche nel caso in esame, in quanto il ricorrente ha potuto svolgere pienamente le proprie difese);

(b) l’omissione del preavviso di diniego di cui all’art. 10bis della legge 241/1990 (v. sopra al punto 6), come pure l’omissione delle garanzie procedurali assimilabili o complementari (comunicazione di avvio del procedimento, esame delle controdeduzioni presentate dal privato), non può da sola condurre all’annullamento del provvedimento finale, perché è sempre necessario, per il principio ora codificato dall’art. 21octies comma 2 secondo periodo della legge 241/1990, effettuare la prova di resistenza esaminando se a causa di tale violazione l’amministrazione sia stata privata di elementi istruttori in grado di far ipotizzare una decisione diversa. Non sarebbe infatti né utile né economico annullare un provvedimento che può essere adottato di nuovo con lo stesso contenuto. La prova di resistenza deve essere condotta esaminando le censure di natura sostanziale proposte con l’impugnazione;

(c) sotto il profilo della competenza (v. sopra al punto 6) si osserva che l’attribuzione al sindaco del potere di emettere ordinanze demolitorie ex art. 7 comma 2 della legge 47/1985 è superata dal principio di separazione tra funzioni gestionali e compiti politici di indirizzo e controllo (v. ora l’art. 107 comma 3 del Dlgs. 18 agosto 2000 n. 267). Il fatto che gli abusi risalgano (almeno in parte) a un’epoca anteriore alla codificazione del suddetto principio in materia edilizia (v. l’art. 2 della legge 16 giugno 1998 n. 191) appare irrilevante, in quanto al momento dell’emissione degli ordini di demolizione era ormai in vigore la nuova disciplina. Trattandosi di norme aventi natura procedimentale l’applicazione si estende anche alle fattispecie di violazione edilizia concretizzatesi in precedenza.

16. La pretesa sostanziale del ricorrente alla regolarizzazione dei manufatti abusivi si fonda su argomenti che nell’insieme non possono essere condivisi. In particolare:

(a) non risulta alcun travisamento dei fatti circa la natura precaria e amovibile delle opere edilizie (v. sopra ai punti 3 e 8). Quelle descritte nelle ordinanze di demolizione (v. sopra ai punti 2 e 5) sono effettivamente strutture che possono essere facilmente rimosse o ricollocate, con particolare evidenza nel caso dei manufatti al servizio di roulottes. Tuttavia la funzione alla quale le suddette strutture sono destinate non è transitoria, nel senso che non è possibile individuare con sicurezza un termine finale di utilizzo al quale segua la rimozione. La fattispecie è pertanto inquadrabile tra le utilizzazioni del territorio che pur non implicando una radicale trasformazione del suolo devono comunque essere equiparate alle nuove costruzioni perché fanno venire meno oggettivamente, e appunto senza un termine finale certo, la condizione di area libera (v. l’art. 3 comma 1 lett. e5 del DPR 6 giugno 2001 n. 380; nonché l’art. 27 comma 1 lett. e5 della LR 11 marzo 2005 n. 12). In altri termini alla precarietà materiale non si associa una corrispondente precarietà funzionale;

(b) non vale a contrastare questa conclusione l’argomento del ricorrente secondo cui (v. sopra al punto 6) al momento della realizzazione i manufatti abusivi (o almeno alcuni di essi) avrebbero potuto beneficiare del regime sanzionatorio riferito all’autorizzazione edilizia ex art. 10 della legge 47/1985 ed evitare per questa via la sottoposizione a una misura ripristinatoria. In realtà le opere qualificate dal Comune come veri e propri abusi non ricadevano nella previgente disciplina dell’art. 7 del DL 23 gennaio 1982 n. 9 e neppure in quella dell’art. 4 comma 7 del DL 5 ottobre 1993 n. 398, così come attualmente non sono riconducibili alla disciplina della DIA ex art. 22 commi 1 e 2 del DPR 380/2001. L’assimilazione alla nuove costruzioni era possibile anche prima dei chiarimenti introdotti dall’art. 3 comma 1 lett. e5 del DPR 380/2001 e dall’art. 27 comma 1 lett. e5 della LR 12/2005 sul duplice presupposto che le strutture consentivano un uso abitativo analogo a quello degli edifici residenziali ed erano destinate a rimanere in loco per un tempo non determinato a priori;

(c) parimenti non rivela alcuno sviamento il fatto che la seconda ordinanza di demolizione non tenga conto delle modifiche allo stato dei luoghi introdotte dal ricorrente dopo la prima ordinanza (v. sopra al punto 6). I due provvedimenti affrontano in realtà differenti abusi edilizi. La seconda ordinanza limita chiaramente il proprio oggetto a due manufatti che non erano stati rilevati nel 1999 (v. sopra al punto 5). Dunque sotto questo profilo non vi è stata un’errata analisi del contenuto degli abusi neppure una sottovalutazione della parziale ottemperanza prestata dal ricorrente alla prima ordinanza (per quanto riguarda invece il problema dell’area da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale v. oltre ai punti 1920);

(d) alcune precisazioni sono necessarie a proposito della destinazione urbanistica (v. sopra al punto 3). In generale la decisione del Comune di procedere alla demolizione senza sperimentare la via dell’accertamento di conformità non può definirsi scorretta. Il doppio vincolo costituito dalla zonizzazione agricola e dalla presenza della fascia di rispetto autostradale (v. sopra al punto 1) non permette di considerare ammissibile la realizzazione di una serie di moduli abitativi. È vero peraltro che nella fattispecie in esame non viene in rilievo una normale lottizzazione ma un campo nomadi, ossia un’infrastruttura che può essere qualificata anche come servizio di interesse collettivo e quindi in senso lato come standard urbanistico. Questa caratteristica rende particolare la posizione del ricorrente, ma non fino al punto da stravolgere le regole della pianificazione urbanistica. La regolarizzazione di un campo nomadi insediato di fatto su un’area non espressamente dedicata a questo scopo dal PRG o dal PGT richiede una scelta urbanistica del Comune. Quest’ultimo, nell’esercizio della propria discrezionalità, deve potersi esprimere sull’idoneità del sito, sulle urbanizzazioni necessarie, sui relativi costi, e in caso di valutazione positiva anche sulle condizioni di utilizzazione dell’insediamento. Nello specifico dovrebbero inoltre esprimersi la Provincia e il gestore dell’autostrada al fine di stabilire se vi possa essere interferenza con la viabilità autostradale. Le predette questioni rimangono però estranee al presente giudizio, che è focalizzato sull’interpretazione della destinazione urbanistica attuale e non sulle aspettative al superamento della stessa.

17. Il ricorrente cerca di superare l’ostacolo della difformità urbanistica anche attraverso un altro percorso, ossia sostenendo che non sarebbe stato dimostrato l’interesse pubblico alla remissione in pristino (v. sopra al punto 8). L’argomento non può tuttavia essere condiviso, in quanto desume dalla durata della controversia sulle ordinanze di demolizione un atteggiamento inerte (e quindi tollerante) del Comune. È vero che il tempo trascorso può consolidare l’aspettativa del privato alla conservazione dei manufatti abusivi, ma non durante la pendenza di un ricorso giurisdizionale. La regolarizzazione del campo nomadi passa quindi inevitabilmente per un atto di pianificazione urbanistica del Comune, come si è precisato sopra al punto 16d.

18. Rimangono le questioni relative all’acquisizione dell’area al patrimonio comunale (v. sopra ai punti 6 e 8). Secondo il ricorrente il calcolo della superficie sarebbe sproporzionato.

19. In proposito si osserva che in effetti nell’applicazione dell’art. 31 comma 3 del DPR 380/2001 occorre tenere conto dell’adempimento parziale del privato, concentrando la sanzione della perdita della proprietà sulle sole aree ancora occupate da manufatti abusivi e sulle aree a queste pertinenziali. Per queste ultime il limite di dieci volte previsto dalla norma non esime dal calcolo della superficie necessaria per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive.

20. Non è però possibile applicare in concreto questi criteri al caso in esame. Qui manca propriamente un interesse all’annullamento, nel senso che tutti gli atti finalizzati all’accertamento dell’inottemperanza del ricorrente e all’acquisizione del terreno al patrimonio comunale sono precari, essendo stati adottati in pendenza del giudizio sulle ordinanze di demolizione che ne costituiscono il presupposto. Come non è possibile utilizzare la pendenza del giudizio a favore del ricorrente sotto il profilo del tempo trascorso (v. sopra al punto 17), così non sarebbe ragionevole imputare al ricorrente di non aver demolito le opere abusive dopo aver esercitato il suo diritto di difesa. In effetti la remissione in pristino avrebbe vanificato il ricorso giurisdizionale: una cosa è infatti l’aspettativa alla regolarizzazione delle opere abusive (il cui presupposto è appunto l’esistenza materiale delle stesse) e una cosa del tutto diversa l’aspettativa a riedificare dei manufatti abusivi demoliti (che si scontrerebbe con il divieto di nuove costruzioni stabilito dalla disciplina urbanistica attuale). Dunque legittimamente il ricorrente non ha eseguito la demolizione dopo aver proposto ricorso, e a maggior ragione la sua posizione risulta legittima dopo che questo TAR ha sospeso gli atti impugnati. Da tutto questo deriva che il Comune ha posto in essere atti inefficaci (ossia non opponibili all’accertamento contenuto nella pronuncia giurisdizionale). Il termine per ottemperare alle ordinanze di demolizione inizierà a decorrere dalla notifica della presente sentenza, e solo al termine del periodo concesso per l’esecuzione il Comune potrà contestare l’inottemperanza ed eventualmente adottare gli atti di acquisizione del sedime e delle aree pertinenziali, sempre che nel frattempo non siano concesse delle proroghe per motivi umanitari o non si avvii tra le parti un confronto per definire il progetto di un campo nomadi regolare.

21. In conclusione entrambi i ricorsi devono essere respinti, ferme restando le considerazioni svolte sopra al punto 20. La complessità della vicenda consente l’integrale compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, respinge i ricorsi riuniti.

Le spese sono integralmente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Sergio Conti, Consigliere

Mauro Pedron, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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