Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14114

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Svolgimento del processo
La srl R. citò, con atto notificato il 20 luglio 1998, innanzi al Tribunale di Bologna la snc I. chiedendo l’annullamento, per dolo di quest’ultima, del contratto avente ad oggetto l’installazione di una stazione di pompaggio, destinata a servire un pozzo artesiano, con restituzione di quanto versato a titolo di acconto e con risarcimento dei danni; in via subordinata domandò la risoluzione del contratto per inadempimento; l’attrice pose a base delle domande la circostanza che, dopo pochi giorni dall’installazione del macchinario, si erano ostruiti i filtri della pompa appena installata. La I. si costituì negando ogni responsabilità ed evidenziò che prima della messa in opera della pompa, più potente di quella in precedenza installata, aveva fatto presente alla cliente che si sarebbe dovuto provvedere ad operare una radicale manutenzione del pozzo, che però la committente aveva rifiutato, stante il costo. Svolse domanda riconvenzionale per il pagamento del saldo.
L’adito Tribunale fatta eseguire una CTU, risolse il contratto per inadempimento della I. che condannò al risarcimento dei danni quantificati in Euro 55.777,35 oltre interessi legali.
La Corte di Appello di Bologna, con sentenza 1202/2008, decidendo sul gravame della I. e dei soci in proprio – R. e C. S.; B.R. – nonchè sull’impugnazione incidentale della srl R., dichiarò inammissibile il gravame delle persone fisiche e respinse gli appelli di entrambe le società.
Osservò innanzi tutto la Corte territoriale che, pur essendo stata cancellata la I. dal registro delle imprese, ciò non comportava la sua estinzione, sin tanto che non fossero stati definiti i rapporti pendenti, così che i soci non avrebbero acquisito una propria legittimazione a stare in giudizio nè avrebbero rivestito la qualità di terzi a sensi dell’art. 404 c.p.c. al fine di legittimarne l’intervento in giudizio, giusta il disposto dell’art. 344 c.p.c..
Quanto al merito – e nei limiti che ancora interessano il presente giudizio di legittimità – il giudice dell’appello ritenne di confermare la qualificazione in termini di appalto del contratto stipulato tra le due società; rinvenne altresì un inadempimento all’obbligo di diligenza nell’esecuzione del contratto nella condotta della I. che avrebbe realizzato l’impianto nonostante fosse certa che esso non avrebbe funzionato in modo ottimale per le pregresse condizioni del pozzo; negò che potesse essere valutata in termini di concorso del creditore nell’aggravamento del danno la condotta della committente che, nonostante fosse stata avvertita della necessità di interventi manutentivi, avrebbe insistito per la posa in opera della pompa; rinvenne altresì, sulla scorta della CTU espletata in primo grado, sussistente un nesso causale tra la posa in opera del macchinario, che pompava acqua in quantità eccedente lo smaltimento dei filtri, e la rottura di questi ultimi; quantificò i danni sofferti dalla società R. in relazione agli esborsi sostenuti per l’approvvigionamento di acqua dall’acquedotto pubblico dall’agosto 1996 al luglio 1997.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso la snc I. -e i soci in proprio sulla base di undici motivi, illustrati da memoria; ha resistito la srl R. con controricorso.
Motivi della decisione
1 – Va preliminarmente osservato che non ha formato oggetto di ricorso la statuizione, contenuta nella gravata decisione, secondo la quale la società (di persone) che, pur cancellata, non abbia esaurito i rapporti ad essa facenti capo, non può dirsi estinta;
tale affermazione, anzi, ha costituito il presupposto argomentativo del decimo motivo di ricorso, con il quale è stata censurata la negata legittimazione dei soci ad intervenire nel giudizio intrapreso dalla stessa società pur se cancellata, in considerazione della sottoponibilità degli stessi – in forza del disposto dell’art. 2312 c.c., comma 2 – alle azioni recuperatorie dei creditori sociali rimasti insoddisfatti.
1/a – Viene con ciò preclusa ogni critica alla prima statuizione, alla luce del contrario principio statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 4060/2010 – cui adde Cass. Sez. 3 n. 9032/2010; Cass. Sez 1 n. 20878/2010 – secondo il quale anche dalla cancellazione delle società a base personale sortirebbe un effetto estintivo, al pari di quelle di capitali ( per queste ultime per espressa previsione normativa: art. 2495 c.c., comma 2, come novellato dal D.Lgs. n. 6 del 2003).
1/b – Ne deriva pertanto , da un lato la perdurante legittimazione processuale della società e, dall’altro la carenza di quella dei singoli soci, dei quali dunque non si potrebbe presupporre una funzione surrogatoria rispetto alla prima, come neppure, perdurando la soggettività della medesima, la sussistenza di un interesse attuale a resistere alla domanda di chi, come la srl R., chiedeva la risoluzione di un contratto stipulato con la società di cui essi facevano parte.
2 – Con il primo motivo ed i connessi secondo, terzo, quarto viene denunziata l’erronea applicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti e di quelle disciplinanti gli istituti dell’appalto e della vendita – asseritamente indotta da una non condivisibile analisi delle emergenze di causa – in cui sarebbe incorsa la Corte del merito nel ritenere sussistente un negozio complesso con prevalenza degli elementi dell’appalto, in base all’assunto che l’obbligazione dedotta in contratto sarebbe stata diretta alla realizzazione di un sistema di sollevamento delle acque del pozzo artesiano piuttosto che solo all’installazione della pompa.
2/a – I motivi non sono ammissibili: a – perchè, sotto la denunzia di violazione o falsa applicazione di norme, sono diretti a far formulare alla Corte un riesame delle risultanze istruttorie in maniera difforme rispetto a quella operata dal primo giudice, cui esclusivamente è commesso il giudizio di qualificazione della domanda, che nella fattispecie è stato congruamente motivato; b – perchè l’impostazione dei motivi è differente dalle censure sul punto svolte in grado di appello: invero innanzi alla Corte distrettuale la I. aveva lamentato – cfr. fol. 14 della sentenza – che l’errore compiuto dal Tribunale era stato quello di non accertare che oggetto del contratto era esclusivamente la fornitura di una pompa con certe caratteristiche e la sua installazione, così che il solo risultato richiestole sarebbe stato quello di consentire il ripristino della funzionalità del pozzo e non già prestazioni ulteriori come la pulitura preventiva del condotto artesiano: dunque non impostando – come invece fatto in ricorso – la res controversa in termini di identificazione del tipo contrattuale; c- perchè i quesiti di diritto, di necessaria formulazione, rientrando la causa, ratione temporis, tra quelle in cui andava applicato l’oggi abrogato disposto dell’art. 366 bis c.p.c., non sono idonei a far esprimere alla Corte la regula juris al caso concreto, riducendosi il primo ed il terzo a rimarcare il potere- dovere del giudice del merito di valutare le emergenze di causa al fine di rettamente qualificare il rapporto controverso; assumendo il secondo la centralità valutativa dell’essere, la pompa montata, un prodotto "di serie", venduto abitualmente dal rivenditore, per far escludere che la sua installazione determinerebbe la prevalenza degli elementi della vendita piuttosto che quelli dell’appalto; deducendosi infine con il quarto la non applicabilità della disciplina dei vizi dell’appalto – artt. 1667 e 1668 cod. civ. – qualora questi ultimi riguardino l’oggetto in cui la res dovrebbe essere collocata.
3- Con il quinto ed il sesto motivo si denunzia nuovamente la violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti e quelle attinenti alla disciplina dell’accettazione dell’opera appaltata – art. 1665 cod. civ. – , nonchè vizio di motivazione, assumendo che la Corte distrettuale non avrebbe tratto le dovute conseguenze dalla inequivocabile accettazione dell’opera, derivante dal pagamento della prima rata di corrispettivo, pur dopo che si erano manifestati i difetti di funzionamento della pompa.
3/a – Anche tali motivi non sono ammissibili in quanto introducono un tema di indagine non portato ritualmente all’attenzione della Corte distrettuale, per come risulta dall’analitica indicazione delle censure di appello (lettere da a) a g) a fol 9 della sentenza gravata), non essendosi colà affrontato il problema, qui invece proposto, dell’incidenza del pagamento della prima rata di prezzo sulla presunta accettazione dell’opera; del tutto inammissibile, siccome genericamente formulato, è poi il richiamo alle norme disciplinanti l’ermeneutica contrattuale.
4- Con il settimo ed il connesso ottavo motivo sono denunziate la violazione e la falsa applicazione delle norme sul nesso causale in materia di illecito – nonchè la insufficienza della motivazione sul punto – alla luce della sentenza n. 576/2008 delle Sezioni Unite di questa Corte – richiamata dal giudice dell’appello-, laddove si è statuita la riconducibilità di un determinato effetto dannoso – rottura dei filtri dell’impianto di pompaggio – ad una certa causa – condotta della I. che avrebbe installato una stazione di pompaggio di potenza eccessiva, pur conoscendo le precarie condizioni del pozzo ove il macchinario avrebbe operato – così formulando un giudizio eziologico di natura essenzialmente probabilistica (secondo la regola del "più probabile che non"): in contrario i ricorrenti sottolineano che la stessa sentenza delle Sezioni Unite, nell’enunciare il principio di cui sopra, aveva avvertito che la regula juris della preponderanza dell’evidenza del nesso causale presupponeva l’esclusione di altri fattori causali alternativi.
I due motivi non sono fondati.
4/a – La Corte distrettuale ha chiaramente indicato che l’apparecchiatura posta in essere dalla I., non presentava difetti in sè ma non era idonea a garantire il risultato promesso – riattivazione di un pozzo artesiano a lungo in disuso – perchè era stata collocata consapevolmente in un ambiente inidoneo, a cagione della mancata pulizia del pozzo, e che di tale circostanza avrebbe dovuto rispondere l’installatore, rientrando nei suoi obblighi di diligenza nell’esecuzione del contratto, il non dar esecuzione allo stesso, una volta venuto a conoscenza delle condizioni non favorevoli ove il macchinario avrebbe dovuto operare.
4/b – L’impostare il problema della compatibilità della detta apparecchiatura con la preesistente struttura in termini di causalità concorrente non avrebbe comunque portato all’esclusione della responsabilità della appaltatrice I. dal momento che neppure detta società ha potuto negare la diretta discendenza eziologica del mancato funzionamento con la inidoneità (in concreto) ad operare in condizioni non favorevoli; se pertanto può esser discutibile il richiamo, operato dalla Corte distrettuale, alla statuizione delle Sezioni Unite (diretta a fornire la regula juris in materia di responsabilità aquiliana per omissione da controllo), è tuttavia stata corretta l’applicazione dei principi in materia di nesso causale in ipotesi di inadempimento contrattuale.
5 – Con il nono motivo parte ricorrente censura la decisione della Corte distrettuale di ritenere violate le norme sull’esecuzione del contratto in buona fede laddove ha rinvenuto una responsabilità esclusiva di essa appaltatrice, nel non essersi astenuta dall’installazione del macchinario, pur dopo che la committente aveva ribadito la propria volontà di non eseguire lavori di manutenzione del pozzo: cita in proposito la contraria giurisprudenza di questa Corte che ha rinvenuto, nelle surriferite condotte dell’appaltante, un fattore di esonero di responsabilità dell’appaltatore.
5/a – Il mezzo in esame presenta elementi di novità rispetto alla censura che era stata mossa alla sentenza del Tribunale – punto b, fol 9 della decisione della Corte territoriale – per aver escluso nell’ambito delle obbligazioni assunte dalle parti, un concorso di colpa della committente, per il fatto che era stata avvertita della necessità di un preventivo intervento di manutenzione del pozzo: il motivo sottoposto allo scrutinio di legittimità, invocando la fattispecie, di creazione giurisprudenziale, del c.d. nudus minister, mira invece alla completa esclusione di ogni responsabilità dell’appaltatore.
5/b – Nel merito comunque la deduzione è infondata, dal momento che il concetto di nudus minister è stato utilizzato per affermare l’esistenza di una concorrente responsabilità del committente e dell’appaltatore non già per escludere quella del secondo; in secondo luogo tale figura giuridica è invocabile al fine di calibrare l’esigibilità di una certa condotta – sub specie:
condotta diligente al fine di assicurare il risultato dedotto in obbligazione – laddove all’appaltatore si prospetti la scelta tra rifiutare l’adempimento cui è tenuto per contratto, una volta iniziatane l’esecuzione, e subire le conseguenze economiche di tale scelta – non apparendo equo far ricadere solo sulla sua sfera patrimoniale le improvvide scelte, in genere progettuali, del committente: diversa è invece la fattispecie in esame in cui le "perplessità" circa la buona riuscita della funzione demandata alla pompa erano state espresse dalla I. nella fase delle trattative ed in sede di sopralluogo – cfr. foll. 3/4 del ricorso – prima dell’invio del cd. preventivo e quindi anteriormente alla conclusione del contratto, così che la decisione di dare comunque esecuzione del contratto determinava l’accettazione dell’alea della mancata realizzazione dell’interesse del cliente.
6 – Con l’undicesimo motivo viene censurata la determinazione del quantum del risarcimento, sotto il duplice profilo della violazione o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e segg.; degli artt. 2043 e 2056 cod. civ. e del vizio di motivazione – esposta ad un tempo come omessa, insufficiente e contraddittoria.
6/a – Sostiene la parte ricorrente che condannandola a versare alla committente non solo il corrispettivo versato a terzi per il ripristino del vecchio impianto – pari ad Euro 10.329,14 – ma anche il costo dell’approvvigionamento di acqua dall’acquedotto pubblico per un anno – per un importo di Euro 45.448,21 – avrebbe in sostanza fatto ricadere nella propria sfera patrimoniale il ritardo con il quale la società R. aveva provveduto al ripristino; erroneamente dunque la Corte di appello non avrebbe applicato l’art. 1227 cod. civ., pur in presenza di danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando della normale diligenza; sottolinea al proposito che, seguendo la soluzione del giudice del gravame, si incorrerebbe nella violazione del criterio della prevedibilità del danno da inadempimento, statuito dall’art. 1225 cod. civ., determinando così una over compensation senza giustificazione.
6/b – II motivo non è ammissibile in quanto corredato di un quesito di diritto strutturalmente inidoneo a far formulare alla Corte la regula juris:
infatti esso introduce una diversa analisi della fattispecie interrogando la Corte sulla questione se si possano considerare nel danno risarcibile anche quelle conseguenze dannose – non già che il debitore avrebbe potuto elidere usando della ordinaria diligenza, come enunciato nel motivo bensì – derivanti da fatti, la previsione dei quali fosse stata rappresentata alla controparte contrattuale prima dell’inizio del contratto.
6/c – Il motivo sarebbe comunque infondato in quanto la Corte territoriale, chiamata a pronunziarsi su analoga censura, motivatamente respinse e tale argomentazione – foll 20/21 della sentenza – non è stata esaminata nel ricorso.
7- Le spese seguono la soccombenza secondo la quantificazione indicata nel dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda della Corte di Cassazione, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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