Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 31-01-2013) 26-04-2013, n. 18669

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. P.C., con atto sottoscritto personalmente, ricorre per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale gli è stata applicata su concorde richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di giorni mesi sei di arresto ed Euro 1.800,00 di ammenda, in relazione al reato di cui all’art. 186 C.d.S., commi 1 e 2, lett. c), comma 2 sexies e art. 186 bis C.d.S..

Denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 448 cod. proc. pen., per aver il giudice, dopo il rigetto della proposta di patteggiamento avanzata dalle parti, proceduto ulteriormente e valutato la nuova richiesta di applicazione della pena, ratificando l’accordo.

Denuncia, inoltre, violazione di legge, in relazione all’art. 444 cod. proc. pen., per aver il giudice omesso di applicare la diminuzione prevista per il rito speciale.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

4.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Secondo il disposto dell’art. 448 cod. proc. pen. il giudice delle indagini preliminari che, all’esito dell’udienza fissata ai sensi dell’art. 447 cod. proc. pen., abbia rigettato la richiesta di applicazione della pena avanzata dalle parti, deve trasmettere gli atti al P.M. perchè questo possa assumere le determinazioni di competenza. Resta quindi escluso che il Giudice per le indagini preliminari possa procedere ulteriormente, una volta adottato il provvedimento di rigetto, quali che ne siano le ragioni.

Tuttavia se ciò non faccia, procedendo ad esaminare una nuova istanza eventualmente proposta dalle parti, decidendo sulla stessa egli non assume un provvedimento nullo. Non v’è dubbio che la scansione procedimentale definita dall’art. 448 cod. proc. pen. non risulti riprodotta in termini lineari, ma ciò non implica alcuna nullità, non essendo questa espressamente prevista nè risultando evocabile taluna delle nullità generali previste dall’art. 178 cod. proc. pen..

Peraltro, l’eventuale nullità sarebbe certamente sanata dalla successiva istanza di patteggiamento e ancor più dalla ratifica giudiziale di quello, posto che "l’applicazione concordata della pena postula la rinunzia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6383 del 29/01/2008, Blasio e altri, Rv. 239449; Sez. 5, Sentenza n. 21287 del 25/03/2010, Legari e altro, Rv. 247539).

Neppure si è in presenza di provvedimento abnorme, posto che il potere di decidere in ordine all’istanza di patteggiamento è indubitabilmente conferito al Giudice per le indagini preliminari e che esso è stato esercitato all’interno dell’udienza specificamente prevista dall’art. 447 cod. proc. pen..

Nella identificazione delle implicazioni dell’inosservanza dell’art. 448 cod. proc. pen. con le modalità che qui vengono in esame mette conto rilevare che il provvedimento di rigetto non determina perciò solo l’obbligo del giudice di astenersi dal conoscere ulteriormente del procedimento. Secondo quanto statuito da questa Corte il rigetto della richiesta non comporta incompatibilità per il giudice che l’abbia pronunciato nel caso in cui con tale provvedimento non sia espressa alcuna valutazione nel merito della notitia criminis ma venga interpretata ed applicata una norma processuale (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10099 del 08/02/2005, Bellopede, Rv. 231628); come nel caso che occupa, in cui il giudice ha ravvisato un’erronea qualificazione del fatto, trattandosi di imputato infraventunenne e pertanto dovendo tale circostanza trovare espressione nell’imputazione.

4.2. Il secondo motivo di ricorso è per contro fondato. Secondo quanto riporta la sentenza, le parti avevano concordato la seguente sequenza: pena base mesi sei di arresto ed Euro 1500,00 di ammenda, aumentata ex art. 186 C.d.S., comma 2 sexies a mesi sei di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda, ancora aumentata ex art. 186 bis C.d.S., comma 3 a mesi otto di arresto ed Euro 2700 di ammenda, ridotta per le attenuanti generiche a mesi sei di arresto ed Euro 1.800,00 di ammenda.

La richiesta non indicava la pena finale, alla quale pervenire – in ragione della scelta del rito – diminuendo fino ad un terzo la pena definita attraverso le descritte operazioni. Una diminuente non disponibile alle parti, se non nella sua misura concreta.

Questa Corte ha affermato che "in tema di procedimenti speciali, il giudice ha l’obbligo di rigettare la richiesta di patteggiamento mancante del computo della diminuzione "fino a un terzo" della pena, in quanto tale diminuzione, configurandosi come effetto tipico del rito, è prevista dalla legge come obbligatoria e non facoltativa" (Sez. 3, n. 9888 del 14/01/2009 – dep. 05/03/2009, Perrella, Rv.

243097). Nell’occasione si è anche escluso che la mancata diminuzione possa essere "compensata" applicando nell’estensione massima una diminuente diversa, quale la riduzione per un’attenuante o per il tentativo.

A fronte di ciò, il Giudice per le indagini preliminari ha applicato la pena di mesi sei di arresto ed Euro 1.800,00 di ammenda; nella parte motivazionale della decisione egli opera un generico riferimento alla pena richiesta dalle parti ma nel dispositivo fa riferimento anche all’avvenuta applicazione della diminuente di cui all’art. 444 cod. proc. pen.. Sicchè, oltre alla indicata violazione di legge, si è in presenza di affermazioni intrinsecamente contraddittorie, posto che la pena indicata dalle parti doveva essere ulteriormente diminuita (previa precisazione da parte delle stesse della misura della riduzione).

Pertanto, in concreto la richiesta non era ricevibile e la pena applicata non corrisponde a quella pattuita tra le parti. Questa Corte non può emendare l’errore in cui è incorso il giudice, e prima di questi le parti, atteso che la misura della diminuzione per effetto dell’art. 444 cod. proc. pen. è oggetto essenziale del patto e come tale riservato alle parti. Il giudice non ha il potere di procedere autonomamente a una revisione discrezionale della pena proposta dalle parti e degli elementi che hanno concorso alla sua quantificazione definitiva (Cass. Sez. 3, n. 110 del 17.1.1994, P.M. in proc. Badaoui, rv. 196957; Cass. Sez. 4, n. 35164 del 19.6.2003, P.G. in proc. Di Dio, rv. 226176).

Il suo ruolo al riguardo, insomma, è solo quello di ratificare o di rigettare il negozio processuale stipulato tra le parti, o quanto meno – per chi esclude la qualificazione negoziale dell’istituto – la volontà convergente espressa tra le parti medesime in ordine alla determinazione della pena.

5. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio; va altresì disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Como per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Como per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2013

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