Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14111

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Svolgimento del processo
1 . – Con atto di citazione notificato il 6 marzo 1996 il Condominio di via (OMISSIS) conveniva davanti al Pretore di quella città l’ex amministratore M.D. ed esponeva: che il predetto, nel periodo in cui aveva svolto le mansioni di amministratore del Condominio, aveva resistito – senza autorizzazione dell’assemblea – alla domanda di annullamento di una deliberazione assembleare proposta dalla condomina M.G. G. e, sempre senza autorizzazione dell’assemblea, aveva proposto appello (che era stato rigettato) contro la sentenza che aveva accolto tale domanda, per cui esso Condominio aveva dovuto sopportare le spese dei due gradi di giudizio; che la causa intentata da M. G.G. rientrava tra quelle per le quali l’amministratore avrebbe dovuto avvisare l’assemblea ai sensi dell’art. 1131 c.c., comma 3; sulla base di tali premesse il Condominio chiedeva la condanna del convenuto al pagamento della somma di L. 14.772.070.
M.D., costituitosi, resisteva alla domanda, che veniva parzialmente accolta dal Pretore di Torino con sentenza in data 28 luglio 1997. M.D. proponeva appello, che veniva accolto dal Tribunale di Torino con sentenza in data 7 dicembre 1999.
I giudici di secondo grado ritenevano che la domanda di annullamento di deliberazione assembleare non rientra tra quelle con riferimento alle quali l’art. 1131 c.c., comma 3, prevede a carico dell’amministratore l’obbligo di informare l’assemblea, rientrando, invece, nella previsione di cui all’art. 1131 c.c., comma 1, per cui, nella specie, l’attività posta in essere dall’amministratore nel resistere alla lite e nel proporre eventualmente appello rientrava nelle attribuzioni dello stesso.
Tale decisione era cassata dalla S.C. che, in accoglimento del ricorso proposto dal Condominio, statuiva che in base all’art. 1131 c.c., comma 2, qualora la citazione abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini; con riferimento alla impugnazione di una deliberazione assembleare, non è neppure configurabile un oggetto che rientri nelle attribuzioni dell’amministratore e fuori luogo la sentenza impugnata ha invocato l’art. 1130 c.c., comma 1, n. 1, il quale stabilisce che l’amministratore deve eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini.
Riassunto dal Condominio il giudizio di rinvio, con sentenza dep. il 19 dicembre 2005,la Corte di appello di Torino rigettava l’appello proposto dal M. avverso la sentenza emessa dal Pretore di Torino in data 28/07/1997;
condannava il medesimo a restituire al Condominio la somma di Euro 20.660,30, oltre agli interessi legali sulle somme versate, a decorrere dalle date dei singoli versamenti nonchè a rimborsare le spese del giudizio di secondo grado, del giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio.
Per quel che ancora interessa nella presente, disattesa l’eccezione di nullità dell’atto di riassunzione del procedimento ex art. 392 cod. proc. civ. sollevata dal M. in considerazione del conferimento della procura alle liti in proprio da parte dell’arch.
B.F. senza la spendita della qualità di amministratore del Condominio, i Giudici ritenevano che, ancorchè dalla procura alle liti apposta a margine dell’atto di riassunzione non fosse menzionata la qualità di amministratore del Condominio, era innegabile che la procura fosse stata conferita in tale qualità, che chiaramente emergeva dall’epigrafe dell’atto.
Era, quindi, ritenuta la violazione dell’obbligo dell’amministratore di informare preventivamente l’assemblea del giudizio proposto dalla condomina G.: i Giudici escludevano che vi fosse stata ammissione da parte del Condominio dell’avvenuta informazione all’assemblea, osservando che nel verbale del 25-3-1991 non vi era alcun cenno alla vertenza de qua e che, in ogni caso, detta informazione sarebbe stata tardiva, perchè avvenuta quando era stato già notificato l’atto di appello da parte del Condominio e non aveva consentito al medesimo di valutate l’opportunità o meno di resistere alla lite e di sostenerne i costi.
Tenuto conto dell’esito negativo del giudizio, il danno era liquidato nei costi sopportati in entrambi i giudizi.
In considerazione della soccombenza, erano poste a carico del M. le spese del giudizio di appello, di quello di legittimità e di quello di rinvio.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il M. sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso l’intimato, depositando memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Preliminarmente: a) va dichiarato inammissibile il deposito avvenuto all’udienza di discussione del 9 maggio 2012 da parte del ricorrente delle note di udienza, datate 8 maggio 2012, posto che con tale scritto è stata in realtà redatta memoria illustrativa oltre il termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ.; b) va rilevato che il Condominio ha depositato la delibera dell’assemblea del 2-5-2006 con la quale l’amministratore è stato autorizzato a resistere nel presente giudizio di legittimità con l’assistenza dell’avv. B. e il suo corrispondente a Roma.
1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 83 cod. proc. civ., censura la decisione gravata che nell’escludere la nullità della procura conferita, non aveva colto la portata dell’eccezione con la quale si era dedotto non solo che non era stata indicata la qualità del firmatario della delega ma si era inteso affermare che la riferibilità della procura all’amministratore era incerta perchè la stessa era rilasciata su foglio palesemente in bianco, essendosi rilevato al riguardo che la procura era stata rilasciata quando l’atto a margine del quale era apposta non esisteva ancora, posto che l’atto era datato 30-6-2004 con scrittura a penna, così come la procura che non era scritta tra l’altro con lo stesso carattere dell’atto: circostanza, quest’ultima, mai contestata da controparte e ribadita dal ricorrente con la comparsa conclusionale. Pertanto, era da considerarsi irrilevante l’indicazione nell’epigrafe che l’arch. B. fosse amministratore del Condominio, posto che dalla delega non si ricavava tale qualità.
1.2. – Il motivo va disatteso.
In primo luogo, deve ritenersi che non risulta provata la circostanza secondo cui la procura conferita per la riassunzione del giudizio di rinvio dal Condominio fosse stata rilasciata dal B. in bianco, non potendo sostenersi che si tratti di un fatto acclarato, perchè non contestato da controparte, atteso che la questione nei termini formulati con il ricorso per cassazione non era stata dedotta con la comparsa di costituzione nel giudizio di rinvio dal M., il quale aveva in realtà eccepito che la procura era stata conferita dal B. in proprio per la mancanza di qualsiasi riferimento al rapporto fra il predetto e il Condominio (e aveva, quindi, invocato la carenza di legittimazione del B., in quanto avrebbe agito in proprio): premesso che l’onere di contestazione è configurabile con riferimento ai fatti ritualmente e tempestivamente dedotti dalle parti e in relazione ai quali si sia instaurato il regolare contraddittorio, non ricorre tale situazione per quelle circostanze che siano allegate con la comparsa conclusionale che ha carattere meramente illustrativo delle difese in precedenza formulate. Peraltro nella specie va rilevato – e si tratta di considerazione che è comunque assorbente di ogni altra – che con la procura conferita dal B. a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore nella cui epigrafe era indicato che l’avv. B. si costituiva in sostituzione del precedente difensore, in rappresentanza e difesa del Condominio, vi era stata la ratifica dell’operato del precedente difensore da parte di colui che rivestiva la qualità di amministratore del Condominio, dovendo qui ricordarsi che il mandato forma materialmente corpo con l’atto a margine del quale è apposto, con la conseguente e necessaria riferibilità delle dichiarazioni contenute nell’atto a colui che ha rilasciato la procura sicchè – in considerazione delle indicazioni contenute nell’epigrafe dell’atto al quale accedeva la procura- era del tutto irrilevante il mancato riferimento in quest’ultima alla qualità di amministratore del Condominio del B..
2.1. – Il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 112,392, 394, cod. proc. civ. e degli artt. 1130 e 1131 cod. civ., deduce che nel giudizio di rinvio il Condominio aveva chiesto soltanto la restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di appello cassata oltre le spese di legittimità e del giudizio di rinvio, senza formulare alcuna domanda circa il giudizio di secondo grado o di riforma della sentenza di appello:
tuttavìa la Corte di merito aveva rigettato l’appello incorrendo nella violazione dell’art. 112 citato.
D’altra parte, non si comprendeva come potesse ritenersi legittimato l’amministratore alla sola domanda di restituzione senza uno specifico mandato da parte dell’assemblea, alla quale non risultava data alcuna informazione nemmeno all’esito del giudizio di cassazione. La domanda esorbitava dalle attribuzioni dell’amministratore che non poteva considerarsi legittimato neppure in base alla originaria autorizzazione.
2.2.- Il motivo va disatteso.
La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura non già come atto di impugnazione ma come attività di impulso processuale volta a riattivare la prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata nel quale il giudice di rinvio ha gli stessi poteri del giudice di merito che ha pronunziato la sentenza cassata. D’altra parte, l’atto di riassunzione, configurandosi come meramente ripetitivo delle richieste avanzate negli atti processuali precedenti, può essere da questi essere integrato, sicchè non deve ritenersi imposta, per la validità dell’atto di riassunzione, l’adozione della medesima precisione espositiva richiesta per l’atto introduttivo del giudizio di primo grado o per l’atto di appello.
Nella specie, pertanto, la Corte di appello era con l’atto di riassunzione del giudizio di rinvio necessariamente investita del merito della causa, dovendo procedere all’esame della domanda proposta dall’attore e dei motivi di appello dal medesimo proposti, una volta che era stata cassata con rinvio la decisione emessa in sede di gravame, la quale a sua volta aveva posto nel nulla la decisione di primo grado (che non rivive per effetto dell’annullamento della sentenza di appello): con la comparsa di riassunzione il Condominio, il quale peraltro si riportava alle ragioni di cui agli scritti precedenti, chiedeva la condanna al risarcimento dei danni; d’altra parte, la domanda di restituzione presupponeva la verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria accolta in primo grado e respinta in sede di gravame che aveva condannato il Condominio a versare all’attore le somme da questo corrisposte in esecuzione della decisione di primo grado.
Peraltro, la natura del giudizio di rinvio di prosecuzione del giudizio, non richiede una nuova autorizzazione da parte dell’assemblea che aveva deliberato di proporre il ricorso di cassazione.
3.1 – Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1130 c.c., n. 1, dell’art. 1131 c.c., dell’art. 1136 c. c., comma 4 e dell’art. 1362 cod. civ., censura la sentenza impugnata relativamente all’interpretazione del verbale di assemblea del 25-3- 1991 e della comparsa conclusionale del Condominio, alla luce dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg.; il difensore di controparte non aveva contestato specificamente quanto era stato dedotto a proposito della conoscenza da parte dei condomini della causa G.: in effetti, non era stato contestato che i condomini erano stati informati dall’amministratore nell’assemblea del 25-3- 1991, non essendo al riguardo necessari particolari espressioni o formule sacramentali, e in quella sede nessun condomino sollevò obiezioni nè era stato contestato in giudizio che fra le cause che in essa di faceva riferimento vi era quella della G..
Censura ancora la sentenza impugnata laddove aveva considerato comunque tardiva la comunicazione effettuata nella predetta assemblea, senza peraltro spiegare se l’informazione, quand’anche tardiva, avesse avuto una qualche rilevanza o avesse prodotto qualche danno al Condominio, o se, a seguito della tardiva informazione, il medesimo fosse incorso in una qualche decadenza, fosse soggetto ad una qualche norma di legge che gli avrebbe impedito a posteriori di non approvare l’operato dell’amministratore o di rinunciare all’azione; ovvero se esisteva una qualche norma che avrebbe impedito al Condominio di ratificare la causa, come in effetti era avvenuto.
Ed ancora i Giudici non avevano spiegato se, in base a qualche norma, l’esame della situazione processuale della causa fosse in qualche modo impedito o precluso all’assemblea ed ai condomini dopo la notifica della sentenza di primo grado e dopo la notifica dell’atto di appello e/o di valutare a posteriori – ma quando la causa era ancora in corso – l’opportunità di sostenere i costi conseguenti alla costituzione in giudizio in primo grado e al giudizio di appello del quale erano stati informati solo in quella sede.
3.2.- Il quarto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1131 e 2697 cod. civ., censura la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto corretta la liquidazione del danno operata dal primo giudice sulla base delle spese sostenute dal Condominio per la propria difesa in entrambi i gradi del giudizio e delle spese corrisposte alla G. per il giudizio di appello, dando quindi "per scontato" che il condominio non si sarebbe difeso in primo grado e/o che è stato posto in grado di valutare l’opportunità di sostenere i costi sia per il primo grado che per la proposizione dell’appello in secondo grado. Parte attrice non aveva fornito la prova, a lei incombente, dei maggiori oneri derivanti dal giudizio rispetto a quelli che si sarebbero sopportati soddisfacendo volontariamente la pretesa dell’attrice, nè sussistevano i presupposti per la liquidazione equitativa ben potendo il Condominio provare l’ammontare dei maggiori oneri che egli avrebbe subito, con rapporto di causalità rispetto all’omissione dell’amministratore.
3.4. – Il terzo e il quarto motivo – che, per la stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente – vanno disattesi.
In primo luogo, è inammissibile la doglianza laddove lamenta l’erronea interpretazione da parte della sentenza impugnata del verbale di assemblea e delle dichiarazioni rese dalla difesa del Condominio, traendone la conseguenza in ogni caso dell’avvenuta ratifica da parte dei condomini dell’operato dell’amministratore. Al riguardo va ricordato che, in relazione al vizio di motivazione per omesso esame di un documento decisivo, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, il documento nella sua integrità in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura (Cass. 14973/2006;
12984/2006; 7610/2006; 10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove esso fosse stato preso in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa: tale onere nella specie non è stato ottemperato dal ricorrente, atteso che non sono stati trascritti il verbale del 25-3- 1991 e le memorie alle quali si fa riferimento nè sono indicate, in relazione al contenuto degli atti, le regole ermeneutiche violate, alle quali si fa un generico richiamo.
Peraltro, la ratio decidendi, posta a base della sentenza impugnata ed assorbente di ogni altra considerazione, è la tardività della eventuale informazione della pendenza del giudizio che ai condomini sarebbe stata compiuta il 25-3-1991, cioè quando era stata emessa la sentenza di primo grado ed era stato notificato l’atto di appello. I Giudici hanno correttamente evidenziato come l’obbligo dell’amministratore di informare senza indugio i condomini della pendenza di un giudizio contro il condominio deve avvenire immediatamente, in modo tale da consentire la preventiva valutazione circa l’opportunità o meno di resistere in giudizio : il che, nella specie, si doveva tradurre nella possibilità per il Condominio di compiere un giudizio di comparazione fra l’interesse a mantenere ferma la delibera impugnata, sostenendo le spese e il tormentato iter di un giudizio civile, e quello di accogliere (in tutto o in parte) le doglianze sollevate dalla condomina – anche attraverso una transazione – ritenendo più conveniente una soluzione conciliativa così da evitare le spese di un contenzioso, che peraltro ha sempre margini di incertezza. Ed è di tutta evidenza come una siffatta scelta – che necessariamente andava compiuta preventivamente non fu possibile da parte del Condominio, il quale ebbe così a subire le conseguenza negative derivanti dall’esito sfavorevole di un giudizio di cui sarebbe venuto a conoscenza addirittura dopo la sentenza di primo grado e dopo la notificazione da parte del Condominio dell’appello – e in relazione al quale non ebbe modo di prendere alcuna decisione.
Ed è appena il caso di considerare come anche una soluzione amichevole della vertenza con il raggiungimento di un accordo transattivo, che non fosse stato penalizzante per il Condominio, intanto, avrebbe potuto trovare attuazione in quanto fossero state avviate trattative con la controparte subito dopo la notificazione dell’atto introduttivo della lite, perchè evidentemente ben più sfavorevole era la posizione del convenuto dopo una sentenza sfavorevole emessa in primo grado. Ed in mancanza della possibilità di avviare un confronto con la posizione assunta dalla condomina impugnante e quindi di verificare la esistenza di margini per un accordo amichevole, è del tutto fuori luogo fare riferimento a un onere posto a carico del Condominio di offrire la prova che avrebbe altrimenti soddisfatto le ragioni dell’attrice. Ne consegue che correttamente i Giudici hanno determinato il danno nella misura delle spese relative al giudizio che il Condominio è stato condannato a pagare a favore della condomina G. nonchè di quelle dal medesimo sostenute all’esito sfavorevole della lite.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.
P.Q.M.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.800,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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