Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14109

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza 18 novembre 2009, la Corte di appello di Genova, capovolgendo la decisione di primo grado condannava i sigg. A. e N. a rimettere in pristino l’originaria copertura a falde del tetto dell’edificio sito in (OMISSIS).

Rilevava che i convenuti appellati A.A. e N. C. avevano demolito parzialmente il tetto dell’edificio condominiale, tagliando le travi di sostegno e installando una ringhiera per realizzare "un terrazzino di pertinenza del loro alloggio".

La Corte, adita da M.C. e L.G., affermava che l’opera aveva asservito il bene all’uso del singolo, sottraendolo alla fruizione comune.

Riteneva che l’alterazione della cosa comune costituiva profilo assorbente rispetto alla denunciata lesione del decoro architettonico.

A. e N. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 14 maggio 2010, affidandosi a due motivi.

Parte intimata ha resistito con controricorso.

Sono state depositate memorie.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso Lamenta violazione di norme sul procedimento e vizi di motivazione.

La censura si riferisce alla parte della sentenza in cui sembrerebbe negato che la superficie calpestabile dell’attuale terrazzino costituisse già prima dei lavori parte integrante dell’alloggio degli odierni ricorrenti.

Essi assumono che la superficie del loro appartamento non è aumentata a seguito delle opere e che quindi va esclusa, già sotto questo profilo, ogni indebita attrazione della cosa comune nella sfera della proprietà privata del singolo condomino. Di qui l’insussistenza di violazione dell’art. 1102 c.c. (ricorso pag. 17).

Il motivo va esaminato con il seguente per la parte relativa alla denunciata violazione dell’art. 1102 c.c., ravvisata dalla Corte territoriale. Trattasi dell’unica parte rilevante, giacchè non emerge dalla sentenza la prima temuta ratio decidendi, relativa alla proprietà del piano di calpestio.

Su questo punto la Corte di appello si è limitata a riportare alcune risultanze della consulenza, nella quale si dava atto della preesistenza di "qualche ripostiglio". La decisione nel senso della illegittimità dell’opera non è stata tuttavia imperniata sull’occupazione di spazi condominiali sottotetto, ma esclusivamente sulla modifica del tetto condominiale.

Sono infatti rimaste assorbite anche le altre questioni poste.

Quanto alla violazione dell’art. 1102 c.c., v’è materia per discuterne solo congiuntamente al secondo motivo, poichè la proprietà privata o condominiale del sottotetto, che non è stata oggetto di espresso accertamento potrebbe essere rilevante, per quanto si dirà, in sede di giudizio di rinvio.

Il secondo motivo, che lamenta violazione dell’art. 1102 e dell’art. 1120 c.c. concerne la legittimità della trasformazione di una parte del tetto condominiale in terrazza.

La censura è fondata.

Un ripetuto orientamento della Corte (Cass. 3199/83; 4466/97;

1737/05) tramanda che la trasformazione in terrazzo del tetto di copertura di un edificio condominiale ad opera del condomino proprietario del piano adiacente e non sottostante e l’annessione del terrazzo alla sua proprietà esclusiva, mediante creazione di un accesso diretto per uso a lui solo riservato, è illegittima, in quanto tale attività, oltre a non essere riconducibile all’esercizio del diritto di sopraelevazione attribuito al proprietario dell’ultimo piano dello edificio condominiale, realizza, per un verso, alterazione unilaterale della funzione e destinazione, di mera copertura e protezione delle sottostanti strutture, propria del tetto preesistente, e, per altro verso, comporta appropriazione di cosa comune, che integra violazione dei diritti di comproprietà e delle inerenti facoltà di uso e godimento (secondo la sua natura) spettanti agli altri condomini in ordine a parte comune dello edificio (v. anche 4579/81; 3369/91 e 8777/94).

Si è detto pertanto che la eliminazione del tetto dell’edificio trasformato dal proprietario dell’ultimo piano in terrazza ad uso esclusivo è illegittima perchè impedisce agli altri condomini di poterlo utilizzare per quella finalità (Cass 24414/06).

Si è aggiunto (Cass. 972/06) che è illegittima la trasformazione, perchè la cosa comune viene sottratta all’utilizzazione da parte degli altri condomini, ed è mutato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, avuto riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. In tal senso conclude anche Cass 5753/07, in un caso nel quale i proprietari esclusivi di tutto il sottotetto avevano asportato una "minima" porzione, pari a 9 mq su 150 mq di estensione.

6) Il Collegio reputa che questo orientamento debba essere ripensato sotto più profili.

In primo luogo occorre rilevare una linea di incoerenza di esso con quella giurisprudenza, rafforzatasi nel corso di questi anni, che da facoltà ai condomini di aprire porte e finestre nei muri perimetrali.

E’ da tempo ricorrente l’affermazione che l’ampliamento o l’apertura di una porta o finestra, da parte di un condomino, o la trasformazione di una finestra, che prospetta il cortile comune, in porta di accesso al medesimo, mediante lo abbattimento del corrispondente tratto del muro perimetrale che delimita la proprietà del singolo appartamento, non costituisce, di per sè, abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune (Cass. 703/87; 1112/88).

Si è giustificata questa valutazione, osservando che tale opera non comporta per i condomini una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102 c.c., comma 1, rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro non sia volta ad ovviare a una interclusione, ma si correli soltanto all’intento di conseguire una più comoda fruizione dell’unita1 immobiliare da parte del suo proprietario (Cass. 4155/94).

Fermo l’obbligo di non pregiudicare il decoro architettonico dell’edificio, è stato sancito pertanto più volte che il condomino può aprire nel muro comune dell’edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti, trattandosi di opere di per sè non incidenti sulla destinazione della cosa (Cass. 4996/94; 20200/05;

13874/10).

Si è ritenuta anche legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla proprietà’ esclusiva (Cass. 1554/97).

Proprio nella sentenza da ultimo citata si è precisato che funzione dei muri perimetrali di un fabbricato condominiale è non solo di recingere l’edificio e sorreggere le strutture, ma anche di contenere le porte, le finestre, i balconi etc. L’utilizzazione del muro può consistere nella creazione o ampliamento di aperture.

6.1) Tale facoltà è stata ammessa tuttavia anche con riguardo al tetto degli edifici, affermando che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può aprire su esso abbaini e finestre – non incompatibili con la sua destinazione naturale – per dare aria e luce alla sua proprietà, purchè le opere siano a regola d’arte e non pregiudichino la funzione di copertura propria del tetto, nè ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo (Cass. 17099/06; 1498/98).

Questa ormai pacifica facoltà di frantumare l’unitarietà strutturale del bene perimetrale (muro o tetto che sia) fa dubitare circa la fondatezza della perentoria affermazione di divieto di modesti tagli del tetto.

Qualora detti tagli diano luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione e alla destinazione della modifica stessa, può dirsi che rientrino nell’ambito delle opere consentite al singolo condomino.

Dal punto di vista strutturale si può dar luogo a interventi meno vistosi della realizzazione di un abbaino, che, se attuati con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali, sono compatibili con il mantenimento della destinazione della cosa locata.

6.2) Questa considerazione, formulata per assimilazione tra diverse opere che incidono su una parte perimetrale dell’edificio (muro o tetto), deve essere verificata alla luce dei due concetti fondamentali di destinazione della cosa comune e di pari uso della cosa comune.

Conviene muovere da quest’ultimo.

La giurisprudenza di legittimità, in uno degli svolgimenti più acuti in materia, ha stabilito che "la nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102 c.c. – che in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. è applicabile anche in materia di condominio negli edifici – non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri. Essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condòmino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto (così Cass., sez. 2, 30-05-2003, n. 8808).

Muovendo da questi principi, che contengono pertinenti richiami al principio solidaristico, si impone una rilettura delle applicazioni dell’istituto di cui all’art. 1102 c.c., che sia quanto più favorevole possibile allo sviluppo delle esigenze abitative.

Questo sviluppo si ripercuote favorevolmente sulla valorizzazione della proprietà del singolo, ma mira soprattutto a moderare le istanze egoistiche che sono sovente alla base degli ostacoli frapposti a modifiche delle parti comuni come quella in esame.

In una visione del regime condominiale tesa a depotenziare i poteri preclusivi dei singoli e a favorire la correntezza dei rapporti (si pensi a Cass. SU 4806/05 in tema di deliberazioni nulle o annullabili) non è coerente, nè credibile, intendere la clausola del "pari uso della cosa comune" come veicolo per giustificare impedimenti all’estrinsecarsi delle potenzialità di godimento del singolo.

Qualora non siano specificamente individuabili i sacrifici in concreto imposti al condomino che si oppone, non si può proibire la modifica che costituisca uso più intenso della cosa comune da parte del singolo, anche in assenza di un beneficio collettivo derivante dalla modificazione.

Non lo si può chiedere in funzione di un’astratta o velleitaria possibilità di alternativo uso della cosa comune o di un suo ipotetico depotenziamento (cfr Cass. 4617/07), ma solo ove sia in concreto ravvisabile che l’uso privato toglierebbe reali possibilità di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini-utenti (cfr Cass. 17208/08 che ha escluso la legittimità dell’installazione e utilizzazione esclusiva, da parte di un condomino titolare di un esercizio commerciale, di fioriere, tavolini, sedie e di una struttura tubolare con annesso tendone).

Se è intuitivo, alla stregua della definizione data da 8808/03, che non è conforme a diritto impedire al proprietario del sottotetto di installare una finestra da tetto perchè il proprietario di un piano intermedio non potrebbe fare altrettanto, è inevitabile interrogarsi sulla nuova frontiera tra uso consentito della cosa comune e alterazione di essa, alla luce da un lato del principio solidaristico e dall’altro delle moderne possibilità edificatorie.

6.3) La destinazione della cosa, di cui è vietata l’alterazione, è da intendere in una prospettiva dinamica del bene considerato.

La possibilità, dianzi ricordata, di applicare finestre da tetto con notevole efficacia coibente e gradevoli esteticamente contribuisce senz’altro a far ritenere compatibile tale utilizzo con il rispetto della destinazione del bene.

Altrettanto può valere per la realizzazione di piccole terrazze che sostituiscano efficacemente il tetto spiovente nella funzione di copertura dell’edificio.

Non è funzionalmente alterata la destinazione del tetto, se alla falda si sostituisce un’opera di isolamento e coibentazione inserita nel piano di calpestio.

Rimane da chiedersi se la materiale soppressione di una porzione limitata della falda sia di per sè alterazione della destinazione della cosa.

La risposta deve essere negativa, perchè per destinazione della cosa si intende la complessiva destinazione di essa, che deve essere salva in relazione alla funzione del bene e non alla sua immodificabile consistenza materiale.

Pertanto la soppressione di una piccola parte del tetto, se viene salvaguardata diversamente la funzione di copertura e si realizza nel contempo un uso più intenso da parte del condomino, non può esser intesa come alterazione della destinazione, comunque assolta dal bene nel suo complesso.

Ovviamente il giudizio sul punto andrà formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari e si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimità solo avendo riguardo alla motivazione.

Spetterà quindi al giudice di rinvio verificare puntualmente la misura della terrazza realizzata, che il ricorso indica in 3-4 metri quadrati di tetto a fronte di una superficie complessiva molto più grande, e valutarne l’incidenza.

La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Genova che liquiderà le spese di questo giudizio, procederà a nuovo esame e si atterrà al seguente principio:

"Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può effettuare la trasformazione di una parte del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo proprio, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene".

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Genova, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 24 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *