Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14106

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
L.R.C. e U.C., nuda proprietaria la prima e usufruttuaria la seconda di un edificio sito in (OMISSIS), agivano innanzi al Tribunale di Messina a tutela della servitù di veduta esercitata dal terrazzo del loro immobile, lamentandone la soppressione a causa di un corpo di fabbrica che la E. C. s.r.l. aveva eretto sul vicino fondo servente di sua proprietà.
Domandavano, pertanto, la condanna della società convenuta alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, mediante demolizione di tali opere edilizie.
La E. C. s.r.l. resisteva in giudizio.
Con sentenza del 6.6.2001 il Tribunale, accertato l’acquisto per usucapione della servitù di veduta, condannava la società convenuta al risarcimento dei danni per equivalente, che liquidava in L. 50.000.000.
Proposta impugnazione dalla E. C., la Corte d’appello di Messina alla prima udienza del 20.12.2011, sulla dichiarazione del procuratore di U.C., pronunciava l’interruzione del processo per morte di quest’ultima, ma con successiva ordinanza, sollecitata dall’appellante che aveva dedotto che il decesso della U. risaliva al 3.4.2000 e dunque ad epoca anteriore all’udienza di discussione della causa in primo grado, la Corte territoriale revocava la dichiarazione a interruzione, osservando che il difensore della U. non si era costituito in appello e che il mandato difensivo era limitato al solo giudizio di primo grado, ragion per cui questi non avrebbe potuto efficacemente dichiarare l’evento interruttivo.
Costituitasi in giudizio, L.R.C. all’udienza del 14.3.2002 instava per una nuova dichiarazione di interruzione del giudizio, in considerazione dell’ampio mandato che la U. aveva conferito al suo difensore. La Corte d’appello con ordinanza del 28.3.2002 accoglieva l’istanza dichiarando l’interruzione del processo, che la E. C. riassumeva con ricorso dell’11.11.2002 nei riguardi di L.R.A., quale erede di U.C.. Con ordinanza emessa alla successiva udienza del 20.3.2003 la Corte rigettava l’eccezione di estinzione del giudizio formulata dal difensore di L.R.C. per tardività della riassunzione.
Quindi, con sentenza pubblicata il 20.7.2010, in parziale accoglimento dell’appello, la Corte siciliana riduceva il risarcimento del danno a Euro 5.750,00, condannando L.C. R. a restituire alla società appellante la differenza già percepita.
Riteneva la Corte territoriale che l’eccezione di estinzione del giudizio, reiterata dalla difesa della L.R. nei propri scritti conclusionali, fosse inammissibile, sia perchè proposta da parte diversa da quella cui si riferiva l’evento interruttivo, sia perchè con il decesso della U. si era consolidata la proprietà piena del fondo dominante in favore della L.R., con la conseguenza che non vi era alcun nesso litisconsortile tra quest’ultima e gli eredi della U..
Nel merito, la Corte territoriale osservava che il danno doveva essere liquidato per equivalente sulla base della relazione del nuovo c.t.u. nominato in appello, avendo riguardo alla riduzione di valore del fondo dominante per effetto della soppressione della veduta.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre L.R.C., formulando due motivi d’impugnazione.
La E. C. s.r.l. resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente deduce la nullità del procedimento e della sentenza per erronea interpretazione e applicazione degli artt. 298, 304 e 307 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5. Sostiene il proprio interesse a formulare l’eccezione di estinzione per aver agito quale nuda proprietaria insieme con l’usufruttuaria, U.C., che era peraltro la propria madre, e richiama giurisprudenza di questa Corte (n. 15948/05) secondo la quale l’interruzione può essere dedotta da tutte le parti interessate, in quanto l’interesse all’estinzione non coincide con quello tutelato dall’interruzione del processo, e riconoscendo la legge a tutte le parti l’interesse alla riattivazione del processo, non vi è ragione di attribuire soltanto ad alcune di esse la possibilità di evitarla.
Invoca, quindi, il principio di ultrattività del mandato per affermare che il difensore della U., benchè costituito per la stessa solo in primo grado e non anche nel giudizio d’appello, aveva il potere di dichiarare l’evento interruttivo in quanto originariamente munito di una procura valida anche per gli ulteriori gradi di giudizio.
Quanto alla decorrenza del termine di riassunzione, richiama l’orientamento di questa Corte secondo cui il termine inizia a decorrere dal momento della dichiarazione dell’evento interruttivo resa dal difensore in udienza o dalla notificazione effettuata alle altre parti, mentre non ha rilievo, ai fini di uno spostamento di tale momento iniziale, il fatto che il provvedimento dichiarativo dell’interruzione sia stato emesso successivamente. Pertanto, conclude, essendo innegabile che nella specie detto termine decorra dalla dichiarazione di morte della U., resa all’udienza del 14.3.2002, il termine semestrale di riassunzione, maggiorato del periodo di sospensione feriale, è scaduto il 29.10.2002, e dunque la riassunzione effettuata dalla E. C. l’11.11.2002 è tardiva.
1.1. – Il motivo è infondato.
Nella più recente giurisprudenza di questa Corte ha guadagnato consenso (a partire da Cass. S.U. n. 15783/05) l’opinione (che trova riscontro anche in qualificata dottrina) secondo cui la facoltà del difensore di continuare a rappresentare la parte che gli abbia conferito il mandato, allorchè quest’ultima sia deceduta dopo la costituzione in giudizio, debba essere confinata all’interno della fase processuale in cui l’evento si è verificato (v. Cass. S.U. n. 10706/06 e n. 18485/10). Pertanto, qualora uno degli eventi idonei a determinare l’interruzione del processo, ai sensi dell’art. 301 c.p.c., quale la morte della parte, si verifichi nel corso del giudizio di primo grado e tale evento non venga dichiarato nè notificato dal difensore della parte alla quale l’evento stesso si riferisce, il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati e, quindi, da e contro gli eredi (Cass. nn. 6701/09 e 5387/09; in senso del tutto analogo, Cass. nn. 259/1 le 17692/11).
Alla base di tale indirizzo vi è tanto una riconsiderazione del principio di c.d. ultrattività del mandato che, attribuendo al procuratore la possibilità di continuare a rappresentare in giudizio la parte che gli abbia conferito il mandato, deroga in via eccezionale al contrapposto principio secondo il quale la morte del mandante estingue il mandato (in base alla normativa sulla rappresentanza e sul mandato di cui all’art. 1722 c.c., n. 4); quanto l’indicazione, di valenza euristica, tratta dall’art. 328 c.p.c., comma 1 – in base al quale se durante la decorrenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c. sopravviene alcuno degli eventi previsti nell’art. 299 c.p.c., il termine stesso è interrotto e il nuovo decorre dal giorno in cui la notificazione della sentenza è rinnovata -, norma da cui si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato nè notificato (così, Cass. S.U. n. 15783/05). Ne deriva in conclusione (e al contrario di quanto ritenuto dalla giurisprudenza meno recente di questa Corte Suprema: v. Cass. S.U. n. 1229/84 e Cass. n. 3431/98) che è inammissibile l’impugnazione proposta dal difensore – nominato nel grado precedente – per conto del de cuius (cfr. Cass. n. 5387/09).
Aderendo, come questa Corte ritiene di aderire, all’indirizzo anzi detto, appare del tutto consequenziale che il difensore della parte deceduta nel giudizio di primo grado, come non abbia il potere di proporre impugnazione avvalendosi della procura " ormai estinta, a nulla rilevando la maggiore o minore estensione di essa, così neppure possa comparire nel giudizio d’appello instaurato da altra parte, al fine di dichiarare detto evento, che coerentemente deve ritenersi deprivato dell’originaria idoneità interruttiva.
1.2. – Va da sè che esclusa tanto la possibilità per il difensore della parte deceduta nel giudizio di primo grado di utilizzare a qualunque fine la procura in allora rilasciatagli, tanto la rilevanza del decesso verificatosi nella fase attiva del giudizio di primo grado al fine di provocare l’interruzione del giudizio d’impugnazione secondo il consueto modulo di dichiarazione o notificazione dell’evento così come previsto dall’art. 300 c.p.c., comma 1 resta assorbito l’esame di ogni ulteriore censura sviluppata dalla ricorrente in ordine alla decorrenza del termine di riassunzione del processo interrotto e alla legittimazione ad eccepirne l’estinzione.
2. – Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 in quanto la liquidazione del danno per equivalente non poteva più essere oggetto di accertamento in fase di gravame, "non essendo stata formulata alcuna domanda in tal senso al momento della precisazione delle conclusioni del primo grado, stante che tale richiesta è stata introdotta irritualmente dall’Enoel solo con la comparsa conclusionale depositata l’8.3.2001".
Sostiene parte ricorrente che con tale atto difensivo la società convenuta evidenziò che la restitutio in integrum sarebbe stata eccessivamente onerosa e chiese, pertanto, che in alternativa fosse liquidato un risarcimento pari al valore del pregiudizio subito dalle attrici. Tale richiesta, già tardiva ed irrituale in primo grado – prosegue parte ricorrente – è stata accordata parzialmente dal giudice di prime cure, per scongiurare conseguenze disastrose per la società convenuta, ove fosse stata disposta la demolizione del corpo di fabbrica che aveva cagionato la perdita della veduta. Pertanto, "poichè vige il divieto di cui all’art. 345 c.p.c. in fase d’appello, eccepito tempestivamente dalla ricorrente con l’atto di costituzione in giudizio, non poteva sul punto essere disposta una ulteriore perizia dall’organo di secondo grado".
2.1. – Anche tale motivo è infondato, atteso che la L.R. avrebbe dovuto proporre appello incidentale per far valere la dedotta illegittimità dell’opzione risarcitoria per equivalente in luogo di quella in forma specifica, e che, di conseguenza, sulla relativa questione si è formato il giudicato interno.
3. – In conclusione il ricorso va respinto.
4. – Infine, deve rilevarsi che sebbene nell’intestazione del controricorso sia indicata anche la dizione di "ricorso incidentale", in realtà deve ritenersi del tutto inesistente una siffatta impugnazione, sia per l’assenza di qualsivoglia seppur apparente motivo di censura verso la decisione d’appello, sia per le conclusioni richieste, che si limitano ad instare per la reiezione del ricorso.
5. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 4.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *