Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14104

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Svolgimento del processo
F.A., con ricorso del 2 agosto 2000 agiva in via possessoria nei confronti di R.J., in persona dei genitori esercenti la potestà genitoriale, esponendo di aver posseduto per moltissimi anni alcuni terreni adiacenti ad una casa di proprietà della moglie S.A., accedendo ad essi sia dalla casa stessa, sia provenendo dalla via pubblica lungo un viottolo oppure da un cancello sito al di sopra della casa. Era accaduto che in seguito alla vendita all’asta esecutiva della casa della moglie del ricorrente i genitori del convenuto agendo in nome e per conto del figlio (che di quella casa loro tramite era divenuto acquirente), avessero proceduto in via di rilascio forzoso, fino ad essere immessi nel possesso non solo della casa suddetta ma anche di parte di altri terreni (oggetto della presente causa) con interclusione dei passaggi utilizzati per raggiungere il restante terreno a prato, nel quale non vi era stata immissione nel possesso in favore del R. in esito all’esecuzione forzata. Il ricorrente, pertanto, rivendicando il possesso dei suddetti terreni non facenti parte della proprietà trasferita in sede di esecuzione immobiliare nonchè dei passaggi ad essi funzionali insisteva per la propria reintegrazione.
Si costituiva il convenuto in persona dei genitori, nonchè il di lui padre R.F., personalmente, contestando la domanda del ricorrente osservando che i terreni e le zone di esercizio dei passaggi rivendicati erano di proprietà di terzi che se ne erano resi acquirenti in sede fallimentare. Veniva contestata la sussistenza di un effettivo possesso autonomo in capo alla F. che – a dire dai resistenti – aveva utilizzato la casa e quanto ad essa pertinenziale solo come familiare della di lui moglie e proprietaria.
Il Tribunale di La Spezia con sentenza n. 1218 del 2002, condannava R.J., in persona dei propri genitori, a reintegrare F.A. nel possesso del piano a prato inglese nonchè nell’esercizio del passaggio che dalla plana consentiva di accedere all’orto sottostante.
Avverso questa sentenza interponeva appello R.F..
Al presente giudizio veniva riunito altro giudizio promosso da F.A. nei confronti di R.F. e S. G. in proprio e nella qualità, nonchè del fallimento C.I.R..
Con il relativo atto di appello l’istante impugnava la sentenza n. 824 del 2005 con la quale il Tribunale di La Spezia aveva revocato l’ordinanza che ordinava a R.J., in persone dei suoi genitori, di reintegrare F.A. nel possesso dei beni oggetto di causa.
Si costituiva il fallimento C.I.R., in persona del curatore, assumendo di essere il reale possessore dei beni di cui il F. aveva chiesto la reintegrazione del possesso, chiedendo il rigetto dell’appello, la conferma della decisione gravata.
La Corte di Appello di Genova con sentenza n. 929 del 2009 respingeva l’appello e confermava la sentenza n. 1218 del 2002 del Tribunale della Spezia, rigettava l’appello incidentale con il quale il F. aveva chiesto di essere reintegrato nel possesso del passaggio carrabile dal cancello insistente: sul mappale n. 225 (ora 616). A sostegno di questa decisione, la Corte genovese osservava: a) che era risultato provato che il F. avesse esercitato con carattere d attualità un potere di fatto sui beni oggetto di causa, b) era risultato, altresì, che il possesso di cui si dice aveva assunto carattere autonomo e pertanto, non rilevava il loro carattere pertinenziale ai beni di proprietà di S.A.M.. c) era risultato che il passaggio dal cancello posto nella parte superiore alla casa non appariva funzionale (se non indirettamente) per raggiungere la piana inferiore e l’orto, pertanto non poteva essere riconosciuta al F. la tutela possessorio relativamente a tale passaggio.
La cassazione della sentenza n. 929 del 2009 della Corte di Appello di Genova è stata chiesta da R.F. e R.J. con ricorso affidato a tre motivi, illustrati con memoria. F. A. e il Fallimento C.I.R., regolarmente intimati in questa fase non hanno svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1.= Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p. c., n. 4 omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo i ricorrenti la Corte territoriale avrebbe omesso di dar conto dell’eccezione di difetto di interesse ad agire del F., avanzata da R. con il suo atto di costituzione in appello. In verità, chiariscono i ricorrenti, F. per ottenere di essere reintegrato nel possesso della piana a prato inglese e del passaggio per accedervi da quella sottostante coltivata ad orto non avrebbe avuto la necessità di tutelarsi promuovendo con ricorso un altro procedimento possessorio, quello, appunto, conclusosi con sentenza che lo stesso ha impugnato.
Secondo i ricorrenti il F. avrebbe potuto e dovuto limitarsi a chiedere ai sensi dell’art. 669 duodecies c.p.c. che fossero stabilite le modalità di esecuzione dell’ordinanza interinale del 27 novembre 2000, emessa a conclusione della fase sommaria del procedimento possessorio da esso precedentemente instaurato con il ricorso del 2 agosto 2000.
I ricorrenti concludono proponendo il seguente quesito: stabilisca la Corte se l’omesso esame della doglianza dell’appellato R. relativa alla carenza di interesse ad agire (art. 100 epe) dell’appellante F.A. avendo questo promosso un giudizio per ottenere un provvedimento di reintegra nel possesso di contenuto identico a quello di altro provvedimento di reintegra anteriormente emesso ad istanza del medesimo, viola l’art. 112 c.p.c., e quindi determina la nullità della sentenza impugnata. Stabilisca la Corte se nella sentenza impugnata è ravvisabile il vizio di omessa motivazione denunciato in rubrica in quanto non è stata presa in considerazione l’eccezione di difetto di interesse ad agire sollevata dall’appellato.
1.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè la Corte di appello i di Genova non ha omesso di dar conto dell’eccezione formulata dagli attuali resistenti e relativa all’interesse ad agire del F..
1.1.a).= Va preliminarmente osservato che la compresenza di due giudizi promossi dallo stesso soggetto e avente lo stesso oggetto non determina necessariamente un’ipotesi di litispendenza ai sensi dell’art. 39 c.p.c. se i soggetti convenuti nel secondo giudizio non sono gli stessi soggetti – o non sono parzialmente gli stessi, del primo giudizio. Piuttosto, questa seconda ipotesi integra gli estremi della fattispecie di cui all’art. 273 c.p.c. che comporta la riunione dei giudizi.
1.1.b).= Ora nell’ipotesi in esame, F. aveva instaurato un giudizio nei confronti di R.F. e S.G., in proprio e nella qualità, nonchè del fallimento C.R. J., chiedendo la definitiva reintegra nel possesso dei beni oggetto di causa, anche se aveva già chiesto lo stesso provvedimento con precedente istanza. Epperò, a ben vedere, la prima istanza di giustizia verteva solo nei confronti di R.I., mentre la seconda, solo in parte, riguardava R.J.. La diversità dei soggetti convenuti, nel secondo giudizio, escludeva la carenza di interesse ad agire del F. e identificava un’ipotesi riconducibile all’art. 273 c.p.c.. Con la conseguenza che il provvedimento che ha disposto la riunione dei due giudizi, entrambi in fase di appello, da un verso restituiva ordine alla funzione giurisdizionale e per altro escludeva, in modo diretto sia pure implicitamente, che nell’ipotesi potesse rinvenirsi la carenza di interesse ad agire del F..
2.= Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1168 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte genovese, secondo i ricorrenti, per aver ritenuto che il F. quando abitava nella casa della moglie S. aveva un interesse proprio a stabilire o conservare una relazione di fatto con la piana coltivata a prato all’inglese in quanto (provenendo dalla casa contigua) l’attraversava per accedere alla sottostante piana (da esso) coltivata ad orto, posto che possesso e godimento di un bene sono situazioni diverse e non assimilabili. Piuttosto, ritengono i ricorrenti, nell’utilizzazione della piana a prato per accedere a quella sottostante ad orto da parte del F. non può individuarsi un possesso bensì un mero godimento. La piana a prato all’inglese come del resto quella sottostante coltivata ad orto avevano la funzione di accrescere l’amenità e di ampliare il godimento della casa vicina.
Solo al S. in quanto proprietaria e possessore della cosa principale (casa) esercitava sulle cose accessorie (piane) un potere di fatto a somiglianzà del diritto domenicale o del diritto di servitù. La circostanza che il F. dalla casa raggiungesse la piana ad orto, attraversando quella a prato, non integra una situazione possessoria ricollegandosi piuttosto al rapporto di coniugio tra essa e la S. proprietaria della casa ove egli abitava, tanto è vero che la moglie potendolo estromettere dall’abitazione, gli avrebbe potuto impedire l’uso della piana.
Piuttosto, il rapporto di cui si dice è certamente assimilabile a quello di servizio o di ospitalità che ai sensi dell’art. 1168 cod. civ., comma 2 escludono la legittimazione del detentorc ad esperire l’azione di spoglio. A sua volta l’attività svolta sulla cosa per ragioni di ospitalità non rappresenta una situazione possessoria sicchè colui che la pone in essere non può giovarsi della presunzione di cui all’art. 1141 cod. civ..
I ricorrenti concludono formulando i seguenti quesiti: Stabilisca la Corte se possa configurarsi un possesso autonomo di un coniuge su un immobile (cosa accessoria) a servizio di altro immobile (cosa principale) in possesso e in proprietà dell’altro coniuge anche laddove la tale relazione tra i due immobili resti immutata.
Stabilisca la Corte se l’obbligo della motivazione in ordine al possesso autonomo di un fondo a somiglianza del diritto di proprietà possa ritenersi assolto attraverso la prova dell’esercizio del passaggio sul fondo medesimo.
2.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto non solo perchè sostanzialmente sollecita una nuova e diversa valutazione delle risultanze istruttorie, ovvero, un nuovo giudizio di merito inibito al Giudice di legittimità, ma, e soprattutto, perchè la qualificazione della situazione di fatto effettuata dalla Corte territoriale, in termini di possesso, risponde alla normativa di cui all’art. 1140 c.c., e segg..
2.1.a).= Intanto, nel caso in esame la Corte genovese ha chiarito di aver qualificato il potere di fatto sui beni oggetto di causa esercitato dal F. in termini di possesso in ragione di una compiuta istruttoria, compresa la prova, testimoniale, e tale valutazione, non appare censurata dagli attuali resistenti posto che gli stessi si limitano ad affermare che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, quel potere di fatto integrava gli estremi della detenzione perchè F. avrebbe svolto l’attività sulla cosa per ragioni di ospitalità e non con l’animus rem sibi habendi.
2.1a.1).= Epperò, i ricorrente non possono rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne l1 attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
2.1.b).= Dall’analisi dell’art. 1140 c.c., comma 2 emerge la distinzione tra possesso e detenzione. Tale norma, infatti, indica la possibilità di possedere anche in via indiretta, ossia "per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa". Il principale carattere differenziale della detenzione è la mancanza nel titolare dell’elemento psicologico tipico del possesso, parlandosi, al contrario, di "animus detinendi". Il detentore non ha la volontà di esercitare poteri sulla res a nome proprio, poichè la sua relazione con lai cosa si fonda sempre sulla titolarità di un diritto personale di godimento o su un’obbligazione. A sua volta, considerate le difficoltà probatorie circa l’accertamento in concreto dell’animus "possidendi" ovvero "detinendi", l’art. 1141 c.c. ha introdotto una presunzione relativa generale di "possesso", attribuendo a chi esercita il potere di fatto sulla cosa la qualifica di "possessore", a meno che non si provi che costui abbia iniziato (e/o continua) ad esercitarlo come mero detentore o per ragioni di ospitalità o di servizio.
2.1.b.1).= Ora nel caso in esame la Corte genovese da un verso ha accertato che il F. utilizzava da tempo i beni in questione, esercitando su di essi un potere di fatto (del quale chiedeva la tutela possessoria), per altro, escludeva che il possesso del F. derivasse dal rapporto personale che lo univa al coniuge S., posto che era risultato che quel possesso aveva assunto carattere autonomo. Appare quindi evidente, in relazione agli accertamenti di fatto compiuti nel giudizio di merito che il F. ha esercitato il possesso nella zona di terreno utilizzata come passaggio non soltanto come coniuge della proprietaria del fondo dominante, quanto in, proprio, quale soggetto avente diritto proprio di godere di quel passaggio in ragione dell’utilizzazione da questi in concreto esercitata e quindi uti dominus, si da ingenerare un possesso tutelabile.
In ragione di tale accertamento, non censurabile siccome afferente a questione di merito, in questa sede, secondo cui sussistevano le condizioni per ritenere che in capo al F. si fosse ingenerata una situazione di possesso come tale ritenuta, in base alla valutazione non incongrua, nè priva di plausibilità del giudice del merito, e pertanto in quanto tale tutelabile, il motivo non può trovare accoglimento.
3.= Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo i ricorrenti, nell’aver condannato R.J. alla refusione delle spese del giudizio di secondo grado in favore del fallimento C.I.R. (appellato), seppure questi non ne abbia fatta domanda e, quantunque non possa configurarsi una soccombenza del R. medesimo nei confronti del fallimento perchè questi è intervenuto volontariamente in giudizio per sostenere le ragioni del R. medesimo. Concludono i ricorrenti con il seguente quesito: Chiarisca la Corte se la condanna alla refusione delle spese in difetto di corrispondente domanda integri la violazione dell’art. 112 c.p.c., e perciò determini la nullità delle ; sentenze. Stabilisca la Corte se ai sensi dell’art. 91 c.p.c. la condanna alle spese possa essere pronunciata, anche laddove tra le parti non via sia soccombenza.
3.1.= Questo motivo è fondato e va accolto perchè il fallimento si è costituito per contrastare solo le pretese del F., assumendo una posizione processuale omologa a quella dell’odierno ricorrente e risultando, quindi soccombente al pari di lui. Per altro, va qui osservato che la condanna alle spese è pronuncia consequenziale ed accessoria rispetto alla definizione del giudizio, pertanto, legittimamente può essere emessa, a carico della parte soccombente, anche d’ufficio, in mancanza di un’esplicita richiesta della parte vittoriosa.
In definitiva, va accolto il terzo motivo del ricorso e rigettati gli altri: La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, ma non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere nel merito dichiarando non dovute dal ricorrente le spese di secondo grado a favore del fallimento. Non occorre provvedere alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio perchè F.A. e il Fallimento C.I. R. regolarmente intimati, in questa fase, non hanno svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso e rigetta gli altri:
Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito dichiara non dovute dal ricorrente le spese di secondo grado e favore del fallimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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