Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1) Il ricorso concerne la sentenza n. 2111/06 del 31 agosto 2006 della Corte di appello di Milano, la quale, in parziale riforma della sentenza resa nel 2003 dal tribunale di Corno, ha disposto la costituzione di servitù coattiva di passo carraio in favore del fondo sito in (OMISSIS) di proprietà degli odierni resistenti Gr. – M. e a carico del fondo vicino, di proprietà dei ricorrenti signori A. G. e B.G..
Questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 7 dicembre 2006, svolgendo tre censure, compendiate in due motivi.
Gr.Ma. e M.M. hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
2) La Corte d’appello di Milano, dopo aver confermato che la servitù originariamente esistente era venuta meno per non uso ultraventennale, ha esaminato la domanda di servitù carrabile di passo da imporre coattivamente in relazione alle esigenze abitative del fondo.
La ha accolta, trattandosi non di mera comodità, ma di passaggio carraio necessario a "rendere possibile il conveniente uso del fondo stesso nella destinazione preesistente, arrecando nel contempo il minor possibile danno al fondo servente", gravato soltanto "in una porzione minuscola e marginale".
3) Il primo motivo di ricorso censura questa decisione sotto duplice profilo.
Denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1051 e 1052 c.c..
Sostiene che il giudice ha concesso servitù coattiva in relazione a esigenze di maggiore comodità degli attori, non previste dalla normativa, che tutela solo "situazioni di oggettiva necessità".
Il quesito posto alla Corte Suprema chiede di stabilire se sia "rispondente ad un’imprescindibile esigenza di conveniente utilizzo di un fondo, destinato ad uso abitativo, la necessità di accedervi non soltanto a piedi, ma anche con autovettura".
3.1) Il secondo profilo del motivo ricorda che erano stati i danti causa degli attori a creare un muraglione che di fatto precludeva l’accesso carrabile al fondo, ditalchè si tratterebbe ormai di realizzare un nuovo tracciato e non di ampliare quello esistente, facoltà che sarebbe preclusa dall’esistenza di "comodo accesso pedonale" (definita in memoria "un’agevole scaletta di collegamento") e dalla scelta effettuata con l’opera (il muraglione) a suo tempo realizzata.
4) Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c..
Parte ricorrente si duole della circostanza che in sentenza sia stata ipotizzata la realizzazione di un box all’interno del terrapieno e di una rampa a tornante, ipotesi esclusa dal giudice di prime cure. Si verserebbe in un caso di "ultra e/o extrapetizione".
5) Il ricorso è infondato.
Per comodità espositiva può essere subito esaminato il secondo motivo, che censura una pronuncia insussistente.
La Corte d’appello si è soffermata sulle modalità attuative del passaggio carrabile coattivo solo al fine di verificare la fattibilità concreta e quindi la legittimità, sotto questo profilo, della pretesa.
Quanto alle soluzioni progettuali prospettate, la sentenza ha ben evidenziato che si trattava di congetture ipotetiche.
Ha quindi lasciato alla fase esecutiva la individuazione delle tecniche di realizzazione, sull’area individuata, del percorso e delle modalità attuative.
Non v’è quindi alcuna decisione che fuoriesca dall’ambito della domanda di costituzione o ampliamento di servitù coattiva.
6) Più complesso è stabilire se sia tutelabile ex artt. 1051 e 1052 c.c. la richiesta di passo carrabile in relazione alle necessità abitative di un fondo già provvisto di accesso pedonale.
Questa Corte giudica corretta la decisione assunta dai giudici di merito, che è conforme ad un precedente di legittimità (Cass. 10045/08), a mente del quale ai sensi dell’art. 1052 cod. civ. – da leggere alla luce della sentenza n. 167 del 1999 della Corte costituzionale – la costituzione di una servitù di passaggio in favore di un fondo non intercluso può avvenire non soltanto in presenza di esigenze dell’agricoltura o dell’industria, bensì anche ai fini di consentire una piena accessibilità alla casa di abitazione (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto di dover costituire una servitù di passaggio in favore di un fondo non del tutto intercluso, in base all’affermazione secondo cui e1 impossibile, alla luce del moderno sviluppo sociale e tecnologico, che una casa di abitazione sia raggiungibile solo a piedi o a dorso di mulo e non anche con mezzi meccanici).
6.1) Trattasi di conclusioni aderenti alla modifica dell’art. 1052 introdotta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 167 del 1999.
Esso recita: "Il passaggio può essere concesso dall’autorità giudiziaria solo quando questa riconosce che la domanda risponde alle esigenze dell’agricoltura o dell’industria".
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1052 c.c., comma 2, nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al comma 1 possa essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità – di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati ad uso abitativo.
La portata della sentenza, pur se occasionata da una controversia instaurata da un portatore di handicap, trascende la tutela di questa categoria di soggetti deboli e investe integralmente la disposizione modificata.
La Corte ha infatti ritenuto che "il legislatore, per il caso di fondo non intercluso, ha inteso ricollegare la costituzione della servitù coattiva di passaggio non soltanto alle necessità del fondo (come nel caso di costituzione di servitù a favore di fondo intercluso), ma anche alla sussistenza in concreto di un interesse generale, all’epoca identificato nelle esigenze dell’agricoltura o dell’industria".
Questa limitazione, che considerava "prive di ogni rilievo ai fini della costituzione del passaggio coattivo le esigenze abitative, pur se riferibili a quegli interessi fondamentali della persona la cui tutela è indefettibile", è apparsa incostituzionale al giudice delle leggi.
La Corte Costituzionale ha rilevato che "l’accessibilità dell’abitazione è intesa a realizzare" una "molteplicità" di principi costituzionali, misura dei quali è la condizione dei portatori di handicap. A favore di questa categoria di soggetti è stata introdotta una serie di disposizioni normative, le quali impongono il superamento delle barriere architettoniche tanto negli edifici pubblici quanto in quelli privati, di nuova costruzione o già esistenti.
La fissazione di queste caratteristiche nella vigente legislazione abitativa, osserva la Corte Costituzionale, astrae dalla "effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone handicappate".
Essa risponde al fine di rendere comunque possibile al portatore di handicap una normale vita di relazione, sopprimendo la disuguaglianza di fatto (art. 3 Cost.) "impeditiva dello sviluppo della persona umana"(art. 2).
Dunque la inclusione nelle ipotesi di ampliamento coattivo della servitù di passaggio ex art. 1052 dell’esigenza di accessibilità alla casa di abitazione risponde a questi principi e più in generale "al principio personalistico che ispira la Carta Costituzionale e che pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana".
La Corte aggiunge, quanto ai portatori di handicap, la rilevanza della ulteriore lesione costituzionale (art. 32) derivante agli handicappati dagli ostacoli alla socializzazione che le barriere architettoniche comportano.
Ma ancora una volta la precisazione non restringe la declaratoria di incostituzionalità alle ipotesi in cui proprietario del bene sia il soggetto con ridotte capacità motorie.
Per la Corte costituzionale è ben evidente che la nuova legislazione, imponendo un’"essenziale" caratteristica degli edifici privati, prescinde dalla "loro concreta appartenenza a soggetti portatori di handicap".
Si desume da questa lettura che l’art. 1052, comma 2 può essere sempre e da chiunque invocato a tutela di esigenze abitative, poichè l’adeguamento dell’accesso risulta comunque funzionale alla possibilità di accesso dei portatori di handicap alla casa di abitazione di cui si tratta.
6.2) Il Collegio condivide pertanto quei commenti dottrinari che hanno salutato con favore la decisione della Corte Costituzionale non solo per la giusta conseguente soluzione del caso concreto, ma per il mutamento di prospettiva in essa insito.
L’istituto della servitù coattiva di passaggio non è più limitato a un’ottica dominicale e produttivistica, ma è proiettato in una prospettiva dei valori della persona che deve permeare di sè anche statuto dei beni e, in genere, i rapporti patrimoniali.
E’ stata quindi abbandonata ogni ipotesi di separatezza tra talune discipline della costituzione economica, apparentemente dotate di intrinseca ragionevolezza, e il cuore dei principi costituzionali ispiratori della Carta, trasfusi negli artt. 2 e 3.
11 pertinente richiamo, nell’ultimo capoverso di Corte Cost. 167/99, all’art. 42 Cost. e alla funzione sociale della proprietà privata vale a completare la rilettura dell’istituto e a spianare la via a spunti interpretativi che la giurisprudenza civile della Corte intende cogliere, respingendo l’idea che la portata dell’art. 1052 sia stata allargata inconsapevolmente.
Esso è invece stato reso conforme a costituzione, utilizzando quale veicolo interpretativo la pietra di confronto della tutela del disabile e dell’attuazione dei valori costituzionali, data in questo campo dal legislatore ordinario.
Poichè la Costituzione del 48 si invera continuamente nella produzione normativa, non appare strano che la Corte abbia tratto argomento dalla normativa speciale per meglio smascherare l’incostituzionalità di una disposizione del codice del 42. Il giudizio di costituzionalità non è infatti astratta comparazione di norme ordinarie e norme di rango superiore, ma qualificazione delle prime nel sistema dei valori costituzionali, alla cui comprensione contribuisce in modo determinante il tessuto normativo costruito nella luce della Costituzione.
6.3) Mette conto a questo punto precisare che la modifica normativa va inquadrata nell’equilibrato sistema dell’istituto, che comporta l’accoglibilità della domanda di ampliamento non solo ove essa sia praticabile in concreto (previo consenso quindi dell’autorità di vigilanza del territorio), ma anche a condizione che il passaggio imposto non comporti sacrificio del fondo servente maggiore del beneficio per il dominante (l’accesso alla casa del richiedente non può risolversi in impedimento significativo dell’accesso al fondo servente).
Ed ancora: il limite di cui all’ultimo comma dell’art. 1051 c.c. (esonero di case, cortili, giardini), pur essendo derogabile, in ragione del prevalente interesse del fondo dominante, può esserlo soltanto previa attenta concreta ponderazione degli interessi e con uso accorto dello strumento di cui all’art. 1053 c.c. (indennità).
Ciò al fine di impedire strumentali richieste di ampliamento, in ambiti territoriali che non si prestano alla creazione di nuove aperture carrabili, se non alla inaccettabile condizione di ferire l’assetto territoriale esistente. Queste considerazioni valgono, nella specie, per rintuzzare il secondo profilo del secondo motivo di ricorso, che vorrebbe, con il suo quesito, negare in via generale e astratta che l’ampliamento del passaggio pedonale possa avvenire ove comporti un completo cambio di sistema di accesso (da comoda scala pedonale a stradina con tornanti).
Sul punto è congrua e ineccepibile la risposta della Corte d’appello, che attesta la residualità e modestia dell’interferenza sull’altrui fondo, apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, nè specificamente contestato.
Altrettanto è da dirsi quanto alla circostanza che in un passato ormai remoto i precedenti proprietari del fondo servente avessero modificato la zona con opere ora di ostacolo al passo carrabile.
Trattasi di fatto non decisivo, poichè la esigenza da valutare ai fini di cui agli artt. 1051 e 1052 c.c. è quella attuale fatta valere in giudizio, in materia che è peraltro retta, di per sè, dalla mutevolezza dei bisogni abitativi o economici.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.000 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 27 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012
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