Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14102

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1) Tra il 1977 e il 1981 venivano riunite tre cause instaurate tra le signore C.M. ved F., F.E., F. G. ved D.L. e F.C. (citazioni del 28 6. 1977 e 31. 3 1980) e V.O., al quale succedeva V. B., (citazione 12 maggio 1981), aventi ad oggetto principale la legittimità di opere eseguite al confine tra i terreni delle parti in contrada (OMISSIS), ove l’odierno ricorrente B. V. aveva edificato un albergo.

Il tribunale di Messina, con sentenza n. 535/05 del 23 febbraio 2005, rigettava la domanda di rivendica proposta da F.C. relativa all’allargamento di una stradella eseguita dal convenuto, occupando parte del terreno F..

In secondo luogo dichiarava la costituzione di servitù di passaggio in ampliamento a carico del fondo C. – F., con obbligo di indennizzo, dovuto ex art. 1038 c.c., a carico del titolare del fondo dominante V..

Infine, "ritenuta l’abusività della modifica del profilo altimetrico dei luoghi", che impediva a parte attrice di raggiungere il proprio fondo, ordinava al V. di realizzare, a sua cura e spese, un collegamento stabile tra la strada statale e le particelle 432 e 433.

1.1) Investita da appello di F.C., la pronuncia di primo grado veniva riformata con sentenza non definitiva, oggi impugnata, emessa il 28 aprile 2009 dalla Corte d’appello di Messina.

Con detta sentenza veniva accolta la domanda di rivendica F. relativa "alla porzione delle paticelle 121 e 434 (ex 134d) su cui era stata allargata la stradella in contesa e con riferimento alla particella 134 b occupata dal V.".

Veniva ordinata a quest’ultimo la rimessione in pristino della situazione dei luoghi e la restituzione delle aree alla legittima proprietaria.

La causa veniva rimessa sul ruolo per la prosecuzione per quanto concerneva la domanda di risarcimento danni.

V. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi.

F. ha resistito con controricorso e ha svolto ricorso incidentale.

In esito all’udienza del 24 giugno 2011, la causa è stata rinviata per acquisire il fascicolo di ufficio.

In occasione delle udienze sono state depositate memorie.

Motivi della decisione

2) Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1051 c.c., comma 3 e dell’art. 1052 c.c. e si duole del fatto che la Corte di appello di Messina, nell’esaminare la domanda proposta con la citazione del 1981 relativa all’ampliamento coattivo della servitù di passaggio per esigenze industriali dell’albergo Ipanema, non abbia tenuto conto delle caratteristiche delle costruzioni alberghiere e della tutela pubblicistica di cui esse godono, e non abbia ricondotto il caso di specie all’ipotesi di cui all’art. 1052 c.c. (" Le disposizioni dell’articolo precedente si possono applicare anche se il proprietario del fondo ha un accesso alla via pubblica, ma questo è inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non può essere ampliato. 2. Il passaggio può essere concesso dall’autorità giudiziaria solo quando questa riconosce che la domanda risponde alle esigenze dell’agricoltura o dell’industria"), da leggere in connessione con l’art. 1051, comma 3 che ammette la costituzione di servitù coattiva di passaggio "nel caso in cui taluno, avendo un passaggio sul fondo altrui, abbia bisogno ai fini suddetti di ampliarlo per il transito dei veicoli anche a trazione meccanica".

Il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione ravvisatile, denuncia violazione dell’art. 1051 c.c., comma 4 ("Sono esenti da questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti"). Dopo aver ricordato le norme vigenti e sopravvenute in tema di requisiti di sicurezza per le vie di accesso alle strutture alberghiere, il ricorso precisa che il passaggio era stato costituito pattiziamente nel 1936 con larghezza di due metri, ma era divenuto insufficiente e doveva essere ampliato in relazione alle nuove esigenze alberghiere.

Invoca pertanto il precedente giurisprudenziale (Cass. 12340/08) secondo il quale in materia di servitù di passaggio coattivo, la disposizione dell’art. 1051 c.c., comma 4 – che esenta dall’assoggettamento le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti ed e1 applicabile anche all’ipotesi di passaggio su fondo non intercluso, in base al richiamo contenuto nel successivo art. 1052 cod. civ. – non prevede un’esenzione assoluta delle aree indicate dalla servitù di passaggio, bensì solo un criterio di scelta, ove possibile, nei casi in cui le esigenze poste a base della richiesta di servitù siano realizzabili mediante percorsi alternativi, tra i quali deve attribuirsi priorità a quelli non interessanti le menzionate aree.

Le censure sono fondate.

2.1) La Corte di appello ha affermato che il V. aveva eseguito opere edili di carattere privato, da regolare sulla base della disciplina codicistica, che regola i rapporti tra vicini; ha negato che l’allargamento della stradella esistente in forza dell’atto di divisione sia stato effetto di un accordo, risultato non provato.

Dopo aver censurato il fatto che il V. con le opere denunciate avesse creato una strada in allargamento o modifica della via originaria, ledendo i diritti altrui, ha sbrigativamente escluso la possibilità di costituire la servitù di passaggio, ove di fatto insistente, perchè la strada avrebbe toccato una porzione della corte del fabbricato sito nella particella 121.

Ai sensi dell’art. 1051 c.c., comma 4 la suddetta corte sarebbe esentata da servitù coattiva a tutela "dell’esigenza di tutelare la integrità delle case di abitazione e degli accessori che le rendono più comode". Inoltre nella specie, poichè esisteva l’accesso abusivamente allargato, si tratterebbe di interclusione non assoluta, unica che, secondo la Corte messinese, potrebbe "legittimare la non operatività del regime di esonero".

Con questo argomentare, che ha ritenuto in ogni caso inderogabile la esenzione da servitù coattiva per i cortili, la sentenza impugnata si è posta in contrasto con l’interpretazione normativa di questa Corte, che da tempo insegna che "l’esenzione dalla servitù di passaggio coattivo, stabilita dall’art. 1051 c.c., u.c. per le case, i cortili, i giardini e le aie ad essi attinenti, è limitata al caso in cui il proprietario del fondo intercluso abbia la possibilità di scegliere tra più fondi, attraverso i quali attuare il passaggio, di cui almeno uno non sia costituito da case o pertinenze delle stesse;

conseguentemente la norma indicata non trova applicazione allorchè, rispettando l’esenzione, l’interclusione non potrebbe essere eliminata".

Questo principio, inizialmente enunciato a proposito dell’ipotesi di interclusione assoluta del fondo, che comporta conseguenze più pregiudizievoli rispetto al disagio costituito dal transito attraverso cortili, aie, giardini e simili (Cass. 6814/88; conf.

3517/79; 3049/75; 162/71) va esteso, come ha fatto il precedente invocato, anche alle ipotesi di passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso, di cui all’art. 1052 c.c., posto che tutte le disposizioni di cui all’art. 1051 si possono applicare a esse in forza del ricordato disposto dell’art. 1052.

2.2) Proprio a proposito delle esenzioni di cui si discute, la dottrina ha avvertito che l’equiparazione dell’interclusione relativa a quella assoluta è stata voluta dal legislatore, che le ha poste sul medesimo piano, ditalchè sono errate le enunciazioni della sentenza impugnata in ordine alla intangibilità della corte F. in relazione a fondo (quello V.) non intercluso.

La violazione è ancor più grave in considerazione del mancato contemperamento, che in questi casi si impone (la dottrina richiama qui il "rigore" nel valutare se vi sia effettivamente eccessivo dispendio e disagio del fondo dominante, comparato con il sacrificio che sarebbe imposto al fondo servente), tra gli interessi contrapposti.

Qui rileva la destinazione industriale – di considerevole importanza – dell’immobile del ricorrente, della quale si occupa il primo motivo e che è rimasta del tutto negletta nella sentenza messinese. La Corte territoriale, preoccupata di censurare perentoriamente l’abusività dell’intervento di allargamento stradale non concordato (pag. 8), ha omesso di effettuare la comparazione dovuta tra l’interesse alla prosecuzione dell’attività alberghiera e l’incisione – su cui alcun cenno si legge in punto di fatto, al fine di comprenderne la rilevanza – sulla "corte" F..

Mette conto qui chiarire che l’allargamento delle ipotesi di costituzione e ampliamento di servitù coattiva e l’interpretazione restrittiva delle esenzioni previste dal codice trova copertura nelle norme costituzionali in tema di proprietà, tutte intese a valorizzarne la funzione sociale, in vista, secondo le formule usate, dell’interesse e dell’utilità generale.

Non a caso parte ricorrente opportunamente menziona Corte Cost.

167/99, che è intervenuta con portata spiccatamente ampliativa sull’art. 1052 c.c., comma 2.

3) Il secondo motivo del ricorso principale, che si sofferma sulla circostanza che la corte part. 121 sarebbe minimamente intaccata, resta sostanzialmente assorbito nell’accoglimento dei motivi esaminati, ma è infondato nella parte in cui, peraltro con quesito non pienamente congruo, postula che la pattuizione di servitù volontaria automaticamente escluda che si possa invocare l’esenzione di cui all’art. 1051, comma 4.

In realtà la pattuizione dimostra, solo che il proprietario del fondo servente era disposto a sopportare la limitazione concordata, ma non una limitazione maggiore. Ciò può valere al fine di considerare la sussistenza e l’entità del sacrificio patito in caso di ampliamento coattivo, ma non vanifica la necessità che, per conseguire la nuova estensione della servitù, il proprietario del fondo dominante debba dimostrare la sussistenza dei presupposti.

4) Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1170, e 948 c.c. con riferimento alla parte della sentenza che ha condannato il ricorrente a rimettere in pristino i luoghi modificati per convogliare, in tubazioni interrate, le acque di un torrentello.

La Corte d’appello, nella impugnata sentenza 28 aprile 2009, in proposito ha sancito che era "rimasta indimostrata la pendenza di altro giudizio cui è stato fatto riferimento a giustificazione dell’operato" e che, soprattutto, "l’arbitraria attività" del V., mutando il profilo altimetrico dei luoghi, ha di fatto impedito all’attrice "di accedere alle particelle 432 e 433".

Il quesito che chiude il quarto motivo chiede che sia affermato che il fondo F. (part. 433) non è stato occupato, ma che è stata solo modificata l’altimetria di esso, il che impediva l’accoglimento della "domanda di reintegra".

La censura non affronta però il punto di fatto decisivo della sentenza, relativo all’impedimento all’accesso al fondo a danno della proprietà F.. Se ciò è vero – e il quesito posto non lo contesta – vi era indubitabilmente materia per l’ordine impartito.

Le soluzioni alternative proposte in ricorso potranno trovare valutazione in sede esecutiva, ma non consentono di ravvisare illegittimità della decisione assunta.

Nè rileva, per il quarto motivo, che vi fosse altro giudizio pendente volto a ottenere autorizzazione a detti interventi.

Questo profilo di narrazione non è stato fatto oggetto di argomentata censura o di quesito ex art. 366 bis c.p.c., ma è stato sviluppato nel quinto motivo.

5) Quest’ultimo è inammissibile. Esso censura il sopra riferito ordine di ripristino dell’area interessata dalle tubazioni interrate, adducendo l’esistenza di altra pronuncia giudiziale che avrebbe consentito la modificazione dello stato dei luoghi e di cui invoca l’effetto di giudicato.

Viene quindi chiesta "la revoca della sentenza della Corte di merito nel punto in cui non ne tiene conto".

Il motivo si riferisce alla sentenza n. 1683/06 del tribunale di Messina che, come si legge in ricorso (pag. 16), è stata depositata nel presente grado di giudizio, con la certificazione dell’avvenuto passaggio in giudicato, al fine di integrare la documentazione già depositata nel corso del giudizio di merito, dalla quale risultava la pendenza del giudizio conclusosi con detta sentenza".

Ora, chiarito che la prova della pendenza del giudizio (in atti già dall’udienza 22 novembre 2006 svoltasi davanti al consigliere istruttore, ove un delegato dell’avvocato del ricorrente depositò copia del solo dispositivo di sentenza) non ha influito in modo determinante sulla decisione, fondata sulle argomentazioni sviluppate nel paragrafo precedente, va rilevato che è inammissibile la produzione in sede di legittimità della sentenza invocata.

Infatti le Sezioni Unite (Cass. 13916/06), nell’ammettere la rilevabilita1 d’ufficio del giudicato esterno in sede di legittimità anche in relazione a giudicato formatosi dopo il giudizio di appello e persino in pendenza del giudizio di cassazione, hanno però ribadito che il divieto di produzione documentale posto dall’art. 372 cod. proc. civ., permane con riferimento ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito.

Ciò è accaduto nella specie, perchè la sentenza resa il 16 ottobre 2006 avrebbe ben potuto (e dovuto) essere prodotta all’udienza del 23 maggio 2007 o a quella precedente.

Inoltre prima dell’udienza di discussione del 19 marzo 2009 avrebbe potuto essere depositata in cancelleria l’attestazione della successiva formazione del giudicato, sottratta, come insegnano le citate Sezioni Unite, al limite preclusivo, salvi gli accorgimenti dell’organo giudicante per la salvaguardia del contraddittorio.

Ne discende che il motivo, imperniato su produzione non consentita in questa sede, va dichiarato inammissibile.

6) Il primo motivo del ricorso incidentale espone violazione e falsa applicazione degli artt. 1031, 1158, 2700 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., ai nn. 3 e 5. Si conclude con il seguente quesito: "Se tenuto conto del motivo formulato, la Corte di appello abbia violato gli art. 1031, 1158 e 2700 c.c. e l’art. 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 non considerando, anche nel contrasto tra le testimonianze raccolte, l’efficacia probatoria di prove documentali (anche atti pubblici) le quali escludono ogni ipotesi di maturata usucapione in ordine alla servitù di veduta".

La proposizione congiunta delle censure di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, esige che nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 il motivo sia illustrato con un quesito di diritto e, nel caso previsto dal n. 5, che l’illustrazione contenga la chiara indicazione del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume che sia omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza la renda inidonea a giustificare la decisione (in tal senso va interpretata SU 5624/09).

Come è evidente dalla formulazione ellittica, dal richiamo all’art. 116 in tema di valutazione della prova e dalla commistione tra tipi di censure (art. 360, nn. 3 e 5), il quesito esposto non enuclea concretamente alcuna violazione di legge, ma si risolve nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura cosi1 come illustrata, senza neppure far intuire quale sia l’errore di diritto denunciato (Cass. SU 2658, 3519 e 6530 del 2008).

In definitiva la censura allude a un vizio di motivazione, sommariamente sintetizzato nel quesito.

Anche riguardata in quest’ottica, la doglianza è però infondata.

Essa concerne le servitù di veduta che il V. avrebbe, secondo la Corte di appello, diritto di mantenere per usucapione maturata grazie al decorso del tempo dalla data di effettiva realizzazione delle opere.

Questo è lo snodo della decisione che viene attaccato, rispetto al quale bene ha motivato la Corte d’appello, riconoscendo che erano poco rilevanti le date delle concessioni edilizie o autorizzazioni prodotte, le quali, si badi, non attestano con fede privilegiata la veridicità del fatto che la costruzione sia effettuata in epoca posteriore al loro rilascio, ma solo che è stata chiesta e rilasciata autorizzazione per una certa opera.

La presunzione che pongono circa l’inesistenza di detta opera prima dell’assenso amministrativo può essere superata dalla prova del contrario, che la Corte, facendo riferimento a quanto i testimoni hanno riferito in ordine al completamento al rustico delle vedute sin dal 1956-57, ha ritenuto raggiunta con motivazione congrua e logica, insindacabile in questa sede. La censura è peraltro apodittica e carente sotto il profilo dell’autosufficienza, laddove si limita a dedurre che i lavori erano iniziati nel 1958, che i testi della F. (quali? in quale udienza? In che termini?) avrebbero riferito che le aperture sarebbero state eseguite in seguito a concessione ed ampliamento del 1978 e del 1980 e che i testi di controparte "evidentemente si riferivano ad altro".

In tal modo il motivo diviene una inammissibile richiesta al giudice di legittimità di rivisitazione nel merito della pronuncia di primo grado e non una specifica denuncia di illogicità o di incongruenze riscontrabili mediante il confronto tra il testo della decisione e la puntuale esposizione delle risultanze trascurate o malvalutate.

7) Il secondo motivo del ricorso incidentale (violazione dell’art. 2043 c.c.) non attinge un capo della decisione, giacchè, come ammette lo stesso ricorso incidentale, la Corte di merito ha rimesso la causa in istruttoria per la quantificazione dei danni. I rilievi svolti in un inciso della decisione in punto di danni non hanno portata decisoria riduttiva delle pretese F., poichè erano rivolti, al contrario, a motivare l’accoglimento dell’appello della controricorrente avverso la sentenza di primo grado che aveva negato la sussistenza di pregiudizio, rimettendone l’apprezzamento, in mancanza di elementi sufficienti, a futura consulenza.

7.1) Per queste stesse ragioni va rigettato anche il quarto motivo, che ruota sempre sulla domanda di risarcimento danni articolata da parte F..

8) Non è accoglibile neanche il terzo motivo, che lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 832 e 2700 c.c. e dell’art 116 c.p.c. e si riferisce alla proprietà della particella 435, su cui affacciano alcune vedute del ricorrente, che è stata ritenuta di proprietà V. sulla base di quanto "emerso in sede di consulenza tecnica".

Come per il primo motivo, la censura si risolve nella denuncia di un vizio di motivazione, percepibile dal quesito conclusivo, ove si lamenta che la Corte di merito non "avrebbe dato corretto e giusto valore agli atti pubblici costituenti il diritto di proprietà della F. sulla particella 435".

La doglianza si riferisce a una sentenza in materia divisionale che avrebbe stabilito ciò, ma non riferisce nè il puntuale contenuto del documento invocato, nè se e quando esso sia stato prodotto e discusso in causa, impedendo così alla Corte di valutare sia pure astrattamente la decisività del documento di cui è apoditticamente enunciata la portata che il ricorrente gli attribuisce, implicitamente chiedendo al giudice di legittimità di ricercarlo.

Giova però ricordare che, secondo S.U 22726/11, in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi.

Detta indicazione è appunto mancante. Inoltre, è appena il caso di aggiungere, non viene svolta alcuna confutazione della consulenza tecnica recepita dal giudicante, che pure ha concluso senza esitazioni in senso opposto a quanto il documento invocato dovrebbe dimostrare.

9) Discende da quanto esposto: a) l’accoglimento del primo e terzo motivo del ricorso principale, la declaratoria di inammissibilità del quinto motivo di esso e il rigetto nel resto, b) Il rigetto del ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la cognizione rimessa alla Corte d’appello di Catania anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio.

La Corte si atterrà ai seguenti principi:

L’esenzione dalla servitù di passaggio coattivo, stabilita dall’art. 1051 c.c., u.c. per le case, i cortili, i giardini e le aie ad essi attinenti, è limitata al caso in cui il proprietario del fondo intercluso abbia la possibilità di scegliere tra più′ fondi, attraverso i quali attuare il passaggio, di cui almeno uno non sia costituito da case o pertinenze delle stesse; conseguentemente la norma indicata non trova applicazione allorchè, rispettando l’esenzione, l’interclusione assoluta o relativa non potrebbe essere eliminata, comportando essa conseguenze più pregiudizievoli rispetto al disagio costituito dal transito attraverso cortili, aie, giardini e simili. Nel giudizio di comparazione, ispirato ai principi costituzionali in materia di proprietà privata dei beni immobili e di iniziativa economica privata, il giudice di merito deve tener conto dell’eventuale destinazione industriale del fondo intercluso, contemperando, anche mediante lo strumento indennitario, i contrapposti interessi.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e terzo motivo del ricorso principale.

Dichiara inammissibile il quinto motivo di esso, che rigetta nel resto. Rigetta il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Catania anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 27 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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