Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14100

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Svolgimento del processo
1. – Con atto di citazione notificato il 3 dicembre 1999, A. A. conveniva innanzi al Tribunale di Roma S. S., ed esponeva: di avere svolto, quale dottore commercialista, per conto della S., attività di assistenza e consulenza professionale per la riorganizzazione della H.C.S.I.I. – C. S. I. s.p.a., delle cui quote societarie la convenuta era titolare nella misura del 37,5 per cento, e che, inoltre, aveva svolto una intensa attività di assistenza e consulenza su numerose problematiche aziendali, contabili, civilistiche e fiscali relative alle principali società del gruppo, riguardanti ogni decisione gestionale e strategica, assunta da S.S.; che, cessato il rapporto di collaborazione, nell’aprile 1999 aveva domandato, con due parcelle, il pagamento a saldo degli onorari per l’attività svolta, pagamento che era stato rifiutato dalla sua cliente e pertanto, per ottenere detto compenso, era stato costretto ad iniziare contro la S. due giudizi;
che oltre alle prestazioni oggetto dei giudizi in questione, la S. lo aveva incaricato di altre attività di assistenza, oggetto della parcella pro forma n. (OMISSIS), che la sua cliente non aveva onorato.
Sulla base di tali premesse, l’attore chiedeva che la S. fosse condannata al pagamento del compenso cui sosteneva di avere diritto, pari a L. 206.445.200, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria.
S.S. si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto della domanda, deducendo di avere soddisfatto integralmente l’attore con il versamento a saldo della somma di L. 1.530.000.000 effettuato in data 1 ottobre 1998, come precedentemente concordato.
2. – Con sentenza in data 18 febbraio 2003, il Tribunale di Roma rigettava la domanda.
3. – A.A. proponeva appello, che veniva accolto dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 11 aprile 2008, limitatamente alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado.
La Corte territoriale, premesso che i capitoli di prova articolati dall’appellante erano ininfluenti in quanto avevano ad oggetto circostanze antecedenti il pagamento della parcella n. (OMISSIS), con la quale la S. sosteneva di avere estinto ogni suo debito nei confronti dell’ A., e comunque non contestate, osservava che A.A., come risultava dalla chiara dizione della lettera che aveva inviato alla sua assistita S. con allegata la convenuta parcella n. (OMISSIS), aveva ammesso di aver concordato l’importo di cui alla parcella quale compenso per le prestazioni professionali rese in favore dell’appellata "in merito ai rapporti familiari e societari delle sue partecipazioni".
4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’ A. sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso la S..
Motivi della decisione
1.1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., dell’art. 1324 cod. civ., dell’art. 2697 cod. civ., delle norme di cui al D.M. 10 ottobre 1994, n. 645, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Deduce il ricorrente che erroneamente la Corte d’appello capitolina ha affermato che dalla documentazione posta a base della decisione impugnata sarebbe desumibile che tra le parti era intervenuto un accordo in ordine al compenso dell’intera attività professionale svolta con il versamento della somma di L. 1.530.000.000, in violazione dell’art. 1362 cod. civ., per aver fatto riferimento al solo tenore letterale del presunto accordo (come desumibile dalla lettera di accompagnamento della parcella), senza tenere conto di vari altri elementi i quali avrebbero potuto indurla ad una diversa conclusione. Sarebbe, poi, errato ed inconferente anche l’esplicito riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, al canone ermeneutico finale di cui all’art. 1371 cod. civ. ed al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. A parte la contraddittorietà del richiamo al ricordato articolo, che presuppone una oscurità nel testo del contratto, che, invece, la Corte di merito ha negato sulla base del tenore letterale dell’atto, la norma de qua impone una interpretazione della volontà dei contraenti tale da realizzare l’equo contemperamento dei rispettivi interessi, mentre nella specie sarebbe stata penalizzata immotivatamente una sola parte, il professionista, in contrasto anche con una interpretazione del contratto secondo buona fede.
1.2. – La illustrazione della censura si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto, a norma dell’art. 366-bis cod. proc. civ.: Se incorre in violazione dei criteri legali di interpretazione del contratto la sentenza che ne amplia l’oggetto disattendendo il dato letterale ed omettendo ogni indagine circa la volontà delle parti relativa a tale preteso ampliamento; Se costituisce corretta applicazione dei criteri legali di interpretazione del contratto determinarne esistenza e contenuto con esclusivo riferimento ad altro accordo o atto esecutivo del medesimo tra le stesse parti avente oggetto diverso; Se incombe sul debitore, convenuto dal creditore per il pagamento di compensi per attività professionale e che opponga di aver già saldato il dovuto, l’onere di dimostrare che il pagamento effettuato si riferisce alle prestazioni professionali di cui è richiesto il pagamento ovvero che costituisca effettivamente un saldo.
2.1. – La censura è infondata.
2.2. – L’accertamento della esistenza di un accordo e del suo contenuto da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità se costituisce il frutto, come nella specie, di una motivazione immune da vizi logici e giuridici e se non vengono violati i canoni interpretativi.
2.3. – Quanto al richiamo all’art. 1371 cod. civ., premesso che la sentenza impugnata ha fatto riferimento all’art. 1371 cod. civ. ed al criterio dell’interpretazione del contratto secondo buona fede solo ad abundantiam, essendosi basata essenzialmente sull’art. 1362 cod. civ., occorre sottolineare che, per quanto nella sentenza impugnata abbondino i riferimenti ai canoni interpretativi del contratto, in realtà la Corte di merito non ha interpretato un contratto la cui formulazione potesse in astratto dare adito a dubbi, ma ha desunto l’esistenza di un accordo con un ben determinato contenuto dal comportamento e da dichiarazioni dell’attuale ricorrente il cui significato era univoco.
3.1. – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 230, 244 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., anche in relazione all’art. 1362 c.c. e segg., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Il ricorrente si duole della mancata ammissione delle prove dedotte.
3.2. – La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366- bis cod. proc. civ.: Se è errata per violazione di legge la sentenza che fonda il convincimento di irrilevanza dei mezzi istruttori sulla erronea applicazione delle norme di interpretazione dei contratti di cui all’art. 1362 c.c. e segg..
4. – Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo stato indicato nemmeno il contenuto specifico delle prove in questione, al fine di consentire la valutazione della fondatezza o meno della doglianza.
5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono, in base al criterio della soccombenza, essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 5000,00, di cui Euro 4800,00 per onorari, oltre alle spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 17 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012

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