Cons. Stato Sez. V, Sent., 25-01-2011, n. 533

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1.- Con il ricorso in revocazione in epigrafe indicato le Società E. s.r.l., M. s.r.l. e D.M.L. s.r.l., tutte in liquidazione, hanno chiesto la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 6174/08 del 12.2.2008, nonché gli annullamenti e l’emanazione degli ordini in epigrafe indicati, oltre alla sospensione del termine per proporre ricorso per Cassazione avverso la sentenza impugnata.

A sostegno del ricorso per revocazione sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Errore di fatto. Con la decisione di cui è stata chiesta la revocazione non è stata percepita l’esistenza di un capo di impugnazione che presupponeva quanto, respingendo altri motivi di impugnazione, il Consiglio di Stato aveva appena statuito, considerato che esso è ignorato a pag 11 della decisione e anche nella parte motiva.

Con atto depositato il 13.1.2010 si è costituito in giudizio il Comune di Roma, che ha eccepito la mancata evocazione in giudizio di controinteressati che avevano partecipato ai giudizi conclusisi con la decisione di cui è stata chiesta la revocazione, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o di irricevibilità di detto ricorso, o, in subordine, che sia disposta la integrazione del contraddittorio; inoltre ha eccepito la inammissibilità, la irricevibilità e la improcedibilità del ricorso stesso anche per intempestività e ne ha dedotto la infondatezza. Il Comune ha quindi concluso per la conferma della sentenza n. 6174/08 e, in subordine, per la sua integrazione, con esplicazione della conseguente reiezione degli appelli sviluppati e del motivo rimasto eventualmente assorbito nella decisione (comunque inammissibile, irricevibile ed infondato).

Con memoria depositata il 29.3.2010 l’Amministrazione resistente ha dettagliatamente dedotto la infondatezza del ricorso per revocazione ed ha ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata il 30.3.2010 le società ricorrenti per revocazione hanno contestato la fondatezza delle avversa eccezione di inammissibilità per mancata notifica a tutti i legittimi contraddittori ed hanno ribadito tesi e richieste.

Con ordinanza n. 275 del 23 luglio 2010 la Sezione ha disposto la integrazione del contraddittorio; tanto è stato adempiuto.

Con memoria depositata il 18.10.2010 il Comune di Roma ha ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata il 26.10.2010 le parti ricorrenti, contestate le avevrse argomentazioni, hanno ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata il 30.10.2010 ha inteso intervenire ad adiuvandum la A.F. s.p.a., e per essa, quale mandataria, la U.C.M.B. s.p.a., che ha chiesto l’accoglimento del ricorso per revocazione.

Con atto depositato il 9.11.2010 si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Alla pubblica udienza del 19.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

Motivi della decisione

1.- Con il ricorso in esame le Società E. s.r.l., M. s.r.l. e D.M.L. s.r.l., in liquidazione, hanno chiesto la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 6174 del 2008 inoltre, in sede rescindente, l’annullamento della sentenza impugnata e, in sede rescissoria e nel merito, l’annullamento della acquisizione dell’immobile di cui in narrativa, disposta con ordinanza n. 1121 del 18.7.1990, nonché la cancellazione della relativa trascrizione; in subordine hanno chiesto che l’annullamento, con relativa cancellazione della trascrizione, sia limitato alle parti dell’immobile non utilizzate dal Comune e l’emanazione dell’ordine al Comune di Roma di provvedere alle restituzioni e al Conservatore dei Registri Immobiliari di Roma di provvedere alla cancellazione della trascrizione pregiudizievole, eseguita in favore di detto Comune. Infine hanno chiesto la sospensione, ai sensi dell’art. 398, III c., c.p.c., del termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata.

2.- Con l’unico, complesso, motivo di ricorso è stato dedotto errore di fatto perché con la decisione di cui è stata chiesta la revocazione, dopo essere stato esclusa in capo alle società ricorrenti la titolarità del diritto di proprietà del bene in relazione al quale erano state presentate domande di condono, non sarebbe stata rilevata l’esistenza di un capo di impugnazione che presupponeva quanto, respingendo altri motivi di impugnazione, il Consiglio di Stato aveva appena statuito.

Più precisamente la decisione di cui trattasi non avrebbe percepito l’esistenza, nell’atto di appello, della censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 39, XIX comma, della L. n. 724 del 1994 basata sul rilievo che non sarebbe stato idoneo a comportare una concreta destinazione a detta attività quanto stabilito con la delibera consiliare n. 22 del 30.1.1992, con cui era stata prevista una generica manifestazione di intenti ad utilizzare l’immobile di cui trattasi quale sede circoscrizionale per spazi culturali e sociali e non era stata invece disposta una concreta ed effettiva utilizzazione ai fini pubblici dell’immobile, come richiesto da detta norma.

Non sarebbe, inoltre, stata rilevata, nel redigere detta sentenza, la presenza nell’atto di appello della censura subordinata con cui era stato dedotto che la sentenza di primo grado non aveva consentito l’acquisizione al patrimonio comunale della sola parte dell’edificio effettivamente utilizzato dal Comune.

Omettendo di pronunciarsi su detto motivo con la impugnata decisione non si sarebbe verificato error in procedendo, ma mancata percezione del fatto materiale della esistenza di esso, considerato che esso motivo è ignorato a pag 11 della decisione (nel punto in cui vengono riportati i motivi di appello) e anche nella parte motiva (laddove è stato esaminato il quarto ed ultimo di essi motivi).

3.- Osserva in proposito il Collegio che la decisione della quale è stata chiesta la revocazione ha fatto un succinto richiamo, in punto di fatto, ai motivi di appello, compreso quello di violazione e falsa applicazione dell’art. 39, "comma 18" della L. n. 724 del 1994; la indicazione del comma XVIII in luogo del XIX è evidentemente frutto di errore materiale.

Aggiungasi che, con riferimento al terzo motivo di appello, la decisione de qua ha, tra l’altro, affermato che "Dalle suesposte considerazioni discende, dunque, che effettivamente alla data di conferimento dell’immobile alle ditte appellanti, la società dante causa non era più titolare del diritto di proprietà sul complesso edilizio.

Ne consegue che -difettando in capo alle istanti la legittimazione ad agire in giudizio, giacché le stesse non avevano mai acquistato la proprietà dell’immobile in contestazione- il presente atto di appello va rigettato con la conferma dell’impugnata sentenza di primo grado".

Soggiunge poi essa decisione che "Tale conclusione non subisce deroghe neppure con riferimento alla questione fatta oggetto del quarto e ultimo motivo di appello" che era stato proposto in subordine con riferimento alla fondatezza della domanda di condono ai sensi della L. n. 724 del 1994, " in cui si è sostenuto che, in ogni caso, le società istanti, nella condizione di possessori dell’immobile, conservavano l’interesse alla sanatoria ai sensi dell’art. 31, terzo comma della legge n. 47/85.

Sicché il T.A.R. non avrebbe potuto ritenere fondata l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, quantomeno con riguardo al ricorso n. 7810/97.

In realtà, la censura è completamente priva di consistenza, ove si tenga presente che l’acquisizione a titolo originario della proprietà di un immobile, fa venir meno ogni rapporto fra soggetti che in precedenza potessero vantare pretese su di esso ed il nuovo bene, che ha preso il posto del vecchio, ormai divenuto giuridicamente inesistente.

Pertanto, le odierne appellanti non rivestivano alcuna, specifica posizione giuridica, che le legittimasse a presentare domanda di condono ai sensi della legge n. 724 del 1994."

Ritiene la Sezione che dalle argomentazioni prima riportate si evince che la decisione di cui trattasi non è affatto viziata da mancata percezione del capo di impugnazione indicato nel ricorso per revocazione, costituendo esse argomentazioni di puntuale contestazione della fondatezza della censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 39, XIX comma, della L. n. 724 del 1994 (che prevede che il proprietario che abbia adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha diritto ad ottenere l’annullamento della intervenuta acquisizione al patrimonio comunale, a meno che le opere siano state destinate ad attività di pubblica utilità entro la data del 1.12.21994) basata sulla tesi che non sarebbe stato idoneo a comportare una concreta ed effettiva utilizzazione ai fini pubblici dell’immobile de quo quanto stabilito con la delibera consiliare n. 22 del 30.1.1992, con la quale era stata invece prevista una generica manifestazione di intenti ad utilizzarlo a detti fini.

La circostanza che le appellanti non avevano mai acquistato la proprietà dell’immobile in contestazione escludeva infatti a priori che fossero titolari di una specifica posizione giuridica che le legittimasse a presentare domanda di condono ai sensi dell’art. 39, XIX comma, della legge n. 724 del 1994, che subordina l’annullamento della intervenuta acquisizione al patrimonio comunale non solo alla mancata pregressa concreta utilizzazione a fini pubblici del bene, ma anche alla condizione che chi abbia provveduto ad adempiere agli oneri stabiliti per ottenere la sanatoria sia l’effettivo e legittimo proprietario dell’immobile nelle more acquisito al patrimonio comunale.

Non era quindi necessario che il Giudice di appello si soffermasse ulteriormente sulla effettività o meno della utilizzazione a fini pubblici dell’immobile di cui trattasi, avendo escluso comunque la applicabilità alla fattispecie dei benefici che l’art. 39, XIX comma, della legge n. 724 del 1994, prevede a favore esclusivamente dei soggetti già titolari di diritti di proprietà che avessero adempito agli oneri stabiliti dalla legge stessa per ottenere la sanatoria.

Le considerazioni che precedono escludono pure che la decisione dovesse espressamente pronunciarsi sulla censura subordinata con cui era stato dedotto che la sentenza di primo grado non aveva consentito l’acquisizione al patrimonio comunale della sola parte dell’edificio effettivamente utilizzato dal Comune, atteso che la mancata applicabilità alla concreta fattispecie dell’art. 39, XIX comma, della legge n. 724 del 1994, escludeva anche la necessità di verificare se la concreta utilizzazione dell’immobile in questione fosse stata relativa a tutto o solo ad una parte dello stesso.

4.- In conclusione il ricorso per revocazione in esame deve essere dichiarato inammissibile per insussistenza dell’errore revocatorio consistente nella mancata percezione di un capo di impugnazione, che è stato invece espressamente giudicato infondato.

5.- Le spese della presente fase del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, dichiara inammissibile il ricorso per revocazione in esame.

Pone in solido a carico delle parti ricorrenti in revocazione, con ripartizione interna in parti uguali, le spese del doppio grado, liquidate in favore del Comune di Roma nella complessiva somma di Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad I.V.A. e C.P.A..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2010, con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente FF

Eugenio Mele, Consigliere

Angelica Dell’Utri, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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