Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14099

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Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato il 28 luglio 1999, A. A. conveniva innanzi al Tribunale di Roma S. S., per ottenere il pagamento del compenso pari a L. 29.700.000, di cui alla fattura in data 21 giugno 1999, cui sosteneva di avere diritto in relazione all’attività professionale svolta, quale dottore commercialista, in favore della convenuta.

S.S. si costituiva in giudizio e contestava il fondamento della domanda, assumendo di avere già soddisfatto integralmente l’attore con il versamento a saldo della somma di L. 1.530.000.000 effettuato in data 1 ottobre 1998, come precedentemente concordato.

2. – Con sentenza in data 1 marzo 2003, il Tribunale di Roma rigettava la domanda.

3. – A.A. proponeva appello, che veniva accolto limitatamente alla liquidazione delle spese dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 11 aprile 2006.

La Corte territoriale, premesso che i capitoli di prova articolati dall’appellante non soddisfacevano la esigenza della specificazione dei fatti sui quali i testimoni dovevano deporre e comunque avevano ad oggetto circostanze irrilevanti, osservava che A.A., come risultava dalla chiara dizione della lettera che aveva inviato alla sua assistita S. con allegata la convenuta parcella n. 35/98 del 1 ottobre 1998, aveva ammesso di aver concordato l’importo di cui alla parcella quale compenso per le prestazioni professionali rese in favore dell’appellata "in merito ai rapporti familiari e societari delle sue partecipazioni".

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’ A. sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso la S., che propone altresì ricorso incidentale basato su di un unico motivo, al quale resiste con controricorso l’ A..

Motivi della decisione

1.- In via preliminare va disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.

2.1. – Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg., nonchè delle norme e dei principi in materia di onere della prova (art. 2697 cod. civ., e artt. 115 e 116 cod. proc. civ.), ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce il ricorrente che erroneamente la Corte d’appello capitolina ha affermato che dalla documentazione posta a base della decisione impugnata sarebbe desumibile che tra le parti era intervenuto un accordo in ordine al compenso dell’intera attività professionale svolta con il versamento della somma di lire 1.530.000.000.

Il giudice di secondo grado avrebbe dato per provato l’accordo scritto tra le parti, mentre di esso non vi è traccia agli atti di causa, tra cui si rinveniva solo un atto esecutivo di tale presunto accordo (l’emissione della "parcella convenuta"), il quale, però, avrebbe potuto avere un oggetto più limitato dell’accordo in questione. Deduce ancora il ricorrente principale che la Corte di merito avrebbe violato l’art. 1362 cod. civ., per aver fatto riferimento al solo tenore letterale del presunto accordo (come desumibile dalla lettera di accompagnamento della parcella), senza tenere conto di vari altri elementi i quali avrebbero potuto indurla ad una diversa conclusione. Sarebbe, poi, errato ed inconferente anche l’esplicito riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, al canone ermeneutico finale di cui all’art. 1371 cod. civ. ed al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. A parte la contraddittorietà del richiamo al ricordato articolo, che presuppone una oscurità nel testo del contratto, che, invece, la Corte di merito ha negato sulla base del tenore letterale dell’atto, la norma de qua impone una interpretazione della volontà dei contraenti tale da realizzare l’equo contemperamento dei rispettivi interessi, mentre nella specie sarebbe stata penalizzata immotivatamente una sola parte, il professionista, in contrasto anche con una interpretazione del contratto secondo buona fede.

2.2. – La illustrazione della censura si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto, a norma dell’art. 366-bis cod. proc. civ.: Se, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., l’interpretazione della volontà dei contraenti di un accordo verbale possa fondarsi esclusivamente sul senso letterale delle parole, nonostante appunto l’assenza di forma scritta; Se, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., possa considerarsi tenore letterale di un precedente accordo quello non dell’accordo stesso, ma di atto successivo, in assenza di chiare circostanze di fatto che consentano di affermare la comune intenzione dei contraenti di ritenere quest’ultimo integralmente e definitivamente esecutivo dell’accordo medesime; Se, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, l’interprete, per determinare la comune intenzione delle parti, debba valutare il loro comportamento complessivo e non solo taluni comportamenti delle parti stesse; Se, ai sensi dell’art. 1362 c.c. e segg., la volontà dei contraenti di un accordo verbale debba essere necessariamente ricostruita sulla base dei criteri ulteriori e sussidiari rispetto a quello del senso letterale delle parole; Se incomba sul debitore, convenuto dal creditore per il pagamento di compensi per attività professionale e che opponga di aver già saldato il dovuto, l’onere di dimostrare che il pagamento effettuato costituisca effettivamente un saldo.

3.1. – La censura è infondata.

3.2. – Va anzitutto considerato che sarebbe spettato al ricorrente in via principale provare che la emissione della fattura era la esecuzione parziale di un accordo dal contenuto più ampio e non soltanto ipotizzarne l’esistenza.

3.3. – Quanto al richiamo all’art. 1371 cod. civ., premesso che la sentenza impugnata ha fatto riferimento a detta norma ed al criterio dell’interpretazione del contratto secondo buona fede solo ad abundantiam, essendosi basata essenzialmente sull’art. 1362 cod. civ., occorre sottolineare che, per quanto nella sentenza impugnata abbondino i riferimenti ai canoni interpretativi del contratto, in realtà la Corte di merito non ha interpretato un contratto la cui formulazione potesse in astratto dare adito a dubbi, ma ha desunto l’esistenza di un accordo con un ben determinato contenuto dal comportamento e da dichiarazioni dell’attuale ricorrente il cui significato era univoco. E’ appena il caso di ricordare che l’accertamento circa la conclusione di un contratto da parte del giudice del merito non è sindacabile in sede di legittimità se è il frutto, come nella specie, di una motivazione immune da vizi logici e giuridici.

4.1. – Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 184-bis, 230, 244 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., anche in relazione all’art. 1362 c.c. e segg., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Il ricorrente si duole della mancata ammissione delle prove dedotte.

4.2. – La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366- bis cod. proc. civ.: Se è errata per violazione di legge la sentenza che fonda il convincimento di irrilevanza dei mezzi istruttori sulla erronea applicazione delle norme di interpretazione dei contratti di cui all’art. 1362 c.c. e segg.; Se i capitoli di prova testimoniale e di interrogatorio formale indicati con i nn. da 1 a 20 alle pagg. 45- 56 dell’atto di appello soddisfino i requisiti di ammissibilità di cui agli artt. 230 e 244 cod. proc. civ..

5. – Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo stato indicato nemmeno il contenuto specifico delle prove in questione, al fine di consentire la valutazione della fondatezza o meno della doglianza.

6.1. – Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo la S. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 12, 14, 91 e 92 cod. proc. civ., del D.M. Grazia e Giustizia 5 ottobre 1994, n. 585, artt. 4, 5 e 6 dei capitoli 1 e 2, tabella A, par. 3, tabella B, par. 1 e del D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, artt. 4, 5, 6 e 13 del capitolo 1, tabella A, par. 4., tabella B, par. 1 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 3). La ricorrente incidentale si duole della liquidazione delle spese del giudizio di primo grado e di quello di secondo grado, effettuata dalla Corte d’appello di Roma.

Per quanto riguarda il giudizio di primo grado, nel quale era applicabile la tariffa di cui al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, la ricorrente deduce di aver depositato una nota spese nella quale aveva quantificato gli onorari sulla base dei minimi della tariffa, calcolati, trattandosi di causa di valore superiore ad Euro 2582,50, aumentando in modo proporzionale gli onorari di cui allo scaglione tra L. 3.000.000 e L. 5.000.000: nota disattesa senza alcuna motivazione dalla Corte di merito.

Quanto alle spese del giudizio di secondo grado, la ricorrente incidentale deduce che la Corte capitolina avrebbe liquidato una somma globale per onorari e diritti, la quale, comunque, per quanto riguarda i soli onorari, sarebbe inferiore ai minimi tariffari.

6.2. – La illustrazione della censura si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ.: La liquidazione degli onorari a favore della parte vittoriosa deve essere o no fatta nel rispetto della tariffa professionale degli avvocati vigente ed applicabile al momento della conclusione della controversia?. Deve essere annullato o no il capo della sentenza che operi una liquidazione degli onorari a favore della parte vittoriosa in misura inferiore ai minimi della tariffa professionale degli avvocati vigente ed applicabile al momento della conclusione della controversia?.

7.1. – La doglianza è fondata, con riguardo alla liquidazione delle spese relative ad entrambi i gradi del giudizio.

7.2. – Con riferimento al primo grado, a prescindere dalla considerazione che la Corte d’appello di Roma non ha rispettato il principio secondo il quale, in tema di liquidazione di onorari, il giudice di merito non può disattendere senza motivazione la nota spese presentata dal difensore, non è stato comunque rispettato il criterio previsto dalla lettera L del n. 6 della tabella A della tariffa, in quanto gli onorari si sarebbero dovuti determinare aumentando quelli previsti dallo scaglione precedente in base al coefficiente pari a 11,50, risultante dal rapporto tra il valore della controversia ed Euro 2582,00.

7.3. – Con riguardo alla liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado, la Corte di merito ha totalmente disatteso il criterio previsto dalla tariffa di cui al D.M. 8 aprile 2004, secondo il quale, nelle cause di valore superiore ad Euro 5.164.600,00 gli onorari vanno determinati moltiplicando il valore della causa per i coefficienti previsti nella tabella A-4.

8.- Conclusivamente, il ricorso principale deve essere rigettato, quello incidentale va accolto. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo del ricorso incidentale accolto e rinviata ad un diverso giudice – che si designa in altra sezione della Corte d’appello di Roma, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio – che provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di primo e di secondo grado, tenendo conto dei principi esposti sub 7.2 e 7.3.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello principale, accoglie quello incidentale. Cassa la sentenza in relazione al motivo del ricorso accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 17 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012
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