Cass. civ. Sez. II, Sent., 03-08-2012, n. 14098

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Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato il 23 febbraio 2000, A. A. conveniva innanzi al Tribunale di Roma S. S. per ottenere il pagamento del compenso pari a L. L. 616.000.000, di cui alla fattura in data (OMISSIS), cui sosteneva di avere diritto in relazione all’attività professionale svolta, quale dottore commercialista, in favore della convenuta.

S.S. si costituiva in giudizio e contestava il fondamento della domanda, assumendo di avere già soddisfatto integralmente l’attore con il versamento a saldo della somma di L. 1.530.000.000 effettuato in data 1 ottobre 1998, come precedentemente concordato.

2. – Con sentenza in data 1 marzo 2003, il Tribunale di Roma rigettava la domanda.

3. – A.A. proponeva appello, che veniva accolto limitatamente alla liquidazione delle spese dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 11 aprile 2006.

La Corte territoriale, premesso che i capitoli di prova articolati dall’appellante avevano ad oggetto circostanze irrilevanti, osservava che A.A., come risultava dalla chiara dizione della lettera che aveva inviato alla sua assistita S. con allegata la convenuta parcella n. (OMISSIS), aveva ammesso di aver concordato l’importo di cui alla parcella quale compenso per le prestazioni professionali rese in favore dell’appellata.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’ A. sulla base di due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso la S..

Motivi della decisione

1.1. – Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., nonchè delle norme e dei principi in materia di onere della prova (art. 2697 cod. civ., e artt. 115 e 116 cod. proc. civ.), ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Il ricorrente contesta la correttezza della conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata in ordine alla esistenza di un accordo tra le parti per compensare l’intera attività professionale svolta a favore della S. con il versamento della somma di L. 1.530.000.000. Il giudice di secondo grado avrebbe dato per provato l’accordo scritto tra le parti, mentre di esso non vi è traccia agli atti di causa, tra cui si rinveniva solo un atto esecutivo di tale presunto accordo (l’emissione della "parcella convenuta"), il quale, però, avrebbe potuto avere un oggetto più limitato dell’accordo in questione.

Deduce ancora il ricorrente principale che la Corte di merito avrebbe violato l’art. 1362 cod. civ., per aver fatto riferimento al solo tenore letterale del presunto accordo (come desumibile dalla lettera di accompagnamento della parcella), senza tenere conto di vari altri elementi i quali avrebbero potuto indurla ad una diversa conclusione.

Sarebbe, poi, errato ed inconferente anche l’esplicito riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, al canone ermeneutico finale di cui all’art. 1371 cod. civ. ed al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. A parte la contraddittorietà del richiamo al ricordato articolo, che presuppone una oscurità nel testo del contratto, che, invece, la Corte di merito ha negato sulla base del tenore letterale dell’atto, la norma de qua impone una interpretazione della volontà dei contraenti tale da realizzare l’equo contemperamento dei rispettivi interessi, mentre nella specie sarebbe stata penalizzata immotivatamente una sola parte, il professionista, in contrasto anche con una interpretazione del contratto secondo buona fede.

1.2. – La illustrazione della censura si conclude con la formulazione dei seguenti quesiti di diritto, a norma dell’art. 366-bis cod. proc. civ.: Se, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., l’interpretazione della volontà dei contraenti di un accordo verbale possa fondarsi esclusivamente sul senso letterale delle parole, nonostante appunto l’assenza di forma scritta; Se, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., possa considerarsi tenore letterale di un precedente accordo quello non dell’accordo stesso, ma di atto successivo, in assenza di chiare circostanze di fatto che consentano di affermare la comune intenzione dei contraenti di ritenere quest’ultimo integralmente e definitivamente esecutivo dell’accordo medesimo; Se, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, l’interprete, per determinare la comune intenzione delle parti, debba valutare il loro comportamento complessivo e non solo taluni comportamenti delle parti stesse; Se, ai sensi dell’art. 1362 c.c. e segg., la volontà dei contraenti di un accordo verbale debba essere necessariamente ricostruita sulla base dei criteri ulteriori e sussidiar rispetto a quello del senso letterale delle parole; Se incomba sul debitore, convenuto dal creditore per il pagamento di compensi per attività professionale e che opponga di aver già saldato il dovuto, l’onere di dimostrare che il pagamento effettuato costituisca effettivamente un saldo.

2.1. – La censura è infondata.

2.2. – Va anzitutto considerato che sarebbe spettato al ricorrente in via principale provare che la emissione della fattura era la esecuzione parziale di un accordo dal contenuto più ampio e non soltanto ipotizzarne l’esistenza.

2.3. – Quanto al richiamo all’art. 1371 cod. civ., premesso che la sentenza impugnata ha fatto riferimento a detta norma ed al criterio dell’interpretazione del contratto secondo buona fede solo ad abundantiam, essendosi basata essenzialmente sull’art. 1362 cod. civ., occorre sottolineare che, per quanto nella sentenza impugnata abbondino i riferimenti ai canoni interpretativi del contratto, in realtà la Corte di merito non ha interpretato un contratto la cui formulazione potesse in astratto dare adito a dubbi, ma ha desunto l’esistenza di un accordo con un ben determinato contenuto dal comportamento e da dichiarazioni dell’attuale ricorrente il cui significato era univoco.

E’ appena il caso di ricordare che l’accertamento circa la conclusione di un contratto da parte del giudice del merito non è sindacabile in sede di legittimità se è il frutto, come nella specie, di una motivazione immune da vizi logici e giuridici.

3.1. – Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 230, 244 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ., anche in relazione all’art. 1362 c.c. e segg., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Il ricorrente si duole della mancata ammissione delle prove dedotte.

3.2. – La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366- bis cod. proc. civ.: Se è errata per violazione di legge la sentenza che fonda il convincimento di irrilevanza dei mezzi istruttori sulla erronea applicazione delle norme di interpretazione dei contratti di cui all’art. 1362 c.c. e segg..

4. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo stato indicato nemmeno il contenuto specifico delle prove in questione, al fine di consentire la valutazione della fondatezza o meno della doglianza.

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono, in ossequio al principio della soccombenza, essere poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 10000,00, di cui Euro 9800.00 per onorari, oltre alle spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 17 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2012
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