Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-01-2013) 19-04-2013, n. 18213

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. D.T., B.V. e D’.Ro. impugnano la sentenza della Corte d’appello di Bologna che ha confermato la pronuncia di condanna del giudice di primo grado per il delitto di spaccio continuato di cocaina, ridimensionando la pena inflitta al solo a B. per la concessione delle attenuanti generiche.

A fronte dei motivi d’appello volti a contestare la sussistenza degli elementi di prova e la determinazione della pena, la Corte d’appello ritiene che le intercettazioni telefoniche su cui si fonda il giudizio di responsabilità per ciascuno dei ricorrenti sono chiare nel loro significato univoco e certo.

Quanto a B., non ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità, tenuto conto delle modalità della condotta ripetuta nel tempo e poi per la quantità dell’eroina, pari a sessanta grammi, sequestrata all’acquirente D’.; mentre ritiene sussistenti gli elementi per l’applicazione delle attenuanti generiche, tenuto conto del comportamento processuale; attenuanti che possono essere solo dichiarate equivalenti alla recidiva ex art. 99 c.p., comma 5 per la preclusione stabilita dall’art. 69 c.p.. Quanto a D., la Corte d’appello, per le ragioni già poste in rilevo, respinge la richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva contestata e ritenuta in sentenza.

Non vi sono poi le condizioni per escludere la recidiva e, per altro verso, la diminuente dell’art. 73, comma 5, tenuto conto della reiterazione. Inoltre, non vi sono gli elementi previsti dalla legge per unificare ex art. 81 c.p. la presente condanna con altra precedente, sussistendo solo un generico proposito criminoso, incompatibili con il riconoscimento dell’unicità del disegno criminoso ex art. 81 c.p.. Peraltro, nel presente processo il ruolo svolto da D. è del tutto diverso, cioè quello di unica committente di cocaina per vari fornitori italiani. Quanto infine a D’., la Corte ritiene corretto il diniego delle attenuanti generiche, tenuto conto della riconosciuta continuazione con altro precedente più grave reato per il quale non può essere modificato il giudizio già reso, tenuto conto della giurisprudenza di legittimità. Inoltrerà recidiva non ha avuto alcuna incidenza sulla determinazione della pena.

2. Il difensore dei tre ricorrenti deduce:

– per B.V., l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità si rileva che le intercettazioni sulle quali è fondato il giudizio di responsabilità emergono molteplici contraddizioni e il significato non è affatto chiaro e concordante. Le conversazioni intercettate non offrono una interpretazione unica e concordante con le tesi dell’accusa, pertanto rimangono notevoli contraddizioni per le quali non si può ritenere la responsabilità provata al di là di ogni ragionevole dubbio.

L’espressioni usate non sono quelle abituali al narcotraffico e non si può ritenere che le conversazioni siano criptiche – per D. T., carenza di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità.

Il giudice d’appello si limita a riassumere i contenuti delle intercettazioni utilizzati dal giudice di primo grado, condividendone acriticamente il significato.

La responsabilità è in realtà motivata esclusivamente sull’affermazione che "dalle intercettazioni si evince la penale responsabilità dell’imputata.

Peraltro, le espressioni utilizzate nel corso delle conversazioni intercettate non sono criptiche e sono interpretabili nel loro significato letterale.

Anche a volere assumere per mera ipotesi che le parole utilizzate nel corso delle conversazione sia riferibili al commercio di droga, la Corte d’appello non fornisce alcuna precisazione al riguardo e non spiega le ragioni del diverso significato a esse attribuito.

– per D’.Ro., carenza e illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità per il capo 23) e violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3.

Le censure sono analoghe a quelle già svolte per gli altri ricorrenti, poichè motivazione si esprime semplicemente con il mero richiamo alla sentenza di primo grado, senza tenere conto delle censure proposte al giudice d’appello.

Non spiega il diverso significato attribuito alle espressioni usate e condivide le conclusioni raggiunte sul punto dal giudice di primo grado conformi all’impostazioni dell’accusa.

Le conversazioni tra B. e D’. si sottolinea che le espressioni non rilevano riferimento alcuno al narcotraffico e quanto meno sono tali da ingenerare un ragionevole dubbio.

Vi è poi la violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, in quanto le dichiarazioni di B., il quale ammetteva di avere procurato cocaina a D’., avrebbero dovuto essere riscontrate con altri elementi volti, sotto il profilo intrinseco ed estrinseco, a confermare la responsabilità. Valutazione non compiuta dal giudice d’appello.

– violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego dell’attenuante della lieve entità in favore di B..

La Corte d’appello ha fatto erroneamente riferimento a uno solo degli elementi richiesti per la configurabilità dell’attenuante,in violazione della norma secondo ci cui la valutazione deve essere globale. Il rilevo di uno solo degli elementi è ammesso solo nel caso in cui sia esorbitante rispetto agli altri.

Il giudice d’appello si limitato a fare riferimento al dato quantitativo, 60 grammi di cocaina, omettendo ogni valutazione sulla qualità della sostanza e sugli altri elementi previsti dalla legge.

– motivazione illogica e contraddittoria in ordine alla valutazione della recidiva ex art. 99 c.p., comma 4 e al contestuale giudizio di mera equivalenza delle attenuanti generiche.

Il giudice d’appello non ha considerato gli elementi che avrebbero consentito di non escludere la recidiva, fondando il proprio giudizio soltanto sul fatto che gi elementi acquisiti consento di ritenere B. inserito nello spaccio di stupefacenti.

Per il ricorrente, il giudizio di equivalenza è fondato soltanto sulla recidiva, in tal modo non dando rilevanza alle modalità del fatto concreto. Vi è una irragionevolezza in tale ragionamento che peraltro viola anche il principio di eguaglianza, dato che il divieto di cui alla norma censurata consentirebbe per un verso, di punire allo stesso modo fatti di diversa gravità concreta e, per altro verso, consentirebbe di punire in modo diversificato fatti oggettivamente identici a fronte dell’unico elemento differenziante della recidiva reiterata.

Si sollecita la questione di legittimità costituzionale relativa all’automatismo introdotto dall’art. 69 c.p., comma 4 in relazione all’art. 3 Cost..

– per D.T., con due distinti motivi, si deduce la violazione e il vizio di motivazione del D.P.R. n. 309 del 1991, art 73, comma 5, e l’errata applicazione, e vizio di motivazione in ordine al diniego della continuazione.

Quanto al primo profilo, si pone la medesima questione relativa alla considerazione complessiva di tutti gli elementi.

Quanto al secondo profilo, si rileva che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che D.T. è consumatrice abituale di droga e tossicodipendente, circostanze per le quali sarebbe stato ragionevole ritenere che fin dal marzo 2008 ella avesse programmato l’attuazione di varie attività volte alla ricezione di quantitativi di droga per uso personale a nulla rilevando le diverse modalità dei fatti.

La soluzione del giudice d’appello sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità per la quale è sufficiente ai fini della continuazione una iniziale deliberazione di fondo e non una deliberazione unica.

– per D’.Ro., violazione dell’art. 81 c.p. e dell’art. 62 bis c.p., e illogicità della motivazione.

L’erroneità della valutazione della Corte d’appello è nel fatto che le attenuanti generiche, pur non applicabili al reato già giudicato con sentenza irrevocabile, avrebbero potuto essere considerate ai fini degli aumenti per la continuazione.

La giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso che le eventuali circostanze vanno considerate in relazione a ciascun reato unificato nella continuazione.

– Per D.T., si deduce ancora la carenza e illogicità della motivazione con riguardo alla recidiva ex art. 99 c.p., comma 4 ed al contestuale giudizio di mera equivalenza delle attenuanti generiche.

Un primo profilo, riguarda il riconoscimento della recidiva qualificata in base ai soli precedenti senza apprezza in concreto una maggiore pericolosità sociale, mediante una ponderazione ad altri elementi, riferiti alla diversa gravità dei reati commessi e in particolare l’ultimo reato si caratterizza nei contenuti molto diverso dagli atri oggetto della ritenuta recidiva.

L’ulteriore profilo riguarda la sollecitazione della questione di costituzionalità dell’art. 69, comma 4, nella parte in cui fa divieto della prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva qualificata.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili poichè volti a proporre questioni, peraltro in termini generici e non pertinenti rispetto al complessivo giudizio espresso, riguardanti valutazioni di merito effettuate dal giudice d’appello e adeguatamente motivate.

Peraltro, al di là della genericità dei contenuti essenziali che si rivelano meramente assertivi, le censure sono dirette esclusivamente a ottenere una rilettura delle risultanze processuali e un rivalutazione.

Si è già detto in narrativa, la Corte d’appello ha condiviso la ricostruzione in fatto operata dal primo giudice e ha sviluppato un proprio ragionamento anche in al diniego della continuazione richiesta per da D’.Ro. nonchè in ordine alla determinazione della pena in relazione a ciascun imputato, ridimensionando la stessa soltanto nei confronti di B.V. accogliendo la richiesta di equivalenza delle attenuanti generiche alla contestata recidiva.

Anche le valutazioni, relative all’insussistenza di ragioni che possano giustificare l’attenuante della lieve entità per gli episodi di spaccio, sono state adeguatamente espresse, nel rispetto dei parametri normativi rapportati alle concrete situazioni.

Le censure, pertanto, non sono altro che dirette a contestare valutazioni di merito correttamente espresse dal giudice d’appello e coerenti con le risultanze processuali esposte nella sentenza.

Il ragionamento probatorio della Corte d’appello è articolato – come esposto in sintesi e nei punti significativi in narrativa – con rigore argomentativo dapprima sulle ragioni per le quali le situazioni riferite ai singoli imputati non potessero essere ridimensionata nel senso indicato da ciascuno di essi e poi sulle risposte ai punti critici delle scelte operate dal giudice di primo grado.

La vicenda, riassunta nei suoi punti significativi, è stata oggetto di una esauriente motivazione nel rispetto dei canoni di ordine logico che debbono orientare il giudice di merito nelle scelte da compiere nel proprio lavoro di ricostruzione storica dei fatti da provare ex art. 187 c.p.p. diretta a dare contenuti alla formula generale racchiusa nei commi 1 e 2 del citato art. 192 c.p.p. di dare "… conto …dei risultati acquisiti e dei criteri adottati";

I ricorsi sono, dunque, inammissibili per manifesta infondatezza e per avere proposto censure non consentite nel giudizio di legittimità e, a norma dell’art. 616 c.p.p., i ricorrenti vanno condannati, oltre che al pagamento delle spese processuali, a versare ciascuno una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni richieste dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *