Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2013) 19-04-2013, n. 17974

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12/07/2012, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del G.u.p. del Tribunale di Cuneo del 04/05/2007, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di D.M. per i reati di cui all’art. 581 cod. pen., contestati ai capi A) e B), per essere gli stessi estinti per intervenuta remissione di querela, ha assolto il D. dal reato di cui all’art. 605 cod. pen. contestato al capo A) perchè il fatto non sussiste, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in relazione ai residui reati per i quali è stata confermata l’affermazione di responsabilità (art. 610 cod. pen., artt. 612, cpv. e 635 cpv. cod. pen.).

Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha ritenuto che le frasi minacciose rivolte dal D. nei confronti della persona offesa fossero gravi, in relazione al loro tenore – trattandosi di minacce di morte -, rafforzato dal contesto in cui erano state pronunciate, ossia durante il compimento di atti di bullismo in danno della persona offesa, che versava in posizione di inferiorità rispetto ai due responsabili (al riguardo si precisa che il coimputato del D. non aveva proposto appello).

2. Nell’interesse del D. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale si lamenta erronea applicazione e violazione dell’art. 612 cod. pen., in relazione all’art. 152 cod. proc. pen., per non avere la sentenza impugnata, esclusa l’aggravante di cui al capoverso dell’art. 612 cit., pronunciato sentenza di non doversi procedere anche in relazione a tale ipotesi.

In particolare, il ricorrente torna a ribadire che i comportamenti minacciosi si erano estrinsecati nella diffida, rivolta alla persona offesa, a non tornare a Boves e non erano stati idonei ad incutere il minimo timore nella vittima, che, anzi, la sera del 30/06/2005, aveva spontaneamente cercato il D. e il coimputato D. per chiarire la vicenda, facendosi accompagnare da un amico.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

Ribadito che, secondo il condiviso orientamento di questa Corte (v., ad es., Sez. 5, n. 43380 del 26/09/2008, De Marco, Rv. 242188), la gravita della minaccia va accertata avendo riguardo a tutte le modalità della condotta, ed in particolare al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, essa abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa, deve rilevarsi che, con motivazione non manifestamente illogica, la Corte territoriale ha colto la gravita della minaccia sia con riguardo all’indiscusso tenore delle frasi pronunciate, sia con riferimento al contesto di bullismo nel quale si erano inquadrate.

Quanto poi al fatto che la persona offesa abbia cercato un chiarimento con gli autori delle violenze in suo danno, esso logicamente non dimostra l’assenza del timore della persona offesa, ma solo il tentativo di evitare ulteriori aggressioni.

D’altra parte, secondo l’orientamento più volte espresso da questa Corte, il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale; la valutazione dell’idoneità della minaccia a realizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio di medialità che rispecchi le reazioni dell’uomo comune (Sez. 5, n. 8264 del 29/05/1992, Mascia, Rv. 191433).

2. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2013

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